𝐋’𝐚𝐥𝐳𝐡𝐞𝐢𝐦𝐞𝐫 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐩𝐨𝐥𝐢
Se si dovesse adottare su larga scala il modello Dahl, avremmo finalmente una letteratura corretta, politicamente corretta.
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L’alzheimer dei popoli
di Marcello Veneziani Pubblicato il 03 Marzo 2023
Se si dovesse adottare su larga scala il modello Dahl, avremmo finalmente una letteratura corretta, politicamente corretta. Purificata, depurata, anzi epurata. Via il grasso, via il nano, via il ne(g)ro, via ogni parola considerata offensiva per qualcuno; anche se si tratta solo di un romanzo, riferito a personaggi immaginari; ma poi il canone va applicato anche a persone vere realmente nane, cieche, zoppe, grasse, nere con la g di mezzo.
Di cosa sto parlando? La casa editrice Puffin Books ha deciso di sanificare le opere per ragazzi di Roald Dahl, La fabbrica del cioccolato e Pesca gigante, ed eliminare tutte le parole che indicano persone grasse, piccole, nane. La dieta corretta elimina i grassi (a parole). Mossa pubblicitaria, probabilmente, ma affiora la vena tossico-ipocrita del politically correct. Si tratta solo dell’ultimo, famoso caso di una campagna che prosegue da tempo e desta reazioni contraddittorie, anzi schizoidi: stavolta sul caso Dahl sono stati in tanti a condannare la sanificazione lessicale ma in tanti altri casi si accetta che editori, social network, algoritmi possano censurare altre parole da proibire. Dietro la guerra alla realtà tramite le parole si allarga la più vasta cancellazione della cultura – la famigerata cancel culture – che come sempre parte dagli Stati Uniti e si allarga a mezzo mondo. Statue abbattute, pagine di storia strappate, fumetti riscritti, capolavori dell’arte e della letteratura censurati, giganti del pensiero e della poesia bollati e rimossi. Si, sono piccoli episodi, non esageriamo la portata; ma se li contestualizziamo, cioè se li inseriamo in un’epoca che dispregia la memoria storica, diserta gli studi classici, e il liceo classico, rimuove le identità; l’ignoranza che si fa sempre più arrogante e pretende di giudicare e imbavagliare la cultura, allora il discorso si fa molto preoccupante. Non è il caso di tirare in ballo i talebani, come fa qualcuno; questa cancellazione è frutto della nuova ideologia occidentale, fondata sulla tirannia del presente, il primato delle nuove soggettività e la visione correttiva della realtà.
La cancel culture è l’alzheimer dei popoli. Malattia inesorabile nei suoi esiti, che segna il decadimento e la morte della civiltà. Non bastava la paura del futuro, indotta dalle minacce sul clima, l’ambiente, la crisi energetica, la guerra nucleare e i contagi; ormai vige la paura del passato, che poi diventa paura della storia. Che si allarga fino a diventare paura della realtà e delle sue inevitabili differenze.
Questa ossessione dimostra che le ideologie non sono finite ma ce n’è una diventata codice di vita e canone da osservare: è il politically correct. È un’ideologia invasiva che si insinua ormai da anni nelle pieghe della vita pubblica e privata della gente, fatta di divieti, schemi obbligati, realtà cancellata, storia cassata, parole e comportamenti negati, rifiuto della natura, della tradizione, delle consuetudini. Nel mio libro La Cappa la definì un moralismo in assenza di morale, un bigottismo in assenza di religione e un antifascismo in assenza di fascismo. I mass media trasudano di politicamente corretto, dai giornali alla tv, per estendersi poi alla musica, al cinema, ai rapporti sociali, ai sessi, ai popoli, al linguaggio. Dura ormai da troppi anni, e nonostante l’allergia della gente e l’antipatia diffusa che suscita, è ormai il catechismo vigente a cui devi adattarti se non vuoi restare escluso o additato al pubblico disprezzo. Il paradosso è che vorrebbe essere una cultura dell’inclusione ma produce più esclusi e discriminati di quanti ne protegga. Viene dagli States e dal nord Europa, ma non c’è film, evento musicale, rappresentazione pubblica, discorso che non sia genuflesso a quelle parole d’obbligo e a quella filiera che s’impone nei gusti e negli orientamenti, ma anche nel linguaggio corrente e nella tutela di alcune speciali categorie, a danno delle maggioranze, formate da gente comune, con il loro sentire comune. Colpisce l’ordine naturale del mondo e tutto ciò che viene dall’esperienza storica; a volte si allarga alla civiltà, verso cui esprime un sentimento di vergogna; devi vergognarti della tua identità e di tutto ciò che fino a ieri era motivo di fierezza e di appartenenza. È fondato sul principio di non urtare la suscettibilità di alcune minoranze lgbtq+, delle femministe, dei migranti, i rom, e altri. A scapito delle famiglie, della maternità, dell’uomo definito “normale”, della società tradizionale, con i suoi valori civili e religiosi. Chi veicola il politically correct? Genericamente esprime lo spirito del nostro tempo e si autoriproduce per contagio di conformismo; ma c’è un intreccio di poteri mediatico-culturali, di cattedre intellettuali e fonti politiche che l’orchestrano e ne traggono profitto ideologico, politico e commerciale; è l’ultima versione del progressismo: non è più intellettuale e culturale e non ha più sensibilità popolare e proletaria, ma è un piagnisteo bacchettone, puritano e vittimista, ignorante e saccente.
Opporsi a questa ideologia radicale e snob è necessario, per restituire la nostra vita alla realtà e la società alla civiltà. Occorrerebbe un’incruenta ma fiera guerra di liberazione dal politicamente corretto e dai suoi reset.
È una triplice offesa alla libertà, alla dignità e all’intelligenza; ed è uno sfregio alla realtà e alle sue differenze. Liberiamoci in tempo, prima che vinca l’alzheimer dei popoli.
(Panorama n.10)