BRIGANTAGGIO E BUGIE / Spagnuolo: “Fare chiarezza sul numero di vittime della repressione sabauda””
Edoardo Spagnuolo si occupa da anni di ricerca storica. Autore di numerosi saggi storici, basati su solide ricerche d’archivio. Grazie a lui oggi possiamo conoscere nei dettagli la rivolta di Montefalcione che infiammò l’Irpinia nel luglio del 1861. Di notevole importanza anche il suo studio sul carcere di Montefusco dato che la storiografia ufficiale ha sempre parlato dei “martiri liberali” ivi detenuti e mai del “contadinume” che vi fu ammassato dai governi dell’Italia rigenerata. Ma Spagnuolo non si è occupato solo del brigantaggio post unitario, negli ultimi anni ha approfondito lo studio del medioevo nell’Italia meridionale. E’ inoltre autore de “L’Arcadia Reale e il 1799”, pubblicata nel 1999, per ricordare gli intellettuali napoletani che si schierarono in difesa della tradizione. Abbiamo voluto porre alcune domande sul brigantaggio a Edoardo Spagnuolo per focolazzare meglio il convulso periodo storico post-unitario.
Generalmente, complici le televisioni con “fiction storiche” più simili a polpettoni poco credibili o spettacoli in prima serata messi in scena da attori salariati (Benigni qualche anno fa sulla tv di stato) si ritiene il risorgimento come un’avventura gioiosa che si è conclusa con la sospirata unificazione italiana. Per reazione sul web girano cifre per nulla attendibili sulle vittime della repressione sabauda nelle Due Sicilie (addirittura il 12% della popolazione!), esagerazioni che rischano di screditate il lavoro di tutti coloro i quali si occupano di revisione storica.
Prof. Spagnuolo, lei è molto apprezzato per i suoi studi sul brigantaggio, realizzati consultando esclusivamente documentazione d’archivio. D’altra parte è anche un prof. di matematica. Le chiedo allora solo di darci dei numeri, se può, i numeri della repressione che si scatenò al Sud dopo l’unità d’Italia.
Non ho la competenza necessaria per darle un quadro preciso della repressione. Definire i termini precisi di questa tragedia è teoricamente possibile, ma temo che non l’otterremo mai, perché la documentazione al riguardo è sterminata, perché al momento esistono solo rarissime pubblicazioni che facciano rigoroso riferimento a materiale d’archivio e perché le università non hanno alcun interesse a promuovere una ricerca metodica.
Lei ha scritto una dozzina di libri su questa materia e so che ha molto materiale inedito conservato nel suo computer. Avrà certamente un’idea, sia pure approssimativa, delle dimensioni che assunse la repressione sabauda al Sud!
Ho visionato abbastanza l’archivio di Avellino, l’archivio centrale dello Stato all’Eur, che conservono due fondi sul brigantaggio di grande importanza, ho consultato pure l’archivio di Napoli e l’Archivio di Trani. Ho un dato preciso, il numero delle persone incriminate per causa politica negli anni immediatamente successivi al 1860 in provincia di Avellino, che allora comprendeva anche parte dell’attuale Sannio. Ho raccolto i nomi e i cognomi di 2300/2400 persone incriminate per tale imputazione. Visionando le fonti residue che non ho ancora vagliato si arriva a circa tremila persone incriminate nella sola provincia di Avellino. Il margine di errore di questa stima è molto bassa, cento al massimo duecento individui. Ho raccolto anche i nomi e i cognomi di circa 1170 incriminati per causa politica a Napoli e provincia, ma questo dato è del tutto parziale. A questo tipo di incriminazioni occorre aggiungere le persecuzioni giudiziarie a carico dei giovani che non si presentarono alla leva e soprattutto a carico di coloro che furono accusati di connivenza col brigantaggio. I numeri che saltano fuori sono impressionanti. Visionando le stesse fonti ritengo che nella sola provincia di Avellino si possa parlare complessivamente di circa diecimila persone incriminate per tutti questi tipi di reati, con una margine di