Il piacere di provare piacere seminando la morte

logo-ai-20Fondatore e direttore  Angelo Maria Perrino

Il piacere di provare piacere seminando la morte
Coloro che amano l’orrore, amano se stessi contro corrente
Di Mariella Colonna

vignetta-terrore
Perché si sposa l’orrore? Lo spiega ad Affaritaliani.it l’antropologo Alessandro Bertirotti

alessandro-bertirotti14alessandro bertirotti

L’Uomo è un animale eternamente insoddisfatto e quando non riesce a trovare un limite alla propria insoddisfazione cerca l’esagerazione che annebbia le facoltà neurocognitive. La cosa più difficile da realizzare nella vita è ciò che il buonsenso atavico dei nostri nonni definisce ‘giusta misura’.

C’è una ricetta per la giusta misura?

Per raggiungere questo stato mentale che si trasforma alcune volte in stile esistenziale, non sempre continuo e costante, è necessario invecchiare. Però bisogna essere educati in questa direzione perché la gratificazione che riceve la nostra mente, anche quando è infantile, è di forte intensità nel momento in cui crede di non avere limiti, di poter esercitare la propria libertà senza preoccuparsi delle conseguenze. Inoltre, non si deve dimenticare che la nostra mente, anche quando la definiamo razionale (io preferisco parlare di ragionevolezza), è comunque e sempre il frutto di emozioni presenti in ogni nostra considerazione e l’emozione che rincorriamo con maggiore forza è quella di trovarci in uno stato di piacere continuato ed in aumento. Mentre possiamo abituarci al dolore, non possiamo abituarci al piacere.

Perché?

Il piacere lo inseguiamo sempre e da qui nasce ogni forma di esagerazione. Coloro che amano l’orrore, amano se stessi contro corrente. L’autoaffermazione nell’abominio come risposta emozionale, dunque cognitiva, al desiderio di potenza e supremazia che non riescono ad esprimere nel mondo. Un desiderio che può essere frutto anche di grande dolore, di una identità esacerbata dalla violenza altrui, verso la quale si desidera opporre un riscatto definitivo, e dunque abissale, come rappresenta l’orrore. Infine, non dimentichiamo che quello che per una cultura possiamo definire orrore, per un’altra non lo è affatto: ogni attribuzione di significato è sempre di origine sociale e culturale, persino quando abbiamo a che fare con il concetto stesso di vita e morte. In questo brutale periodo storico mondiale stiamo assistendo proprio a questo fenomeno, globalizzato, come è la nostra era.

Perché ci si affilia a gruppi che seminano morte?

terroristi14terroristi

Perché la mente umana non è mai sola nel suo funzionamento, anche se a volte il suo funzionamento fa intendere all’individuo, di sentirsi solo. E, in nome di questa necessità, ciascun individuo ricerca il consenso sia rispetto alle proprie emozioni sia rispetto al giudizio sulle proprie emozioni. Si definisce ridondanza neuronale, un processo nel quale i neuroni di una certa popolazione, collocata anche in zone distanti tra loro del cervello, per esempio, solidarizzino fra di loro e agiscano in sintonia. Il detto popolare – e i detti popolari esprimono come sempre una atavica saggezza evolutiva essenziale – secondo cui l’unione fa la forza è esattamente il modello comportamentale dei nostri neuroni. Ogni cosa della nostra identità assume importanza, forza e significato nella cooperazione, nella collaborazione e nella sua socialità. E si può essere sociali tanto nel bene quanto nell’orrore.

Qual è la sensazione che suscita un gesto così estremo?

L’offuscamento del sentimento di solitudine che si avverte credendo di essere compresi dagli altri membri del gruppo nel quale si vive. In realtà, la compartecipazione all’orrore è solo legata al raggiungimento dell’obiettivo, in senso strumentale. In altri termini, partecipare al bello e al bene significa possedere assieme ad altre persone la motivazione a continuare nella fatica di perseguire questi obiettivi, anche dopo raggiunti, consapevoli del fatto che, in realtà, non li raggiungiamo mai. La partecipazione collettiva al male fornisce invece una gratificazione esaltata immediata, quando si raggiunge l’obiettivo perché l’annientamento è più manifesto. La morte è molto più manifesta della vita e questo procura piacere in coloro che procurano la morte.

Come nascono queste scelte nella mente umana?

Nascono come nasciamo noi, naturalmente, senza una reale consapevolezza, almeno in coloro che frequentano l’orrore. Tutto nasce in noi come una prova, ossia una possibilità, che quando siamo bambini definiamo con il termine gioco.

Continuiamo a giocare anche da adulti?

Esatto. Anche se facciamo credere agli altri, credendoci anche noi, che non giochiamo più, ma lavoriamo. In fondo, il nostro fare nella vita, rispetto al giocare e al lavorare, rimane identico per sempre, nella convinzione di dare piacere alla nostra mente con le azioni che facciamo, fornire dispiacere a qualcuno, oppure agire insoddisfatti per trovare il tempo libero ed occuparci del piacere.

Come vede, ritorniamo sempre lì, al piacere di provare piacere. E poiché rincorriamo biologicamente il benessere personale, ancor prima di quello sociale, al quale siamo educati solo da una intensa attività materna, la nostra individualità viene considerata prioritaria rispetto alla socialità.

L’amore, come scrivo ampiamente nei miei testi, compreso l’ultimo Diversamente uguali. Noi, gli altri, il mondo (ed. Paoline), si impara. Nasciamo predisposti a tutto: tanto al bene quanto al male, perché l’uno contiene l’altro e viceversa.

Esiste un limite oltre il quale l’uomo sa di non andare?

Questo paradosso, penso, accompagnerà ancora per molto la nostra esistenza come specie, e solo al termine di questo nostro meraviglioso percorso potremmo pascere noi leoni assieme all’agnello. Per ora, non ancora. Dobbiamo avere pazienza, ossia produrre quella sana gestione dell’attesa che generalmente impariamo dalle femmine umane. Ma oggi, in un mondo pieno di donne, dove sono finite le femmine?

(segreteria@mariellacolonna.com)