Nelle aule c’è la difesa della nostra civiltà
4 Aprile 2024
Il punto di partenza per un ragionamento sull’integrazione e sulle politiche scolastiche che possono promuoverla è il modello di società che si ha in mente
Giuseppe Valditara
“Nelle aule c’è la difesa della nostra civiltà”
Il punto di partenza per un ragionamento sull’integrazione e sulle politiche scolastiche che possono promuoverla è il modello di società che si ha in mente: una società che abbia una sua chiara identità valoriale, ben espressa da alcuni principi cardine della Costituzione, fondata cioè su un patriottismo costituzionale e su un forte senso civico, ovvero, in alternativa, una società dove più culture vivono l’una accanto all’altra, talvolta nel dialogo, più spesso nell’indifferenza, o, addirittura, nella conflittualità, senza necessariamente identificarsi tutte in alcuni comuni valori fondativi, senza cioè avvertire tutte un’identità che le accomuni e le faccia sentire realmente parte di uno Stato. Una società, questa, tendenzialmente internazionalista e cosmopolita, che ha rinunciato all’idea di patria, per cui, anzi, la patria è il mondo.
Il primo modello di società è quello conforme alla tradizione occidentale, era la visione romana, mai razzista, aperta a chiunque, ma con una forte identità ben racchiusa nel sintagma civis Romanus sum e nel complesso dei valori collegati. È stata per qualche secolo la visione americana, anch’essa aperta a chiunque si identificasse nei valori racchiusi nella Costituzione, simboleggiati dalla bandiera e dal suo inno. È la visione che ha cercato di incarnare in un’altra versione ancora, per esempio, la Repubblica francese.
È evidente che una visione di questo tipo presuppone che gli stranieri imparino innanzitutto la lingua italiana, quindi la cultura e i valori costituzionali. Va da sé che nemici di questa visione sono le classi ghetto, dove gli stranieri sono ampia maggioranza, e dove pertanto fanno più fatica ad assimilare i valori di riferimento di una nazione; nemici ancora più agguerriti sono l’insuccesso scolastico, specie in italiano, e l’alta dispersione scolastica, così come i quartieri ghetto e la tolleranza verso forme di devianza e di criminalità, associate spesso a bande di natura etnica.
Chi voglia dunque una reale integrazione che trasformi gli stranieri in autentici cittadini, fieri di essere italiani, deve dare loro innanzitutto una conoscenza adeguata della lingua, una formazione scolastica che non li discrimini dagli studenti italiani; deve coinvolgerli pienamente nella società italiana, sconfiggendo la logica della ghettizzazione, scolastica, sociale, residenziale, e deve pretendere da loro, insieme con pari diritti, anche pari doveri. Solo al termine di un percorso di acquisizione consapevole e matura dei valori costituzionali e della nostra identità civica saranno pronti per diventare cittadini a pieno diritto.
È naturale che chi persegue la società cosmopolita, chi non crede nel valore della patria e di una comunanza di principi identitari, ma vuole una società disarticolata in tante comunità con la finalità più o meno confessata di disgregare, insieme con la nostra comunità, la stessa civiltà occidentale, non si preoccupa di ciò che a noi sta invece a cuore, perché straniero, come è stato scritto, è solo «il privilegiato e l’oppressore», mentre cittadino è «ogni diseredato e oppresso». Ma questa non è la nostra visione e nemmeno quella dei Padri costituenti che posero fra l’altro la difesa della patria come «sacro dovere del cittadino».
*ministro della Pubblica Istruzione
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/nelle-aule-c-difesa-nostra-civilt-2304748.html