𝐁𝐞𝐧𝐯𝐞𝐧𝐮𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥 𝐫𝐢𝐟𝐢𝐮𝐭𝐨
Passo davanti a una montagna di rifiuti nel cuore di Roma e mi viene da pensare che la nostra società, sommersa dai rifiuti, stia riducendo pure la vita umana a materiale in transito, destinata al compostaggio, alla discarica e all’incenerimento.
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Benvenuti nella società del rifiuto
di Marcello Veneziani
13 Novembre 2023
Passo davanti a una montagna di rifiuti nel cuore di Roma e mi viene da pensare che la nostra società, sommersa dai rifiuti, stia riducendo pure la vita umana a materiale in transito, destinata al compostaggio, alla discarica e all’incenerimento. Dell’umanità resterà solo un cumulo di rifiuti. La rapidità con cui cancelliamo la nostra storia, la nostra memoria, la nostra identità e tradizione e la nostra umanità, la negazione di ogni durata, la certezza che di noi non resterà nulla, ci destina a essere inceneriti come rifiuti organici; la nostra unica, flebile speranza è nella raccolta differenziata. Ovvero l’umido, l’organico…
C’è un nesso, almeno simbolico, tra i termovalorizzatori per smaltire i rifiuti urbani e gli inceneritori preposti alla cremazione dei defunti. Coincide la sorte degli oggetti e quella dei soggetti, entrambi destinati a incenerirsi. Risale un vecchio motto medievale, riesumato da Giovanni Papini: Homo? Humus, Fama? Fumus, Finis? Cinis. L’uomo si fa polvere, la fama è fumo, di noi resterà solo la cenere.
Ma proviamo a concettualizzare il rifiuto, a pensarlo come categoria, metafora e simbolo. Cos’è il rifiuto che sommerge le nostre città e che riusciamo con difficoltà a smaltire? Il rifiuto è il presente di un bene passato, quel che resta di oggetti e alimenti che un tempo erano appetibili, desiderabili. In questa prospettiva, il rifiuto è l’avvenire del nostro presente; quel che oggi è il nostro mondo, domani saranno i suoi residui, le sue carcasse, i suoi avanzi. Questa parabola si applica, senza sostanziali differenze, anche all’umano, una volta perduta l’idea, la convinzione, la speranza che qualcosa resti di noi, e si salvi dal nostro morire. Oggi l’immortalità è riconosciuta alla plastica, non all’umano; la sua “materia” non biodegradabile è la minaccia che quell’isola di rifiuti plastici nell’Oceano diventi sempre più grande, un continente, e soffochi la vita del pianeta. L’uomo passa, resta la plastica.
Herbert Marcuse, il filosofo francofortese della Contestazione globale, teorizzò negli anni sessanta del secolo scorso il Gran Rifiuto o Rifiuto Globale, ovvero la conseguenza militante e rivoluzionaria del pensiero negativo. Il Gran Rifiuto era l’esito radicale della Contestazione, il pensiero che dice no alla società globale che si andava delineando. La prima volta che si parlò di globale fu in relazione al rifiuto. Il Rifiuto Globale si poneva agli antipodi del consumismo, di cui denunciava il diffondersi nelle società benestanti ed avanzate, producendo alienazione e omologazione; ma a ben vedere la società del consumo si converte essa stessa nella società dei rifiuti. È la rapida obsolescenza delle cose e il rapido passaggio da oggetti del desiderio a rifiuti consumati. Paradossalmente la filosofia del Rifiuto è la più adatta a rappresentare l’avvento del consumismo; che estendeva il rifiuto dalle merci anche agli umani.
Per chi ha ricordi liceali, il Gran Rifiuto era associato a un verso famoso di Dante Alighieri a proposito di Papa Celestino V, “colui che fece per viltade il gran rifiuto”, ovvero rinunciò al pontificato; e perciò Dante lo destinò post mortem nel girone degli ignavi. Ben altra lettura fece Petrarca del gesto di quel Papa, al secolo Pietro da Morrone; nel De vita solitaria il poeta vide nel suo rifiuto il tentativo di salvaguardare la sua anima e la sua solitudine di eremita dagli affanni mondani del pontificato.
Il rifiuto globale di Marcuse era tutt’altro che una rinuncia nel nome dell’ascesi; era piuttosto un atto di rivolta contro il potere per rovesciarlo e riprendersi “ciò che è nostro”. Ma il rifiuto dei contestatori col tempo mutò in accettazione del sistema capitalistico; così accadde che gli agenti del Rifiuto diventarono i più solerti funzionari della società che contestavano. Vinse la società dei consumi, e si fece società dei rifiuti. Più crescevano i consumi, più crescevano i rifiuti. E mentre si perdeva l’utopia rivoluzionaria, la società dei consumi assorbiva nel suo ciclo anche gli uomini, strumentalizzando i loro desideri e le loro pulsioni. Fino al punto di produrre quelle che Zygmunt Bauman ha poi definito “le vite di scarto”, ossia coloro che vivono ai margini della società, considerati eccedenti, ingombri da smaltire. La società liquida è anche società dei liquami. Parlando di vite di scarto Bauman si riferiva ai poveri del pianeta, non solo d’Occidente; ma la definizione di vite di scarto, adoperata anche da Papa Francesco, si può estendere a tutti coloro che non sono funzionali a questa società: come i vecchi, ritenuti rami secchi e improduttivi, incompatibili col ciclo produzione-consumo, sempre più numerosi grazie alla longevità; ma anche i bambini sgraditi, non desiderati, rispetto ai quali non c’è solo la contraccezione e la separazione del sesso dalla procreazione ma anche l’interruzione di gravidanza, come ipocritamente si definisce l’aborto.
Accade così paradossalmente che nella società dell’inclusione e dell’accoglienza, i rifiutati siano in numero sempre più crescente; a cui si aggiungono coloro che sono rifiutati perché divergono dal pensiero unico e dai suoi orizzonti; non allineati, non conformi alla Cappa e scontenti. In una parola, i tanti che hanno il coraggio di pensare diversamente e di rifiutare l’orizzonte di questa società fondata sul rifiuto della vita, della realtà, della natura; sul primato del non essere rispetto all’essere, dei desideri sulla realtà, del mondo artificiale, fin nell’intelligenza, sul mondo reale e naturale.
Ma chi è rifiutato alla fine rifiuta, e infatti cresce il numero degli scontenti. I social ne sono una spia e una palestra. C’è rifiuto e rifiuto: c’è chi rifiuta l’ordine naturale, l’identità, il destino, la realtà e chi invece rifiuta il disordine costituito, la cappa, il mainstream, il conformismo. Così come c’è un rifiuto che inquina e degrada e c’è un rifiuto riciclato, che produce energia o si fa concime per i campi. In ogni caso, il rifiuto è oggi la sorte inevitabile per un’umanità che cancella dalla vita la generazione e la rigenerazione, la durata e l’aspirazione all’eternità. Urge un pensiero fondativo, creativo, rivolto alla nascita, all’inizio…
La Verità – 12 novembre 2023