Il jihad contro Israele: dove si colloca la Turchia?
di Burak Bekdil 11 ottobre 2023
Pezzo in lingua originale inglese: Jihad on Israel: Where Does Turkey Stand?
Traduzioni di Angelita La Spada
Il fanatico retaggio anti-israeliano del presidente turco Recep Tayyip Erdoĝan ha avvelenato “con successo” una società già xenofoba e probabilmente ci vorranno generazioni per rimediare. Nella foto: Erdoĝan (a destra) rende omaggio al leader di Hamas Ismail Haniyeh al Parlamento di Ankara. (Copyright foto di Adem Altan/AFP via Getty Images)
Quando il 7 ottobre il gruppo terroristico Hamas ha lanciato un barbato attacco contro Israele, uccidendo più di 900 uomini, donne e bambini israeliani (e ferendone altre migliaia), il presidente turco Recep Tayyip Erdoĝan, anziché scagliare le sue solite invettive incendiarie contro Israele, ha invitato insolitamente alla moderazione entrambe le parti.
Tuttavia, l’ascesa dell’Islam politico in Turchia negli ultimi due decenni e l’innato antisionismo di Erdoĝan, il quale una volta definì il sionismo un crimine contro l’umanità, sembrano avere lasciato un segno indelebile nella psiche turca. Oltre ai suoi equilibrati inviti alla moderazione apertamente imparziali, Erdoĝan ha anche detto che l’istituzione di uno Stato palestinese è una necessità che non può essere procrastinata.
La massima autorità religiosa turca, il professor Ali Erbas, il quale risponde direttamente a Erdoĝan, è stato meno imparziale. Erbas , a capo della Direzione per gli Affari Religiosi (Diyanet), un dicastero che gestisce il bilancio di più di dodici ministeri messi insieme, ha affermato che Israele dovrebbe “ritirarsi dai territori palestinesi occupati”, aggiungendo che “siamo al fianco del popolo palestinese oppresso e sosteniamo la lotta per la libertà della Moschea di A-Aqsa…”.
“La lotta dei palestinesi per la resistenza è legittima”, ha commentato Zekeriya Yapıcıoğlu, partner della coalizione di Erdogan, leader del partito HUDA-PAR.
L’attacco omicida di Hamas, che il gruppo ha ribattezzato “Operazione Tempesta Al-Aqsa” ha ancora una volta rivelato il sentimento dominante turco riguardo al conflitto israelo-palestinese. È davvero strano che la Turchia, una nazione che negli ultimi quarant’anni ha subito attacchi terroristici in cui hanno perso la vita 50 mila persone, non possa in modo così radicale mostrare un minimo di empatia di fronte a indicibili attacchi contro un’altra nazione. Ma l’empatia non è una delle spiccate qualità dei turchi.
Il quotidiano militante islamista Yeni Akit ha definito la campagna terroristica di Hamas “una vittoria storica”. L’articolo aggiunge particolari asserendo: “Ecco quanti sionisti sono stati uccisi”. Presumibilmente, più vittime sioniste sono, meglio è. I giornalisti di questo quotidiano sono ospiti abituali del jet privato di Erdoĝan. E quando un politico curdo locale parla dei palestinesi come dei “figli di una tribù che seppelliva vive le neonate”, Yeni Akit lo attacca definendolo “feccia israeliana”.
Il quotidiano filo-Erdoğan Yeni Şafak ha scritto che “lo stato terrorista di Israele prende di mira i civili”. Che cosa?! La “post-verità” raggiunge nuove vette.
Un altro quotidiano pro-Erdoĝan, Star, ha etichettato l’intera spirale di violenza come “oppressione israeliana”. Mentre Hamas massacrava centinaia di civili israeliani e prendeva in ostaggio almeno un centinaio di uomini, donne e bambini, Star titolava: “Israele attacca un edificio di 14 piani a Gaza”.
Sabah, un altro quotidiano fermamente pro-Erdoğan ha annunciato sconsideratamente che “gli israeliani stanno fuggendo in massa dal Paese”.
Yeni Akit ha affermato che i “sionisti hanno preso di mira i giornalisti (…) [questa] non è solo una violazione dei diritti umani, ma anche un tentativo di censurare la stampa e un tradimento della legge universale”. Sul serio? Voi rispettate i diritti umani sfregandovi le mani e contando i morti israeliani.
Nel frattempo, folle organizzate da tre ONG islamiste turche si sono radunate presso la Moschea di Fatih a Istanbul in segno di solidarietà con gli “eroi di Al-Aqsa”. Sono state dette preghiere per i terroristi. Yeni Akit ha annunciato che “i jihadisti che hanno rotto l’assedio sono a Istanbul”. Il titolo strilla: “Il sionismo pugnalato al cuore”.
Stando a questo giornale, quello che sta accadendo dal 7 è “un’altra ondata di terrore israeliano”. E secondo quanto riportato da un altro quotidiano filogovernativo, Türkiye, “Israele sta massacrando persone via terra e via aria”.
L’emittente statale turca TRT ha spiegato in un articolo perché tutto questo è dovuto accadere: “(…) dopo che un palestinese è stato ucciso durante gli scontri con coloni illegali nella città occupata di Huwara, in Cisgiordania”. E fa una citazione: “È stato lanciato un attacco per ritenere Israele responsabile della sua aggressione”.
Yeni Akit si è lagnato del fatto che i sionisti hanno interrotto la fornitura di energia elettrica a Gaza. Ha affermato che l’attacco di Hamas è stato un “jihad contro lo stato terrorista di Israele”. Gli islamisti turchi accusano Israele di non aiutare Hamas rifiutandosi di fornire elettricità, denaro, armi, equipaggiamento e addestramento ai residenti di Gaza per uccidere altri israeliani.
In mezzo a tutte queste assurdità, un canale di notizie, HaberTürk, ha trasmesso un’intervista in diretta a Irit Lillian, ambasciatrice di Israele in Turchia. E l’islamista Milli Gazete ha reagito scrivendo: “Come osate! Mentre i combattenti per la libertà di Hamas mandano all’inferno decine di occupanti…”. Secondo Milli Gazete, questa è una “apocalisse per Israele” e le vittime palestinesi sono “martiri”.
C’è una pace fragile tra Ankara e Gerusalemme. In teoria, Erdoğan si è riconciliato con Israele, ma le relazioni diplomatiche sono state completamente ristabilite solamente dopo che la sua promessa di isolare Israele a livello internazionale aveva comportato per la Turchia un elevato costo geopolitico.
Il fanatico retaggio anti-israeliano del presidente turco Recep Tayyip Erdoĝan ha avvelenato “con successo” una società già xenofoba e probabilmente ci vorranno generazioni per rimediare.
Burak Bekdil, uno dei maggiori giornalisti turchi, è stato di recente licenziato da un importante quotidiano del paese dopo 29 anni di lavoro, per aver scritto sul sito web del Gatestone ciò che sta accadendo in Turchia. È membro del Middle East Forum.