errore, per difetto o per eccesso, di poche migliaia di individui. Comprenderà che non è difficile ipotizzare che il numero complessivo degli incriminati del Sud per causa politica o connivenza sul brigantaggio non debba essere distante dalle centomila unità, con una margine di errore, che, a mio avviso, non va oltre qualche decina di migliaia di individui. Questa mia previsione e’ fondata su dati di fatto e su solidi riferimenti di archivio. Si tratta di una cifra impressionante. Una conferma indiretta viene dalla documentazione dell’amministrazione carceraria del tempo, che testimonia come agli inizi del 1861 le carceri di Napoli, di Salerno, di Potenza, di Avellino e di Montefusco erano già strapiene di detenuti. Ovviamente queste incriminazioni non furono distribuite in maniera omogenea sul territorio. Vi sono dei casi in cui il numero di incriminazioni giunse a sconvolgere per un certo tempo la realtà sociale ed economica di interi territori. Penso ad esempio ai territori di Montemiletto e di Montefalcione nel 1861 o a tantissime contrade di campagne, decimate da rastrellamenti indiscriminati nel tentativo di fare terra bruciata intorno alle bande armate. In effetti l’aspetto più terribile della repressione è che moltissime persone furono incriminate senza alcuna imputazione, che non fosse quella di avere una parentela con i briganti o di abitare contrade di campagne percorse solitamente da bande armate. Tutto questo da il senso della tragedia che si abbatté in quegli anni nel Sud d’Italia.
Non solo arresti, persecuzioni giudiziarie. In quegli anni si sparò pure…
Si certo. In quegli anni morirono un gran numero di militari dell’esercito del Regno delle Due Sicilie, di civili, vittime della repressione, e di componenti delle bande armate. Fare una previsione sia pure approssimativa delle vittime della repressione sabauda è allo stato attuale delle conoscenze molto difficile. Si può però proporre una forbice di possibilità, necessariamente molto larga, entro la quale ricercare con ottima probabilità il numero esatto dei decessi. Ritengo che il campo di definizione dei lutti che colpirono il Sud per la repressione sabauda possa essere compreso tra i diecimila e i ventimila individui. Non ci sono elementi per ritenere che il numero dei decessi possa essere inferiore o maggiore a queste valutazioni estreme. Personalmente penso che il numero reale possa essere prossimo ai quindicimila, con un margine di errore, per difetto o per eccesso, di poche migliaia di individui. Il significato di un numero tale di decessi va compreso bene. Nella stragrande maggioranza dei casi si trattò di individui di sesso maschile uccisi tra i 19 e i 50 anni. La popolazione del Regno al 1860 è stimata in poco più nove milioni di persone. Togliendo almeno quattro milioni di giovani inferiori ai 19 anni e di anziani superiori ai 50, aggiungendo pure tutti i giovani che nel decennio successivo raggiunsero i 19 anni di eta’, al netto, s’intende, di coloro che nello stesso tempo superarono i 50, e ripartendo il totale per il numero dei maschi e delle donne si arriva ad una cifra certamente inferiore di tre milioni di individui maschi in età matura. Ammettendo, come ipotesi più probabile, che i decessi furono circa quindicimila si arriva pertanto ad una percentuale di decessi pari allo 0,5 per cento del totale della popolazione maschile in età matura. Una percentuale altissima! Certo, questa mia proiezione è del tutto approssimativa, ma, in base ai dati disponibili, ritengo che non possa essere molto distante dalla realtà. A tutto ciò occorre aggiungere qualche migliaio di decessi tra garibaldini, piemontesi, guardie nazionali e civili meridionali, morti a causa dell’opposizione manifestata al nuovo regime. Tutti i dati disponibili e le proiezioni all’intero territorio meridionale delineano pertanto i contorni di una grande tragedia, totalmente sconosciuta al grande pubblico.
Vincenzo D’Amico