𝐀𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀
Intervista a cura di Claudio Siniscalchi 👇
Amare come ritorno alla realtà
di Marcello Veneziani
12 Febbraio 2024
Intervista a cura di Claudio Siniscalchi
Marcello Veneziani è un intellettuale in perenne movimento. Vive a Roma, in Trastevere. Ma dopo due giorni avverte l’esigenza di scappare. La presentazione di un suo libro. Una conferenza. Una discussione. Un evento. Una visita alla natia Bisceglie. Ogni espediente è valido per filarsela dalla Città Eterna. Si ferma solo, in letizia, nella bella casa di Talamone. Appena riposto il cappotto nell’armadio, si rintana lì. Pensa. Ragiona. Legge. Scrive. E poi scende in riva al mare. Si inerpica sugli scogli e si bagna. Potrebbe fondare un ordine degli eremiti abbrustoliti dal sole e rinfrescati dalle acque tirreniche. È fresco di stampa un suo nuovo smilzo saggio. Ma non affranta questioni politiche, come ci si aspetterebbe. Il titolo è davvero curioso: L’amore necessario. La forza che muove il mondo (Marsilio, pagine 223, euro 18).
Uno studio sull’amore? Ma ti candidi a prendere il posto di Francesco Alberoni, portando la sociologia alle masse?
«Macché – ci risponde ridendo divertito – non ci penso minimamente».
Allora segui la scia di Vito Mancuso e Massimo Recalcati?
«Neppure. Non è un breviario per la terapia di coppia. Da anni rifletto sul pensiero filosofico e spirituale, frequentando assiduamente autori quali Plotino, Dante, Nietzsche, Simone Weil, Cristina Campo. Ed ho scritto, pur se non in forma organica, su tematiche universali. Quali ad esempio l’amore, la vera energia che muove incessantemente il mondo e gli esseri umani. Pertanto, mi è sembrato giusto il momento per misurarmi con un argomento che non sia di stretta attualità o di prospettiva storica». L’amore necessario è suddiviso in nove grandi tematiche: l’amore per la vita, l’amor di coppia, per la famiglia, per il sapere, per la patria, per il mondo, per il destino, per il mistero divino, per la verità.
Una pellicola davvero insolita, Perfect Daysdel tedesco Wim Wenders (candidata all’Oscar come Miglior film straniero), mi sembra l’illustrazione di molti pensieri espressi nel tuo libro.
«Hai ragione. Il film mi è piaciuto molto. È uno dei rari esempi di tendenza inversarispetto al pensiero dominante che regola la cinematografia mondiale, non solo nazionale. Purtroppo, l’ho visto quando avevo già consegnato il testo, altrimenti ne avrei parlato.Rappresenta, nell’apparente semplicità della forma, un inno elevato all’amore per la vita, oltreché un invito a riflettere sull’importanza dell’amore per le piccole cose e per la forza persistente delle tradizioni».L’amore odierno nelle società occidentali è dominato dal narcisismo. Per Veneziani l’avvio di questa tendenza va individuato nel Sessantotto, il vero spartiacque – non politico ma antropologico e comportamentale – della condizione postmoderna. «In quel frangente prende piede il concetto di amore libero, l’esatto contrario di amore necessario.Col trascorrere del tempo, lo aveva già sottolineato il sociologo americano Christopher Lasch nello nello scorcio finale del secolo passato, il narcisismo stava dilagando, assumendo la fisionomia tipica deicomportamenti di massa. Quindi è stato il narcisismo di massa –IO AMO IO – ad accompagnare la rivoluzione sessuale, producendo il dilagare della solitudine».
Nella Genesi, versetto 2,18, sta scritto: «Non è bene che l’uomo sia solo». Oggi sembra essersi verificato l’opposto: la solitudine è la principale malattia della società occidentale.
«Esatto. Tutto si è liquefatto. Anche l’amore, come suggerisce Zygmunt Bauman, è diventato liquido. Dalla famiglia classica, senza ombra di dubbio patriarcale, siamo passati a velocità supersonica alla famiglia queer. Non credo nell’amore libero. Credo ancor meno nell’amore queer, propagandato con passione da Michela Murgia. Mi permetto soltanto di ricordare che l’amore è necessario. Del resto, l’amore è la sola schiavitù che rende liberi. Se l’amore esce dall’orizzonte del mondo, la vita stessa perde senso ed è destinata a eclissarsi,deperire, sino alla definitiva scomparsa».
Come suggerisci viviamo nell’epoca del disamore?
«Certo! Non a caso ci troviamo ad affrontare, quotidianamente, il rancore provocato dal disamore. Rancore sempre più diffuso, che aggredisce le istituzioni, la famiglia, le tradizioni, la storia stessa. Nella società dove sono ormai vaghi, labili i concetti di passato e futuro, a vantaggio del solo presente, il rancore regna sovrano, al pari dell’invidia sociale, della rabbia e del disinteresse».
Di recente hai pubblicato la biografia di Gianbattista Vico. Il grande umanista napoletano si interroga sul ciclico tramonto della società. L’attuale è in una fase di tramonto, anche dal punto di vista dell’amore?
«Il disamore verso la civiltà otterrà il risultato di produrre tecno-bestie artificiali, incapaci di provare sentimenti. La sola garanzia offerta all’umanità, per definirsi e restare tale, è l’amore. Spopola, invece, l’eccessivo amore di sé, egocentrico e autoreferenziale. La perdita dell’amore è rimpiazzata da lusso, consumo, oggetti, fama, ossessiva cura del corpo, moda, successo».
Qualche anno fa Jean Baudrillard, tirando il bilancio della propria avventura intellettuale, esistenza, rilasciò un’intristita intervista: è tutto finito?
«Non sarei così negativo. Amare la vita equivale ad amare il mondo e l’umanità. Ci sono epoche come la nostra, richiamandomi a Vico, nelle quali l’amore tende ad eclissarsi, ad assumere fisionomie persino tragiche. Compito di chi riflette sulle tendenze filosofiche del proprio tempo, è fare chiarezza, sgombrare il campo dagli equivoci, descrivere le cose così come sono. Avendo il coraggio di andare controcorrente, sfidando, se necessario, la corrente avversa delle ovvietà».
(Il giornale, 4 febbraio 2024)