A riveder le stelle (e il sole)

A riveder le stelle (e il sole)
4 maggio 2020

Questa data è già entrata nella storia: 4 maggio 2020. Perché dopo due mesi di detenzione in casa, causa Coronavirus, le misure del lockdown sono state lievemente allentate. Si possono andare a trovare i parenti e praticare una moderata attività fisica ben oltre i duecento metri di distanza dalla propria abitazione. Oggi ho ripreso la mia bicicletta e mi sono tuffata nei campi sterminati che distano quattro chilometri da casa mia. Qualcuno dice che questa quarantena è egualitaria, ma penso invece che essa abbia fatto più differenze del dovuto, a causa del fatto che non tutti godono delle medesime condizioni abitative. Un conto è fare quarantena in trenta metri quadri, uscendo lo stretto necessario, ed un altro è vivere in una località benedetta dal punto di vista naturalistico, potendo respirare l’aria pura intorno casa propria. Penso ai trenta milioni di disoccupati degli Stati Uniti d’America ed ai circa sessantamila senzatetto di New York, la città più ricca del mondo. Numeri portati dalla pandemia in corso. No, il virus non è egualitario. Si abbatte proprio su chi vive nel disagio e nella precarietà.

Durante questo giro ho ritrovato posti a me noti, vissuti al massimo della percezione sensoriale. Un cielo azzurrissimo, solcato da poche nubi. L’odore penetrante dell’erba verde, mai avvertito prima d’ora con tanta forza. Il verde smagliante dei prati di primavera. Il cinguettio degli uccelli fra alberi sempreverdi. Una corsetta fatta nel primo pomeriggio. Lungo la strada si incontravano già diverse persone che erano uscite a respirare facendo footing o semplici passeggiate. Bisogno, per tutti, di aria e di libertà, ancor prima che di socialità.

Pensateci: il 2019 è stato l’anno delle proteste di piazza e delle rivendicazioni continue. Il 2020 è l’anno della clausura per un tempo indefinito. Come cambiano le cose. Quanto poco le vicende della storia sono in nostro potere. Ancora non possiamo cantar vittoria. La prudenza è necessaria più di prima. Il “mostro”, avvertono i medici, non è stato ancora debellato. Intanto, i treni da Nord a Sud si sono già riempiti di gente che rientra con la scusa di rivedere i parenti.

Il mare quest’anno non mi mancherà. Penso che quello che ho mi basta e mi avanza. Mentre l’inizio di questo nuovo decennio ci consegna tanto dolore ed un’inedita prova di resistenza. Con almeno tre aspetti del dibattito filosofico e sociologico che offrono materia di confronto e di discussione: 1) il valore pressocché inedito della scienza e della ricerca scientifica in questa fase della storia; 2) il Paese salvato dagli ultimi, ovvero dalle categorie di lavoratori che non hanno posizioni di rilievo e vivono nell’ombra, generando servizi essenziali per la comunità; 3) la necessità di rivedere il welfare e la riorganizzazione della società a partire da servizi essenziali quali gli ospedali e l’istruzione, soggetti a tagli forsennati direttamente proporzionali alla retorica ed alle vuote narrazioni che li hanno visti coinvolti in questi ultimi venti anni.

Il sociologo francese Edgard Morin, alle soglie dei cento anni, dalle colonne dell’Avvenire parla giustamente di “crisi policroma”: 1) quella biologica di una pandemia aggressiva come quella in atto; 2) quella economica nata dalle misure di contenimento; 3) quella di civiltà, col brusco passaggio dalla mobilità planetaria all’immobilità.

E allora, suggerisce, e come lui anche altri osservatori, cosa fare? Forse, dice Morin, si tratta di una “crisi esistenziale salutare”: “Abbiamo bisogno di un umanesimo rigenerato, che attinga alle sorgenti dell’etica: la solidarietà e la responsabilità, presenti in ogni società umana. Essenzialmente un umanesimo planetario”.

Come non essere d’accordo? Intanto, per cominciare, da qui vi faccio un elogio della bicicletta. Il mezzo di mobilità più geniale e più ecologico che ci sia.

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Lucia Gangale

 

 

 

 

 

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