𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐓𝐨𝐥𝐤𝐢𝐞𝐧 𝐚𝐦𝐦𝐚𝐥𝐢𝐨̀ 𝐢 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐢 𝐝𝐢 𝐝𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚
Tolkien e la destra, questo matrimonio non s’ha da fare: è ridicolo e patetico, secondo alcuni, è un’appropriazione indebita, secondo altri. E i secondi intimano: giù le mani da Tolkien e dalla sua opera, non è roba vostra. Oggi s’inaugura la mostra su Tolkien e il giudizio dei Maestri Censori oscilla tra questi due anatemi.
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Perché Tolkien ammaliò i ragazzi di destra
di Marcello Veneziani
15 Novembre 2023
Tolkien e la destra, questo matrimonio non s’ha da fare: è ridicolo e patetico, secondo alcuni, è un’appropriazione indebita, secondo altri. Vi siete bevuti la testa, con gli hobbit non si governa un paese, dicono i primi. E i secondi intimano: giù le mani da Tolkien e dalla sua opera, non è roba vostra. Oggi s’inaugura la mostra su Tolkien e il giudizio dei Maestri Censori oscilla tra questi due anatemi.
Non sono un tolkeniano, ma gioisco per la mostra, pensando ai tanti che si formarono sul Signore degli Anelli, e agli impresari e divulgatori del tolkenismo nostrano; a partire da Alfredo Cattabiani che lo pubblicò da Rusconi, Elémire Zolla che lo propose, Gianfranco De Turris che ne è il vicario nostrano e Oronzo Cilli che ha curato la mostra.
Quand’ero ragazzo, il Signore degli Anelli era una specie di bibbia favolosa per i giovani di destra in libera uscita dalla storia; ma era anche un nuovo libro Cuore per la formazione dei ragazzi al tempo degli anni di piombo. Era un breviario per la gioventù tradizionalista, che piaceva sia ai cattolici che ai neopagani; quei ragazzi si allontanavano dalla mitologia fascista per abbracciare una nuova mitologia fuori dalla storia e dall’ideologia. Una mitologia mite, ecologista, nutrita di boschi e di pacifici hobbit, creature piccole, buffe, inoffensive. Certo, poi c’erano i maghi che erano la trasposizione in fiaba degli Evola e dei Guénon, c’erano i guerrieri che lottavano con la Compagnia dell’Anello. Quel viaggio fantastico tra gli Hobbit disarmava l’egoismo, la brama di potere, la volontà di potenza. Una teologia primordiale e puerile, una specie di scoutismo eroico e magico, dove si intrecciano elementi celtici e pagani ed elementi cristiani, e dove si contrappongono in modo netto le forze del bene e le forze del male. Con gli hobbit e l’eroic fantasy molti giovani di destra cercavano la loro rivincita dal regno storico dei vinti. La sinistra reputava il tolkenismo di destra un’oasi di ricreazione del nazismo, quasi l’asilo nido per la militanza fascista.
Non amavo gli hobbit, non mi piaceva il ripiegamento nella dimensione fiabesca della fantasy e dei mezzi uomini dai piedi pelosi. La consideravo una fuga dalla realtà, frutto dell’incapacità di affrontare il mondo, preferendo rifarsi delle sconfitte storiche rifugiandosi nei castelli della fantasia. Tolkien dava una rappresentazione fiabesca del Mondo della Tradizione; quasi un rifugio in un mondo magico di eroi, maghi e demoni e la realtà della vita quotidiana. Ricordo in quegli anni le riviste e rivistine dell’ambiente militante della destra dedicate a la Contea, a Eowin, agli Elfi, alla Terra di mezzo; il gruppo musicale dedicato alla Compagnia dell’Anello; partecipai al primo campo Hobbit dove si dettero appuntamento i ragazzi di destra in un luogo che non era la Nuova Zelanda ma più modestamente Montesarchio, poco amena località presso Benevento. Pareva un campo di concentramento, ma eravamo grati a Generoso Simeone che organizzò quel raduno. Quell’universo tolkieniano aveva dato un legame comunitario a quell’ambiente, lo aveva traghettato su sponde diverse dove la natura e la mitologia prendevano il posto della storia e dell’ideologia coltivando nostalgie più mansuete; ma proprio quell’innocuità da hobbit, che per me erano una variante dei puffi, mi pareva una fuga e una resa. Tolkienismo, malattia infantile del tradizionalismo. E poi trovavo noioso quel librone. Meglio Pinocchio.
Ma gli hobbit e gli elfi nel frattempo hanno colonizzato l’immaginario globale, sono esplosi al cinema e tra le masse. Quei giovani sognatori di Frodo erano gli ignari precursori di un bisogno profondo, diffuso e insoddisfatto. Come può una saga priva di storie d’amore, di sesso, priva di storia, di modernità, perfino priva di scarpe, suscitare una così accesa passione planetaria? C’è qualcosa che sfugge alle contabilità del nostro tempo.
La fuga dal presente cresceva anche a sinistra, ma anziché inseguire tempi favolosi e medioevi dello spirito, come facevano i ragazzi di destra, inseguivano miti esotici e rivoluzioni premoderne, ondeggiando tra Mao, Hochimin e il Che. L’altrove della destra era fuori dal tempo; l’altrove della sinistra rivoluzionaria era fuori dallo spazio capitalistico-occidentale. Gli uni a cavallo, gli altri in bicicletta. L’unico Medioevo che si affacciò poi a sinistra fu quello del Nome della rosa; ma il loro Tolkien era l’Eco dell’illuminismo e del progressismo. A destra, Tolkien ridava invece fiato all’immaginario simbolico del Graal, di Re Artù e perfino alla Divina Commedia col suo cammino iniziatico dagli inferi al cielo. Il sacro si incontrava con il santo, il mito con la storia sacra, e gli elfi apparivano un po’ angeli e un po’ déi, tra fate e madonne in una rappresentazione infantile e manichea della lotta tra il Bene e il Male. Mi guardavo intorno e vedevo emergere soprattutto il Grigio, la confusione di bene e male o la loro anemia, l’indifferenza a entrambi, il meschino vivere al di qua del bene e del male. Nessuno più ricorda i libri di culto della sinistra giovanile negli anni settanta mentre è ancora vivo oggi il librone che piaceva ai ragazzi di destra. Come mai la colta sinistra ha ceduto il Libro all’incolta destra dei boschi? Perché il bisogno di coltivare mondi ulteriori, di viaggiare in dimensioni fantastiche, di passare dall’inferno al paradiso, ce lo portiamo dentro di noi, sempre. Il mito abita dentro la nostra anima, e niente può sfrattarlo; il senso del sacro è una dimensione radicale, costitutiva del nostro essere uomini. Possiamo figurarlo in modi diversi, ma non sopprimerlo. Da quando il mondo ha scoperto di essere dentro un’unica dimensione globale, si avverte ancor più il bisogno di abitare un’altra città non dominata dalla tecnica e dall’economia. Una città dell’anima e dei sogni, dove abitano i desideri e le pulsioni, i sentimenti e i valori negati nella realtà. E’ il bisogno di connettersi a un’altra dimensione, la necessità di trascendere il nostro io piccino e quotidiano, il nostro presente meschino e profano. Non sappiamo vivere senza un aldilà. Oltre la fisica cerchiamo una metafisica. Anche puerile, anche impraticabile, e fantasiosa; ma ne abbiamo bisogno come il pane; anzi il lembas, il pane degli elfi.
La Verità – 14 novembre 2023