Comunicato stampa relativo alla presentazione dello studio del prof. Samadhi Lipari, ricercatore dottorando presso la School of Geography dell’Università di Leeds, nel Regno Unito sull’accaparramento e sfruttamento intensivo per la produzione dell’energia eolica dei territori dell’Appennino Meridionale.
(quì il link del video dell’intero incontro https://www.facebook.com/eco.justice.9/videos/2035892966623217/?hc_ref=ARQbsMgRYQFaDA8yY3CJcFUmf-DycGIjsoE-3xYyTp9EhuGETlvsz8kFku4-VN4t3UQ
Cordiali saluti
Giuseppe Fappiano
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Fronte Sannita per la Difesa della Montagna
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Comunicato stampa del 13/04/2018
Ieri, 12 aprile 2018, presso la Biblioteca A. Santucci dell’Università di Salerno, si è discusso di “accaparramento verde” ed Eolico nell’Appennino Meridionale. Nell’ambito di una serie d’incontri sul tema Ecologia Politica e Giustizia Ecologica, il seminario ha ospitato Samadhi Lipari, ricercatore dottorando presso la School of Geography dell’Università di Leeds, nel Regno Unito.
Al centro del dibattito l’espansione degli impianti eolici negli ultimi decenni ha visto le alture tra le province di Salerno, Avellino, Benevento, Potenza, Campobasso e Foggia riempirsi di pale. Queste province producono oltre due quinti dell’energia “eolica” italiana, coprono circa il 2,5% dei consumi complessivi nazionali, secondo i dati TERNA e consumano -tutte tranne Avellino- molto meno di quanto mettono in rete. Un territorio a vocazione agro-forestale che tuttavia funziona come una grande centrale elettrica.
Chi ci guadagna? Poche società –perlopiù multinazionali- che controllano la filiera e che redistribuisco parte dei profitti ad altre società addette alla gestione degli impianti o esecutrici dei lavori di costruzione. Giusto dare un senso del volume, un parco 10 turbine da 2MW è capace di produrre circa 5,8 Mln di euro l’anno, tenuto conto del regime incentivante in vigore dal 2016, che è finanziato dai cittadini tramite la bolletta elettrica.
Un mercato liberalizzato dell’energia in cui però la collettività sostiene i profitti dei privati.
Cosa resta al territorio? Pochissimo in termini di ricchezza da un lato, molte danni al tessuto socio-economico e alla vita politica delle comunità, dall’altro. Hanno evidenziato questi aspetti Michele Solazzo e Armando Buglione del comitato “No Eolico Sevaggio” e Pinuccio Fappiano del “Fronte Sannita per la Difesa della Montagna” attivi ormai da diversi anni tra l’alta Irpina e il Sannio. Grazie alla loro profonda conoscenza del territorio e del fenomeno stesso è stato possibile riempire di significato e di casi reali il termine “accaparramento verde”.
È apparso infatti chiaro come l’appennino meridionale sia considerato un esteso giacimento a cielo aperto di energia, da cui estrarre valore attraverso l’accaparramento dei fondi agricoli e forestali, con la giustificazione “verde”, di fare del bene al pianeta. Una tendenza favorita dall’ordinamento giuridico che riconosce agli investitori eolici il diritto di ricorrere all’esproprio dei fondi. Grazie a tale norma che considera gli impianti eolici di pubblica utilità, si finisce per espropriare dei privati …a beneficio di altri privati accaparrandosi anche terre pubbliche come demani e terre gravate da usi civici.
In una tale situazione, gli attivisti hanno fatto notare come le comunità si trovino di fatto espropriate della loro capacità di programmare il territorio, anche a causa dell’assenza di strumenti importanti come i Piani Paesaggistici e i Piani Energetici e Ambientali Regionali.
Non solo: spesso le relazioni stesse tra gli abitanti si deteriorano, contrapponendo coloro che riescono a guadagnarci qualcosa, come i proprietari dei terreni, o i professionisti che partecipano alle fasi di progettazione e realizzazione, agli altri membri delle comunità, specialmente quelli risiedenti vicino agli impianti, che invece ci perdono del tutto.
Sono dunque le energie rinnovabili il problema dei territori? No, emerge dal seminario. È piuttosto la loro organizzazione su scala industriale che causa l’accaparramento dei territori. Al contrario, fanno notare i comitati, misure come l’autoproduzione, nella direzione del decentramento e di politiche di efficienza, consentirebbe a territori come l’appennino meridionale di essere energeticamente autosufficienti, senza distruggere ettari ed ettari di crinali, campi e boschi.