Diaspore
È tutta questione di… contraddizioni.
Un altro modello migratorio globale è rappresentato dalla cosiddetta diaspora.
È il fenomeno per cui una popolazione abbandona il proprio Paese di origine e si disperde in diversi Paesi stranieri, anche se mantiene la propria identità culturale e, spesso, i legami con gli altri gruppi di emigrati (oppure con la madrepatria).
Facendo riferimento agli studi di Robin Cohen (2008, Global Diasporas), è possibile individuare quattro diverse categorie di diaspora, in base alle cause che la determinano.
Diaspora di vittime, ossia quella generata da eventi particolarmente negativi e drammatici, come è accaduto, per esempio, per gli ebrei nel corso della storia.
Diaspora imperiale, quando la dispersione è legata allo sviluppo di un impero, con il conseguente trasferimento di una parte della sua popolazione, nelle nuove colonie.
Diaspora di lavoratori, quando il trasferimento avviene a causa della ricerca di nuove possibilità di lavoro, in più Paesi.
Diaspora di commercianti, quando la dispersione della popolazione è legata alla creazione di reti commerciali internazionali.
Mi sembra, proprio sulla base di queste interessanti e fondamentali differenziazioni, decisamente utili per comprendere i fenomeni delle diverse diaspore, che nell’attuale era contemporanea mondiale siano presenti tutte e quattro le tipologie.
Gli imperi, più o meno dichiarati ufficialmente tali, esistono ancora e non sono affatto un retaggio del passato ottocento… anzi.
Come possiamo notare, possono essere molte le motivazioni che spingono le persone ad emigrare, in base alla qualità della vita che caratterizza il Paese nel quale sono nati e (dunque anche) la loro classe sociale di appartenenza.
Insomma, penso che nella attuale globalizzazione, che presenta elementi esistenziali e antropologici di sicura rilevanza culturale, la formazione di un immaginario globale contribuisca a produrre desiderata che spingono gli esseri umani a ipotizzare vite diverse da quelle che quotidianamente conducono. E la cosa non è solamente riferibile a situazioni economiche dei meno abbienti, ma è legata anche al desiderio, forse eccessivo, di migliorare il proprio status sociale.
Ecco che, sulla base di queste considerazioni, ho qualche dubbio sul modello evolutivo che stiamo adottando come specie umana, e temo che il Sistema Natura sarà costretto, sempre più, a inviare segnali che ci invitino a ragionare e riflettere sui nostri limiti.
Eppure, a sentire i nostri politici, nostrani e no, sembra che i limiti siano spariti.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info)