𝐏𝐫𝐢𝐦𝐮𝐦 𝐯𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞? 𝐍𝐨 𝐚𝐛𝐨𝐫𝐭𝐢𝐫𝐞
Prima nel mondo, con orgoglio giacobino, la Francia ha inserito il diritto d’aborto nella Costituzione. A larga maggioranza, compresa una cospicua fetta della destra lepenista.
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Primum vivere? No abortire
di Marcello Veneziani
15 Marzo 2024
Prima nel mondo, con orgoglio giacobino, la Francia ha inserito il diritto d’aborto nella Costituzione. A larga maggioranza, compresa una cospicua fetta della destra lepenista. Tanti esultano, molti tacciono, rari osano dissentire. Resta in solitudine la Chiesa cattolica a considerare un valore non negoziabile il diritto alla vita, fino a reputare l’aborto un omicidio, per dirla con Papa Francesco.
L’aborto è diventato un diritto più sacro e inviolabile della nascita e della vita. Parafrasando un noto detto, primum abortire, deinde vivere. Chi osa confutarlo o chi è obiettore di coscienza è ora un nemico della Costituzione e delle donne; ma anche chi non lo rimette in discussione e prospetta solo la libera possibilità di un’alternativa ad abortire viene considerato come un delinquente retrogrado. Perché dovrebbe essere un crimine aiutare le donne a scegliere per la vita, restando pur sempre libere di accogliere o no l’aiuto? Perché difendere il diritto alla vita di una creatura sarebbe un sopruso e una violenza? Come in Orwell le parole si usano a rovescio, diventa barbaro e violento voler salvare una vita e minaccioso il solo pensarlo.
I punti di forza degli abortisti sono il diritto delle donne a decidere della loro maternità e la tesi che il feto non sia ancora una persona con i suoi diritti. I punti di forza dei “nascisti” sono invece il diritto prioritario alla vita e la convinzione che una vita si formi al suo concepimento: il feto è già una persona e una promessa reale di vita. Gli abortisti dicono: se tu non vuoi abortire sei libera di non farlo ma lascia alle altre il diritto di farlo. Ma se consideri l’aborto la soppressione di una vita, non puoi dire: uccidi? fatti tuoi, io sono libero di non farlo…
Tra i due fronti si può tentare di stabilire una zona di frontiera. Del tipo: rispettando le due opposte convinzioni e decisioni, si può concordare sul fatto che abortire è comunque una tragedia e perciò è lecito e doveroso, da parte della società, aiutare a non farlo, senza negare la facoltà di abortire. Ovvero non boicottare chi abortisce, ma in positivo, aiutare chi recede dal suo proposito.
L’aborto, dicono i suoi sostenitori, esisteva anche prima ma era clandestino; ma mettendolo nella Costituzione ora lo Stato, la Legge, la Sanità, si sono messi dalla parte dell’aborto: il diritto a sopprimere una vita precede il diritto alla vita. Sbaglia chi pensa che il conflitto tra abortisti e anti sia il conflitto tra antichi e moderni. Nelle società arcaiche l’aborto c’era ma impressionava meno; c’era più famigliarità con la mortalità infantile, c’era più dimestichezza con la natalità e con la morte, spaventava meno di oggi. Anni di battaglie sui diritti umani, di difesa dei più deboli, i diritti dell’infanzia e dei disabili, ci hanno reso più sensibili. Perciò oggi più di ieri fa più impressione sopprimere una vita. E fa più impressione in Francia che in Africa.
So bene l’obiezione: in Italia ci fu un voto di maggioranza più di 40 anni fa. Va rispettato, anche se il tempo ci cambia; negli Usa la maggioranza è ora antiabortista. Ma se avessimo fatto un referendum popolare sulla pena di morte, sugli immigrati clandestini, sul linciaggio in piazza dei pedofili, sullo scioglimento dei partiti, cosa sarebbe venuto fuori? La democrazia referendaria non è un valore eterno e assoluto, e non vale solo quando coincide col proprio punto di vista.
Capisco l’aborto terapeutico quando è in pericolo la vita della madre. Capisco, con più fatica ma capisco, l’aborto per chi è stata violentata. Terribile anche se comprensibile è l’aborto eugenetico quando il feto ha gravi malformazioni: è umano il dramma dei genitori e la preoccupazione per un figlio non autosufficiente, anche se spaventa dove può portare questa selezione darwiniana. Ma l’aborto più praticato è quello compiuto per ragioni di libertà personale, per motivi psicologici e sentimentali, per situazioni famigliari e socio-economiche. Temi importanti ma possono giustificare la soppressione di una vita? La vita è un diritto elementare che precede tutti gli altri. Perché il diritto alla vita deve essere rivendicato per i condannati a morte che hanno ucciso altri uomini e non vale invece per una creatura inerme e innocente? Obiezione elementare, anzi infantile. Davvero qualcuno pensa ancora che la vita prenatale non si possa considerare vita, pur avendo mille riscontri opposti? Trovo ipocrita chi dice di farlo per il bene della vittima, per risparmiarle una vita infelice: lasciate che sia lui a decidere da grande, non avete diritto di vita o di morte su di lui nel nome della sua felicità. Lasciate stare le giustificazioni umanitarie. Semmai giustificatelo dicendo che non si può estirpare questa piaga, non si può sradicare, siamo fragili, incapaci di sopportare il peso di una vita sgradita. Ma evitate di fingere superiorità etica o accampare ragioni di filantropia. Comprendiamo il travaglio di chi abortisce, non conosciamo gli inferni altrui e soprattutto non abbiamo alcun titolo per mandarli noi all’inferno. Ma siamo uomini e dobbiamo assumerci la quota di corresponsabilità che ci spetta, non possiamo restare neutrali e indifferenti davanti a una vita che viene spenta nell’indaffarata indifferenza generale. Che vale prendersi cura del mondo (I care) e poi fregarsene del nascituro della casa accanto? Sconcerta questo rifiuto della nascita, salvo che per gli uteri in affitto. E spaventa questa macabra prevalenza dei morti sui vivi che segna l’Europa. Se essere un paese civile vuol dire che le bare battono le culle, preferisco vivere in un paese incivile. Ma so che è il contrario: civile è tutelare la vita, non la sua soppressione.
(Panorama n.12)