Il premier di consolazione

𝐈𝐥 𝐩𝐫𝐞𝐦𝐢𝐞𝐫 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐨𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞
Stavolta non è una chiacchiera, almeno così pare. Stavolta si fa sul serio. Dopo sessant’anni d’invocazione, arriva in Italia il Presidente eletto dal popolo.

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Il premier di consolazione
di Marcello Veneziani
02 Novembre 2023

Stavolta non è una chiacchiera, almeno così pare. Stavolta si fa sul serio. Dopo sessant’anni d’invocazione, arriva in Italia il Presidente eletto dal popolo. È un’idea che piace da tempo alla gran maggioranza degli italiani, anche se arriva in un momento in cui si pensa poco a riforme di questo tipo e si spera poco dai cambiamenti politico-costituzionali. È un’idea che si è rimpicciolita strada facendo, passando dalla repubblica presidenziale al più modesto premierato, fermo restando il Quirinale e i suoi poteri, anche per godere della non belligeranza di Sergio Mattarella.
Ma sarebbe comunque una buona correzione di rotta, perché sposta il baricentro della politica sul popolo sovrano, frena la tentazione di ricorrere ai tecnici e offre maggiori garanzie di stabilità e continuità ai governi eletti dal popolo, scoraggiando i voltagabbana e le congiure di palazzo. In più cancella i senatori a vita, che dovevano essere i padri autorevoli, super partes, della nazione, e invece sono diventati il partito-gerontocomio del presidente della repubblica, quasi sempre tutto a sostegno del centro-sinistra. Insomma, non si tratta di un grande riforma, non sarà una riforma che cambierà chissacché, ma una buona, giusta, realistica riforma. E una buona mediazione rispetto alla cornice costituzionale e alla bilancia dei poteri. Deriva dalle campagna per il “sindaco per l’Italia” lanciata prima da Mariotto Segni e poi da Matteo Renzi che infatti sostiene la maggioranza in questo progetto di riforma.
Ma la piccola Giorgia riesce a coronare un sogno che seguì come un’ombra la repubblica parlamentare, da quando nacque il centro-sinistra. Era la fine del 1963, stava nascendo il governo Moro con i socialisti, e l’indomito Randolfo Pacciardi, repubblicano, combattente antifascista e antifranchista, mazziniano e massone, ruppe col partito di La Malfa di cui era stato leader e più volte ministro, e fondò, agli inizi del ’64, la Nuova Repubblica (con lui c’era, tra gli altri, Giano Accame). L’idea era quella d’importare in Italia il modello De Gaulle, ma anche il modello americano (Pacciardi era diventato, da ministro della difesa, uomo di fiducia del Pentagono e degli Stati Uniti, nemico della Russia, amico d’Israele; un po’ come la Meloni).
Piccola parentesi: giorni fa, la Repubblica ha affidato la stroncatura di questa riforma al costituzionalista Michele Ainis, che preso dalla foga di squalificare il progetto presidenzialista, si è inventato che quel progetto fosse nato nel 1964 da Giorgio Pisanò, il combattivo giornalista neofascista poi diventato senatore missino e infine fondatore del movimento fascismo e libertà. Definendo la Meloni “nonna” della riforma presidenziale (non doveva essere lucido in quel momento) il professor Ainis scrive testualmente nel suo editoriale del 30 ottobre: “il primo movimento politico per “Una nuova repubblica” venne fondato dal fascista Giorgio Pisanò nel 1964”. Per un costituzionalista, dimenticare Pacciardi, la paternità storica della riforma e il movimento che creò, pur di attribuire un marchio “fascista” alla riforma, è un errore vistoso. Pisanò sposò la battaglia presidenzialista quando si candidò per il Msi nel 1972, dopo aver ripreso il settimanale Candido alla morte di Giovanni Guareschi, nel 1968. Il Candido fece campagne contro Moro e i socialisti e a favore di Amintore Fanfani presidente (era il nostro mezzo De Gaulle, ma poi i missini si accontentarono di votare Giovanni Leone per il Quirinale).
Pacciardi fu “bruciato” con le accuse di golpismo insieme a Edgardo Sogno (un golpismo bianco, di due antifascisti e anticomunisti filoatlantici); ma col neofascismo Pacciardi non c’entrava nulla. In realtà solo dopo Pacciardi, e dopo il movimento presidenzialista democristiano di Europa ’70, di Bartolo Ciccardini e Mario Segni, il presidenzialismo diventò un cavallo di battaglia del Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante. Per il Msi si trattava pure di riprendere un progetto nato in piena repubblica sociale, quando Carlo Alberto Biggini delineò un disegno costituzionale presidenzialista, proiettandosi dopo la guerra e presumibilmente dopo il fascismo, verso uno Stato nazionale del Lavoro (fu il parlamentare veneto Franco Franchi a ricostruirne il filo storico). L’idea della repubblica presidenziale restò un cavallo di battaglia missino; e tale restò in eredità anche a Fini e ad Alleanza nazionale. Ma quando venne la seconda repubblica né Fini né Berlusconi riuscirono o vollero realizzare quella svolta presidenzialista che veniva sempre annunciata nelle campagne elettorali per poi puntualmente sparire; ma allora aveva un seguito e un consenso di popolo che oggi è molto raffreddato.
Adesso il premierato serve soprattutto a impedire che il governo del paese passi alle mani di tecnici e di inciuci, come è successo troppo spesso in questi ultimi dieci anni. Poi, certo, i problemi strutturali restano tutti: la politica decide poco ed è poco sovrana a livello nazionale, segue le direttive che vengono assegnate ai governi da entità sovranazionali: Unione Europea, Alleanza Atlantica, Banche centrali e altri organismi sovranazionali di pressione e orientamento. Ma almeno è un piccolo segnale. Che l’elezione diretta del premier abbia poca giurisprudenza a suo favore, e sia stata tentata solo in Israele, lo diceva già Giovanni Sartori trent’anni fa; ma se non si vuole alterare l’equilibrio costituzionale, tra i poteri e in politica tra Parlamento, Governo e Capo dello Stato, ci sembra una proposta realista ed equilibrata. Poi, ti affacci alla finestra, vedi che sta succedendo nel mondo, guardi in faccia chi oggi rappresenta la politica e concludi che la riforma non cambia quasi nulla. Ma in quel quasi, in quel poco, in quel simbolo, a volte si rifugia il residuo senso della politica, la sua ultima missione e la sua piccola dignità. Diamo un premier di consolazione all’Italia…

La Verità – 1 novembre 2023