L’allarmismo sul cambiamento climatico è una bugia a cui si deve porre fine
di Drieu Godefridi 18 giugno 2023
Pezzo in lingua originale inglese: Climate Change Alarmism Is a Lie that Must Stop
Traduzioni di Angelita La Spada
Dal 1992, le emissioni globali di CO2 hanno continuato a crescere, con la Cina che ha aperto in media due nuove centrali elettriche a carbone alla settimana. Crediamo davvero che Cina, Russia e India consentiranno all’Occidente di dettare le loro condizioni economiche e le emissioni di CO2? Nel frattempo, man mano che le emissioni crescono, sono di certo felici di vedere l’Occidente zoppicare, persistendo nei tentativi di ridurre le proprie emissioni. Nella foto: un’acciaieria con un generatore a carbone a Hebei, in Cina (Foto di Kevin Frayer/Getty Images)
Dal 1992 e dal Summit sulla Terra tenutosi a Rio de Janeiro, l’Occidente vive costantemente minacciato da “un’emergenza climatica” il cui allarme è stato ripetutamente lanciato, ma disatteso. Da allora, l’Occidente (e soltanto i Paesi occidentali!) si è prefissato l’obiettivo principale di ridurre le emissioni di CO2 (e di altri gas serra sottintesi in questo articolo).
Siamo nel 2023 ed è tempo di bilanci:
1. Le emissioni di CO2 non hanno smesso di crescere e continueranno a farlo.
Dal 1992, le emissioni globali di CO2 hanno continuato ad aumentare. Con la Cina che apre una media di due nuove centrali elettriche a carbone alla settimana e l’India evidentemente più determinata che mai a proseguire il suo percorso di sviluppo economico, così come il resto del mondo non occidentale, le emissioni globali di CO2 continueranno a crescere nel prossimo futuro. Non esiste ancora un’alternativa disponibile ed economica ai combustibili fossili.
Questo aumento delle emissioni globali di CO2 sarebbe inevitabile anche se l’Occidente persistesse nei suoi sforzi per ridurre le proprie emissioni: le riduzioni delle emissioni in Occidente sono – e continueranno ad essere – più che compensate dall’aumento delle emissioni nel resto del mondo.
2. Sarà raggiunto l’obiettivo dell’accordo di Parigi di “limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto al livello preindustriale”?
Il raggiungimento dell’obiettivo dell’accordo di Parigi richiede drastiche riduzioni delle emissioni di CO2. Ma tali riduzioni non sono state attuate. E non siamo sulla buona strada. Non ci sarà alcuna riduzione globale delle emissioni di CO2. Questa è ormai una certezza o, nelle parole dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, una proiezione con un livello di attendibilità molto elevato.
3. L’obiettivo dell’Unione Europea di “decarbonizzazione entro il 2050” sarà raggiunto?
Ancora più estremo dell’accordo di Parigi è l’obiettivo di decarbonizzazione dell’UE. Come già affermato, anche se l’Unione Europea cessasse di esistere, le emissioni globali di CO2 continueranno a crescere. In tale prospettiva, la riduzione delle emissioni europee ha senso soltanto se fa parte di un quadro globale efficace, non nazionale né regionale. “Dare l’esempio” ai regimi e ai Paesi di tutto il mondo che spesso odiano l’Occidente non fa altro che consentire a quei Paesi di rafforzarsi, a scapito dei Paesi per così dire virtuosi che si indeboliscono subendo gravi svantaggi economici, senza avere di fatto alcun effetto finale sul clima. Crediamo davvero che Cina, Russia e India consentiranno all’Occidente di dettare le loro condizioni economiche e le emissioni di CO2? Nel frattempo, man mano che le emissioni crescono, sono di certo felici di vedere l’Occidente zoppicare, persistendo nei tentativi di ridurre le proprie emissioni.
Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione Europea, probabilmente l’estremista più zelante salito al potere in Europa dal 1945 – il cui capo di Gabinetto è l’ex leader della campagna antinucleare di Greenpeace – diffonde misure, iniziative e dichiarazioni finalizzate a ridurre drasticamente le emissioni europee di CO2, anche a costo di una devastazione economica dell’Europa, a costo della perdita di libertà e di provocare un crudele aumento della dipendenza europea dai minerali delle terre rare cinesi.
Il clima non fa differenze fra Europa e Asia. Nulla di ciò che l’Europa e l’Occidente realizzano in questo ambito ha il minimo significato se la riduzione delle emissioni non è globale.
4. Quali sarebbero le conseguenze economiche del più pessimistico scenario di riscaldamento globale dell’IPCC?
Passiamo ora alla questione dell’impatto economico delle emissioni di CO2.
Nel suo ultimo libro, “Unsettled”, l’esperto di clima e fisico Steven Koonin, ex vicesegretario alla Scienza durante l’amministrazione Obama, osserva che anche se lo scenario di riscaldamento più pessimistico dell’IPCC dovesse avverarsi, l’impatto economico globale sarebbe trascurabile ( Unsettled Dallas, BenBella Books, 2021, capitolo 9, ‘Apocalypses that ain’t’ [“L’Apocalisse che non c’è”], pagina 179s.)
Nel suo quinto e ultimo rapporto (completo), l’IPCC stima che un riscaldamento di 3°C, il doppio dell’obiettivo fissato dall’accordo di Parigi, ridurrebbe la crescita economica globale del 3 per cento. Tre per cento all’anno? No, 3 per cento entro il 2100. Ciò rappresenta una riduzione della crescita economica globale dello 0,04 per cento all’anno, una percentuale difficilmente misurabile statisticamente. Questo è lo scenario pessimistico dell’IPCC. Negli scenari più ottimistici, l’impatto economico del riscaldamento sarà praticamente nullo. Il Quinto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (WGII AR5) afferma al capitolo 10:
“Per la maggior parte dei settori economici, l’impatto del cambiamento climatico sarà minimo rispetto agli impatti di altri fattori. (…) I cambiamenti della popolazione, dell’età, di reddito, della tecnologia, dei prezzi relativi (…) e molti altri aspetti dello sviluppo socioeconomico avranno un maggiore impatto sulla domanda e sull’offerta di beni e servizi economici rispetto all’impatto del cambiamento climatico”.
In altre parole, secondo i dati dello stesso IPCC, la crescita economica e il benessere in Europa e negli Stati Uniti sono più minacciati da politiche ambientali estremiste e deliranti che dal riscaldamento globale. Come ha osservato il 22 febbraio Jean-Pierre Schaeken Willemaers del Thomas More Institute, presidente dell’Energy, Climate and Environment Cluster:
“L’UE e i suoi Stati membri si sono concentrati sulla politica climatica, mobilitando ingenti risorse finanziarie e umane, riducendo così le risorse necessarie per sviluppare la propria industria e indebolendo la sicurezza dell’approvvigionamento energetico”.
La lezione di tutto questo è semplice: le generazioni future ci giudicheranno con severità per aver permesso all’attivismo ambientalista estremista di indebolire l’Occidente, mentre un Oriente ostile – Cina, Russia, Corea del Nord e Iran – continua a far progredire le proprie capacità industriali e militari. Invece di cercare di combattere le emissioni di CO2, faremmo meglio a investire nella ricerca per garantire un approvvigionamento affidabile di energia più pulita e meno costosa che tutti sarebbero felici di utilizzare.
Purtroppo, le emissioni e le concentrazioni globali di CO2 nell’atmosfera non diminuiranno nell’immediato futuro, ma questo non è un motivo per indebolire la posizione globale dell’Occidente.
Drieu Godefridi è giurista (Université Saint-Louis de Louvain), filosofo (Università Saint-Louis de Louvain) e dottore in teoria del diritto (Paris IV-Sorbonne). È autore di The Green Reich.