𝐑𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐈𝐧𝐝𝐫o
Montanelli fu mai censurato? Non riuscirono a censurarlo perché la sua prosa era sottile come un fioretto o come le sue gambe, che pure i terroristi riuscirono a colpire, centrando l’esile obiettivo dei suoi rami lunghi e secchi da locomozione.
Ebbe qualche problema indiretto di censura quando legò il suo Giornale a TeleMontecarlo, attaccato da pretori d’assalto, sinistre e perfino attentati terroristici contro l’emittente privata, che quasi coincisero con la gambizzazione di Montanelli. Una volta fu censurato dalla Rai: era il tempo in cui con il Giornale stava attaccando duramente Ciriaco De Mita per l’Iripiniagate, dopo il terremoto del 23 novembre 1980. Gli annullarono un’intervista a Domenica in, lui denunciò la censura. Poi cercarono di riparare. Per quell’inchiesta sul Giornale fu pure trascinato in tribunale per diffamazione a mezzo stampa. Ma Indro ne uscì alla grande, e restarono memorabili alcune sue battute su politica e malavita pronunciate in tribunale. Fu assolto a furor di popolo e di legge.
Montanelli subì però una duratura e subdola forma di censura con il Giornale, dal 1974 in poi, perché di destra; negli anni settanta, in città, fu temerario comprarlo in edicola e mostrarlo in strada. Eppure Montanelli aveva spiegato in una lettera ad Alessandro Galante Garrone, il 10 agosto del 1974, che si era assunto col Giornale il compito di rappresentare la “maggioranza silenziosa” ma per ricondurla all’ovile della democrazia liberale, non per sospingerla verso il Msi di Almirante; nella convinzione che fossero su una falsa strada ma c’erano tra loro tante brave persone (cit. in S.Gerbi-R.Liucci, Montanelli, l’anarchico borghese). Poi la gambizzazione e la censura nelle notizie sulla stampa, a partire da un memorabile titolo apparso sul Corriere della sera che ometteva il suo nome.
Quanto al suo passato in epoca fascista, Montanelli spiegò in più occasioni il “suo” fascismo e poi il suo disincanto, la sua fronda, il “suo” antifascismo. Ma la confessione più bella e più sincera sul periodo fascista la scrisse con lo pseudonimo di Antonio Siberia, il 4 febbraio del 1955, sul Borghese di Leo Longanesi, in un articolo intitolato “Proibito ai minori di quarant’anni” (riprodotto in fondo al libro da me introdotto Contro ogni censura) che in realtà parlava più di passioni e illusioni giovanili che di censure e divieti di regime. Per raccontare in sintesi il suo difficile cammino di libertà nel tempo del conformismo, che è una censura viscida e informe, gommosa e infame, conviene citare le sue parole a chiusura dell’avventura di direttore, il 12 aprile del 1995: “Per tenere e difendere le mie posizioni, ho dovuto in questi ultimi anni, fondare due giornali contro: contro la sinistra quando era la sinistra a minacciarle: ed ora contro l’attuale parodia di destra che le sta – cosa ancora più pericolosa – discreditando. Due battaglie, due sconfitte, di cui vado ugualmente fiero, ma che mi hanno lasciato addosso – nel morale ma anche nel fisico troppe cicatrici”(…) Montanelli fu la sintesi giornalistica di un anti-italiano dichiarato come il suo venerato Prezzolini e un arcitaliano confesso come il suo caro nemico Malaparte. Maltrattò l’Italia e mostrò disgusto per gli italiani, fustigò i suoi vizi e i suoi vezzi, non sopportò le sue smancerie e la sua retorica pomposa. Fu di destra ma non adorò né Dio, né la patria né la famiglia. Fu arcitaliano nei gusti e nei disgusti, oltre che arcitoscano come i due predetti scrittori. Fu arcitaliano pure nello stile, nell’umorismo e nell’improvvisazione, negli umori e malumori, lievemente qualunquista e ondivago, come gli italiani, sempre all’opposizione ma poi governativo per fatalismo e per male minore (turarsi il naso e votare Dc), intransigente per tigna ma accomodante per pessimismo. Benché anti-italiano fu tipico italiano, virtuosamente provinciale, fascista e frondista, femminiero e vanitoso. Individualista, e anarchico come tutti gli italiani, ma conservatore e centrista come loro. Estremista per prudenza, disse Longanesi degli italiani; o all’opposto, prudente per eccesso di estremismo. Ribelle ma ammiratore dei potenti e del loro cinismo. Aveva per esempio una cotta di spirito per il cinico e curiale Andreotti, non solo nella scrittura. Li ricordo insieme a pranzo, in occasione del premio Fiuggi nel 1984, c’era con loro anche Nilde Jotti, regina comunista del Parlamento. Montanelli era il premiato, Andreotti presiedeva la giuria. Seduto tra i due, Montanelli fingeva disagio e gli piaceva mostrarsi come un pesce fuor d’acqua: ma era compiaciuto, e alternava la sua timida e scontrosa misantropia con la sua vena istrionica. Sapeva anche essere gigione, Indro, usando quell’espressione come avrebbe fatto lui, con quella doppia “gi” trascinata alla toscana.(…) L’ultima volta che lo avevo visto mi era parso come un don Chisciotte, magro, allampanato e in procinto di cimentarsi coi mulini a vento, in compagnia del suo ultimo, affabile Sancho Panza, Mario Cervi, il suo fidato scudiero e luogotenente che un po’ lo seguiva, un po’ lo riportava alla realtà, ma lo affiancava sempre, fiero e ammirato dal suo Cavaliere e dalla sua stravaganza. L’ultima volta che mi telefonò aveva da poco compiuto 90 anni e Sette del Corriere mi aveva chiesto un articolo in omaggio a lui nonagenario. Mi telefonò per ringraziarmi in forma di rimprovero: reputava un’imperdonabile insolenza che lo avessi definito Indrosauro, ma in realtà era divertito, recitava solo la parte dell’offeso. Poco dopo uscì di scena definitivamente, stavolta con l’applauso di tutti, finalmente: i sette anni di antiberlusconismo lo avevano riscattato da quasi settant’anni da anarchico conservatore, di destra.
(Dall’introduzione a Contro ogni censura, Rizzoli)