GIUSTINO FORTUNATO CONTRO LA TRASFORMAZIONE DEI MONTI FRUMENTARI IN CASSE DI RISPARMIO
di Michele Eugenio Di Carlo
Nella seconda lettura a Pasquale Villari[1], datata 18 gennaio 1876, Giustino Fortunato scrive delle Opere Pie, l’amministrazione delle quali con la legge del 3 agosto 1862 era passata alle Deputazioni Provinciali sotto la vigilanza del Ministero dell’Interno. A parere di Fortunato la nomina degli amministratori da parte dei consigli comunali non assicurava «il patrocinio de’ deboli» e l’ «assistenza de’ poveri». Inoltre, il vulturese spiegava al politico napoletano il motivo per il quale nel Comitato economico[2] aveva sostenuto la proposta di Turiello affinché le Congregazioni di Carità fossero elette a suffragio universale.
Figura 1. Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano di G. Fortunato
L’intellettuale lucano riprendeva la questione dei Monti Frumentari sulla rivista «Rassegna Settimanale», in un articolo del 21 marzo 1880[3], biasimando i numerosi decreti reali che davano «facoltà ai Comuni dell’Italia meridionale di trasformare i Monti Frumentari in Casse di Risparmio o di prestanza». Nell’articolo Fortunato percorreva la storia spesso travagliata dei Monti Frumentari, aventi la finalità di somministrare alimenti «agli agricoltori poveri, con l’obbligo della restituzione nei giorni del raccolto, previo tenuissimo aumento della derrata»; il fine era quello di non lasciare la povera gente nelle mani untuose della borghesia usuraia. Fortunato giungeva persino a elogiare il comportamento di Ferdinando IV di Borbone, che con il dispaccio del 17 ottobre 1781 aveva tentato di salvare i Monti Frumentari dalle mire subdole della nascente borghesia rurale, tutelando quelli che riteneva i «ceti più utili allo Stato», diventati «poveri e malviventi dall’avidità insaziabile di pochi intesi soltanto al proprio interesse». Inoltre, con il decreto del 21 dicembre 1821 i Monti Frumentari del Regno delle Due Sicilie erano stati regolatati da norme che prevedevano in serio esame i bilanci, mentre giunto il Regno d’Italia la legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865 aveva sollevato le deputazioni provinciali dall’obbligo di presentare bilanci preventivi e da quello di rendere il consuntivo.
Fortunato, diventato deputato nelle elezioni del 16 maggio 1880, nel suo primo intervento alla Camera dei Deputati[4], il 15 giugno 1880, nell’ambito della discussione sul bilancio di previsione in merito al capitolo sulle spese per le Opere Pie e sui servizi di pubblica beneficienza, richiamava il Ministro degli Interni Agostino Depretis sul progetto di riforma inteso a portare a termine la trasformazione dei Monti Frumentari in Casse di Risparmio o di prestanza. Una trasformazione che, a parere del vulturese, altri non era che una «liquidazione fraudolenta» del patrimonio dei Monti Frumentari, «l’unico addirittura, sia per donazioni private sia per pubbliche largizioni, destinato a benefizio del ceto più umile delle nostre classi rurali, – il ceto dei piccoli coloni e dei piccoli fittuari», avente lo scopo di «anticipare le sementi ai coloni bisognosi a modico interesse».
Figura 2. Intervento in Parlamento di G. Fortunato
Fortunato non si asteneva dal denunciare che quella dei Monti Frumentari era una «brutta storia», fatta di «illecite appropriazioni da parte degli amministratori» e di «inutile vigilanza» delle «autorità tutorie». Rincarava l’accusa, costretto, suo malgrado, ad accennare alla gestione dei Monti Frumentari sotto il regno dei Borbone: una gestione che, pur non costituendo un modello di amministrazione a causa della «guerra fra lo Stato che li voleva salvaguardati, e i decurionati comunali che li volevano aboliti»[5], tuttavia rispondeva alle «antiche leggi napoletane» non ancora abrogate e che rendevano «i consiglieri personalmente e solidalmente responsabili della gestione», tanto che messi di fronte allo sperpero dei capitali iniziali, avendone ormai facoltà grazie ai citati decreti reali, i consigli comunali sceglievano la via facile della trasformazione dei Monti Frumentari in Casse di Risparmio per mettere una «pietra sepolcrale» sulle loro responsabilità, mentre invece nel diritto pubblico napoletano la prescrizione non avrebbe avuta efficacia[6].
Non intendendo recedere di un solo passo dalla sua vocazione alla tutela dei diritti dei ceti poveri, Fortunato chiariva al Ministro dell’Interno e ai colleghi del Parlamento che le Casse di Risparmio impiegavano i capitali in mutui ipotecari «a beneficio di noi possidenti», mentre le Casse di prestanza agraria erano utili più ai piccoli negozianti che ai piccoli coloni.
Ancora rivolto al Ministro degli Interni, che aveva definito «antiquata» l’istituzione dei Monti Frumentari, il parlamentare di Rionero precisava che erano pur sempre gli unici istituti volti a favorire le «classi più ignote e ignorate» del paese, «gente poverissima» che conosceva l’Italia e lo Stato solo quando era chiamata al servizio militare, a pagare la tassa del macinato e il dazio al consumo[7].
Era iniziato per l’intellettuale lucano il lungo percorso che lo avrebbe visto in prima linea, spesso solo e isolato, nella tutela dei contadini e dei piccoli coloni del Mezzogiorno.
[1] G. Fortunato, Carteggio 1865/1911, a cura di Emilio Gentile, Bari, Laterza, 1978, pp. 11-13.
[2] Il Comitato napoletano per il progresso degli studi economici aveva istituito una commissione, di cui Fortunato era segretario, per lo studio delle problematiche legate alle Opere Pie
[3] G. Fortunato, La trasformazione de’ Monti Frumentari nelle province napoletane, in id., Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, Discorsi politici (1865-1910), vol. 1°, Bari, Laterza, 1911, pp. 38-49.
[4] Ivi, pp. 29-37.
[5] Ivi, p. 32.
[6] Ivi, pp. 32-33.
[7] Ivi, p. 34.