“Vi racconto D’Annunzio e la Duse al Vittoriale”
8 Marzo 2024
Guerri nel film con la Bruni Tedeschi sulla Divina: «L’unica donna amata dal Vate oltre alla madre»
Sabrina Cottone
Se una storia d’amore inizia dalla fine, la passione che legò Eleonora Duse a Gabriele D’Annunzio è più drammatica che mai. Non solo in senso letterario e teatrale. «Era mia, era mia e me l’hanno presa!» gridava in preda alla febbre, alla tisi e al dolore la Divina, confidando a Matilde Serao in una camera d’albergo di Genova la disperazione per essere stata tradita e sostituita, nella vita e sulla scena, nel ruolo di Mila ne «La figlia di Iorio». E mentre, lucida ossessa, recitava l’intero copione, tra Candida, Ornella, il Santo dei Morti, il 2 marzo del 1904 D’Annunzio veniva applaudito al Teatro Lirico di Milano. Amore e teatro, indissolubili.
Ci sarebbe da aggiungere che per lui fu l’apice ma anche il momento prima di una crisi creativa, e soprattutto che non fu la fine del legame, ma solo la sua rottura. Il busto della Duse rimase all’Officina del Vittoriale, sempre velato quando D’Annunzio scriveva, insieme a cimeli e numerosi suoi ritratti, sorte che tra le tante donne amate dal Poeta è toccata solo alla madre, Luisa de Benedictis, e alla Duse. «Già uno psicanalista avrebbe molto da dire sul fatto che solo ricordi della madre e di Eleonora siano rimasti al Vittoriale», osserva Giordano Bruno Guerri, presidente della Casa museo di Gabriele D’Annunzio a Gardone Riviera, annunciando l’anno dedicato al centenario della morte della Divina, avvenuta il 21 aprile del 1924 a Pittsburgh, dove era in tournée.
Guerri risponde al telefono da Roma, dove si trova per una prova costume. Sarà l’attendente di D’Annunzio nel film di Piero Marcello dedicato a Eleonora Duse, interpretata da Valeria Bruna Tedeschi. Per il centenario è stato istituito un comitato patrocinato da ministero della Cultura, Vittoriale, città di Asolo, dove la Duse è sepolta, e Fondazione Giorgio Cini di Venezia.
L’inizio dei festeggiamenti avverrà al Vittoriale domani con una prima, piccola mostra «molto densa». Sarà possibile osservare il calco delle mani della Duse dopo la morte e se qualcuno trova il particolare macabro, forse non ricorda che le mani intrecciate e gli indici portati delicatamente sulle labbra erano una delle sue cifre da attrice. C’è un abito rosa, di fine Ottocento, del suo guardaroba personale, rarissimo a differenza da quelli di scena. Si possono leggere le lettere autografe della Duse (al Vittoriale ce ne sono oltre settecento). Naturalmente c’è il busto di marmo dell’Officina, dove D’Annunzio scriveva, ancora oggi nel luogo in cui era, sempre velato con un drappo prima che il poeta si mettesse al lavoro.
Senso di colpa verso una donna amata e tradita? «Lo ritengo uno stereotipo. Il loro è stato un incontro di reciproco entusiasmo, di certo l’amore più grande e lungo di D’Annunzio, durato dieci anni, e questo perché era un sentimento legato al lavoro e per lui scrivere era la cosa più importante, più del sesso e di qualsiasi altra cosa». Si può dire la medesima cosa di Eleonora Duse o sacrificò tutto, denaro, carriera, cuore al fascino di lui? «Su un piano teatrale, fu un rapporto di reciproco sfruttamento, perché la Duse ha lavorato con il più grande intellettuale del tempo, e grazie a lui ha cambiato genere teatrale, superando i classici dell’Ottocento. È vero che lo ha finanziato, ma non dimentichiamo che Eleonora Duse era anche un’imprenditrice, non solo un’attrice e che non si è rovinata. D’Annunzio non era uno che campava sulle donne, semmai le copriva di regali ed è stato così anche con lei, con i gioielli e le sete che Eleonora tanto amava. Il tradimento teatrale era inevitabile: nel 1904 la Duse aveva 46 anni e il personaggio della figlia di Iorio 18. Lei provava una gelosia disperata anche per una giovane attrice e un giorno la prese di peso, gliela buttò sul letto e gli disse: La vuoi, eccola!. Melodrammatica».
La passione in tensione tra vita e arte è fondamentale in «Il Fuoco», il romanzo scandalo della loro vita. «Lì lui racconta la storia d’amore con la Duse dicendo anche cose molto sgradevoli, quando tutti capivano che parlava di lei. Scriveva di essere stanco, di ritrovarsela sempre sopra, che non la sopportava, provava una sorta di ripugnanza. Prima che venisse pubblicato, tutti, compreso l’agente di lei, le chiesero di bloccarlo ma lei non volle. Disse: Non posso impedire l’uscita un altro capolavoro. E poi ho quaranta anni e amo».
Dopo la mostra e il film le celebrazioni continueranno con la riduzione di Guerri di uno spettacolo di D’Annunzio per la Duse. Lei avrà molto spazio al Festival dannunziano di Pescara. Sono in arrivo anche molti libri, tra i più recenti di Maria Pagani, che ne è una cultrice, «Ammiratrici di Eleonora Duse» (2022) e «Creatura di poesia. Vita in versi di Eleonora Duse» (2023).
Soffriamo ancora oggi nel pensare che oltre settecento lettere di D’Annunzio alla Duse siano state bruciate da una sorta di inquisizione privata. «È stata sua figlia, che per questa scelta pruriginosa avrà scontato anni di Purgatorio. Settecento lettere d’amore di D’Annunzio? Riusciamo a immaginare?».
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