𝐂𝐨𝐧 𝐥𝐞 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐫𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢
Ascoltavo gli accorati appelli alla pace di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio e mi chiedevo: ma servono davvero a qualcosa, convincono qualcuno, fermano le armi e le intenzioni di chi pratica guerra e violenza? No, non servono a niente, non convincono se non chi è già convinto o è solo impotente, incapace di fare del male.
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Ascoltavo gli accorati appelli alla pace di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio e mi chiedevo: ma servono davvero a qualcosa, convincono qualcuno, fermano le armi e le intenzioni di chi pratica guerra e violenza? No, non servono a niente, non convincono se non chi è già convinto o è solo impotente, incapace di fare del male. Ripetono solennemente “mai più guerre”, “mai più violenze”, “non una di più”, che questa vittima sia l’ultima, sapendo di mentire spudoratamente perché l’uomo non cambia, la storia pure e tantomeno cambierà con questi virtuosi sermoni delle anime belle, siano pure papi e capi di stato. Le guerre si fermano con le energiche azioni politiche, diplomatiche e strategiche, non con le orazioni.
La celebrazione del nuovo anno è un fatuo cerimoniale, una residua superstizione che ci portiamo appresso da epoche antiche e che fa di una convenzione insignificante un passaggio liturgico laicamente solenne e festoso. Ma se volessimo entrare nel gioco rituale dei buoni propositi per l’anno appena cominciato, potremmo dire che l’atteggiamento giusto per affrontare il nuovo anno è uscire dalla contabilità delle attese, dall’apparato dei mezzi per affrontarlo, dalla retorica delle pie intenzioni e nutrire piuttosto in ciascuno “immaginazione, sentimento, capacità di entusiasmo, di eroismo, d’illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni”; coltivare la bellezza in tutte le sue forme, esercitarsi a pensare, sentire, vedere, credere. Insomma ingrandire la propria visuale, allargarsi oltre la ragione e le funzioni pratiche, tendere l’orecchio, l’occhio, la mente a ciò che va oltre la quantità, il profitto, il calcolo e gli appetiti.
Il consiglio ci giunge da un ragazzo sventurato di 23 anni, noto per il suo pessimismo tragico e la sua disperazione assoluta. L’esortazione ci perviene in forma negativa ed è rivolta a un ipotetico filosofo ma in realtà vale un po’ per tutti. Suona esattamente così: “Chi non ha o non ha mai avuto immaginazione, sentimento, capacità di entusiasmo, di eroismo, d’illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni, chi non conosce l’immenso sistema del bello, chi non legge o non sente, o non ha mai letto o sentito i poeti” ha solo corta vista e scarsa penetrazione. Il consigliere in questione è Giacomo Leopardi, la fonte è il suo Zibaldone, è datato 4 ottobre del 1821.
Alla mente eroica e al fervido incrocio di immaginazione e memoria, fantasia creatrice e curiosità verso ciò che accadde ed accade nel mondo, esortò i suoi allievi Giambattista Vico ormai settantenne nella sua ultima orazione all’Università di Napoli. Anche lui era tutt’altro che un giulivo credente del nuovo e del domani migliore di ieri; tutt’altro che ottimista, anzi dichiaratamente infelice e d’indole malinconica. E tuttavia quando si poneva il problema di insegnare, ossia di lasciare segni in chi lo ascoltava, aveva il coraggio di oltrepassare il suo stato d’animo e aprire il suo cuore intelligente all’ardire eroico del sapere e all’orizzonte d’attesa: e dire ai suoi allievi e a chi lo ascoltava che col passare del tempo il mondo ringiovanisce, anziché invecchiare: perché scopre di continuo nuovi inizi, nuove scoperte, nuove invenzioni, nuove scienze e intuizioni. Lasciava a se stesso la sfiducia e la malinconia, ma donava agli altri lo stupore di essere al mondo, la voglia di amare la vita, la storia, il mondo e amare il sapere e il futuro. E infine evocava una fiducia trascendentale che era poi la mano materna della divina provvidenza. In fondo eroica è la mente che pur conoscendo la finitudine e la morte come destino umano, si sporge a configurare un intrepido avvenire e a trasmettere questa fiducia, questo desiderio d’eternità alle giovani generazioni.
Anche Petrarca, nel suo elogio malinconico della vita solitaria non si chiude al mondo ma si propone di offrire doni al suo lettore, “secondo l’annuale fertilità o sterilità del mio ingegno”. Elogia la vita solitaria ma respinge la desolazione e vuol rendere fruttuosa non solo per sé la vita appartata.
I migliori consigli, di solito non giungono dai dispensatori di ottimismo o dai predicatori a salve perché senti che sono superficiali, a volte ipocriti, non ti dicono la verità, e comunque tacciono sulla reale condizione umana; ma da chi come Leopardi, come Vico, o come Petrarca, non tace l’orrore del male, del vuoto e del negativo, sa cogliere il lato oscuro, amaro e precario della vita. E su quell’orlo estremo, affacciato sull’abisso, trova l’energia per infondere significato, sapore ed amore alla vita. Invece è inutile lanciare accorati appelli e vani auguri di pace.
Meglio cambiare l’orizzonte d’attesa: anziché aspettarsi qualcosa dal mondo, dagli altri o cercare l’altrui riconoscimento, impegnarsi piuttosto a realizzare i propositi. Solo così le attese non sono in balia di fattori esterni, ondivaghi e imponderabili, ma sono legate a ciò che facciamo, e come lo facciamo. Gli esiti poi saranno nelle mani della sorte; intanto noi abbiamo fatto tutto quel che potevamo fare e ci siamo disposti nella direzione che reputiamo più giusta.
Rispetto ai sermoni retorici suonano più autentiche le parole e i propositi di chi non coltiva illusioni; o di chi, come Leopardi, esorta a coltivare le illusioni sapendo però che sono tali. Magari con l’avvertenza aggiuntiva che l’illusione non è il contrario della verità, ma un genere diverso, al di là del vero e del falso, di cui non abbiamo alcuna certezza; ma su cui, in ogni caso, decidiamo di scommettere. Non è pura finzione ma è consapevole scelta di vivere come se fosse vera.
Alla fine, ogni rito d’inizio del nuovo anno, ogni scambio di auguri e ogni professione di fiducia nell’anno che verrà, si affida sotto falso nome a una provvidenza divina, benevola e imperscrutabile, diversamente rappresentata. Per non naufragare ci aggrappiamo ai relitti di antiche speranze o di vecchie illusioni. Perché non ci sarebbe altrimenti alcun fondamento logico e causale, reale e razionale, allo scambio d’auguri, all’auspicio e all’attesa di un anno migliore. Ridicola è l’umanità a ogni passaggio d’anno: rimuove ogni fede e poi osserva la scaramanzia, ripudia ogni verità e poi pratica la superstizione, cancella le preghiere e poi si affida alla vacuità dei predicozzi.
La Verità – 5 gennaio 2024