Indro, un solista contro la censura

In𝐝𝐫𝐨, 𝐮𝐧 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐥𝐚 𝐜𝐞𝐧𝐬𝐮𝐫𝐚
È uscito in libreria con una mia ampia introduzione, Libera penna in libera mente, una raccolta di scritti di Indro Montanelli “Contro la censura” (ed.Rizzoli).

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Indro, un solista contro la censura
di Marcello Veneziani
14 Luglio 2023

È uscito in libreria con una mia ampia introduzione, Libera penna in libera mente, una raccolta di scritti di Indro Montanelli “Contro la censura” (ed.Rizzoli).

Più che un liberale, un libertario o un anarchico, come amò definirsi con civetteria, pur temperata dalla definizione opposta di conservatore, Montanelli fu un solista. Assoluto, Incorreggibile. Fu solista nella scrittura, nel temperamento e nella vita. Fu solista rispetto alle ideologie e ai partiti politici. E persino il suo aspetto fisico, longilineo, anzi filiforme, lo distingueva sempre in ogni compagnia, anche nelle foto di gruppo. Svettava solitario, i suoi occhi sembravano due fari in cima a una torre. E da vero solista, non ebbe veri eredi. Per i suoi detrattori, Indro non ebbe altra fedeltà, altro amore, che se stesso. Rifiutò ogni appartenenza, ogni famiglia, ogni chiesa. E fu sempre allergico alla censura; passò una parte della sua vita professionale a scansarla, e un’altra a fustigarla. E lo dimostra l’antologia di suoi scritti appena uscita, Contro la censura.
Un solista come lui non poteva che essere allergico alla censura. Benché direttore per più di vent’anni, Montanelli non è mai stato un direttore d’orchestra, non sopportava i violini e soprattutto i tromboni. E solista tornò, alla fine della sua vita, da battitore libero, con una tendenza alla misantropia. Riuscì a scansare la censura anche ai tempi del regime fascista, appena sentiva odore di intruppamento si allontanava.
Questi scritti hanno come filo conduttore la censura. Eravamo già in repubblica, e dunque in democrazia, la libertà era la parola d’ordine di tutti, il partito-regime, la Dc, se ne faceva addirittura scudo, esibendo il motto Libertas. Eppure la censura, sotto traccia, si sentiva, soprattutto al cinema e in tv. Nasceva, per dirla con parole sue, da “quel sudario di conformismo, intessuto di abitudini, di pigrizia, di timoratezza e di vaghe superstizioni”.
Negli scritti scelti, Montanelli se la prende con la censura al cinema, in tv ma anche sui giornali, e con le sorelle infami della censura che penalizzano la realtà, la qualità, l’eccellenza: dalla spartizione dei partiti alla lottizzazione della Rai e pure nei giornali, dalla pigrizia mentale del conformismo alla negazione della verità storica. Montanelli considera tossica la propaganda ideologica in tv, intravede già negli anni sessanta la serpeggiante influenza della sinistra nella televisione pubblica; giudica falsa e faziosa la ricostruzione storica della Resistenza in tv, piena di omissioni, come nel caso, da lui citato, di via Rasella. Arriva poi a vagheggiare la liberazione dalla pubblicità nella tv di Stato, come nella Bbc e nelle reti pubbliche francesi, e come aveva fatto il Minculpop in epoca fascista; a finanziarla bastano gli utenti coi loro canoni. Il tutto era condito da Montanelli con la denuncia degli sprechi in Rai, di cui Indro fu precoce censore.
Indro difese dalla censura la Dolce vita di Federico Fellini e il suo occhio cinematografico “vero, obiettivo, spietato”. Fellini commosso lo ringraziò: “Indro, mi hai fatto venire le lacrime agli occhi di gioia”. Difesa meno accorata, fece di Rocco e i suoi fratelli, di Luchino Visconti e de l’Avventura di Michelangelo Antonioni. Per dirla in breve con le sue parole, “Dove c’è censura, io non ci sono”.
Sulla censura vera e propria, Montanelli è realista: la detesta ma non chiede di abolirla, vuol limitarne i danni e l’incidenza. L’ideale sarebbe che il cinema stesso sappia autodisciplinarsi, senza ricorrere alle forbici del potere. La censura per lui resta un male inevitabile, però non serve agli scopi per cui viene invocata e usata: perché non sa distinguere tra opere d’arte e film scadenti di cattivo gusto, è inutile e controproducente con i suoi divieti; l’ottanta per cento dei film, osserva, sono oltraggi al pudore, e dunque l’unico criterio di distinzione è artistico, di qualità. E avverte: se il pudore è così di frequente oltraggiato, qualunque Pubblico ministero può disporre il sequestro di un film su territorio nazionale, così paralizzeremo la cinematografia. Nella censura Montanelli vede l’indole vile e puerile degli italiani che hanno bisogno di scaricare su un’autorità il peso delle scelte che invece toccherebbero a loro, cittadini adulti. La censura morale può farla Catone, non un commissario governativo; appartiene all’etica più che al codice penale.
Montanelli auspica l’uso più oculato e selettivo del finanziamento pubblico ai film: anziché censurare, meglio non sovvenzionare a pioggia il cinema ma solo quello di reale valore e interesse artistico, senza aiutare chi fa film volgari e banali. Il movente dei film pornografici, fa notare a chi li difende come libera espressione, non è la libertà ma solo far cassetta, puntano solo agli incassi. Montanelli ripudia la pornografia quanto il suo opposto, la bigotteria.
Ma come, un conservatore come Montanelli contro la censura? C’è un precedente illustre, il conservatore Vilfredo Pareto, laico e liberale come Montanelli, che nel 1911 criticò il “virtuismo” e la censura di stampo cattolico o protestante verso la storia e la letteratura “immorale”. E’ curioso notare che la critica di Pareto, come quella di Montanelli, potrebbe oggi applicarsi perfettamente alla censura nel nome del nuovo bigottismo progressista woke e dei suoi totem intoccabili. Un nuovo spirito bacchettone soffia, ma non è di matrice cattolica o religiosa, al contrario, è di stampo radicale, progressista, ateo e laicista. Per sua fortuna Montanelli si è risparmiato la censura inversa dei nostri anni; ma la sua statua nei giardini di Milano no…

(Panorama n.30)