𝐒𝐚𝐧𝐫𝐞𝐦𝐨 𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞𝐫𝐚̀ 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞
Ci mancavano solo il presidente della repubblica, Sergio Mattarella e il giullare ufficiale delle istituzioni, Roberto Benigni, alla festa nazionale di Sanremo, che tra poco entrerà nella Costituzione, come luogo di Rifondazione della Nostra repubblica. Sanremo è la nostra Mecca.
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Sanremo entrerà nella Costituzione
Ci mancavano solo il presidente della repubblica, Sergio Mattarella e il giullare ufficiale delle istituzioni, Roberto Benigni, alla festa nazionale di Sanremo, che tra poco entrerà nella Costituzione, come luogo di Rifondazione della Nostra repubblica. Sanremo è la nostra Mecca.
Dopo giorni, settimane di sintomi preoccupanti, l’Italia da ieri ha perso conoscenza. E’ entrata in un tunnel, in una sedazione profonda o forse peggio in una specie di coma para-canoro chiamato sindrome di Sanremo. Già nei giorni precedenti i tg della Rai avevano provveduto in modo massiccio a scimunire gli italiani con forti dosi di preparazione al Festival. Mezzo tg, sopratutto il tgUno, è stato per giorni un’auto-marchetta a ripetizione, della Rai alla Rai, in lode e gloria di Sanremo. In ogni telegiornale, sbrigate le marchette politiche d’ufficio, si passa tre volte al dì all’auto-marchettificio di fiction, personaggi e prodotti della Casa, a partire da Sanremo. Interrotti da spot pubblicitari su Sanremo, pellegrinaggi commossi e invasati verso la Mecca della canzone, anticipazioni e soffiate a mezzo stampa, interviste, preghiere e novene in vista dell’evento.
Poi dopo averne parlato per circa un anno, diciamo da un Sanremo all’altro, entriamo nella sala di rianimazione canora dove sono previsti cinque giorni di terapia intensiva. Il Festival quest’anno è stato preceduto da uno spot da guerra mondiale, che ha coinvolto l’Ucraina, la Russia e la Nato, Zelensky e Putin. Sanremo è la vetrina nazionale: ci andranno pure Cospito e Matteo Messina Denaro?
Non c’è più spazio per altro, tutto vale meno di un Maneskin o di una Elodie sul palco, i retroscena di Sanremo devono interessarci più della politica, i melomani oscurano i meloni. Ci sono ormai cinque sei filoni ossessivi e obbligati dell’infotainment sui temi politically correct e sugli anniversari di cui corre obbligo parlare all’infinito; e poi c’è Sanremo. L’unica variazione ai programmi sono le morti sopraggiunte, con i cortei funebri, i lungometraggi in memoria di, in onore di; le esequie in diretta, applausi a bara aperta, la gente che per poco non chiede il bis al morto, necrologi interminabili e untuosi su tutte le reti.
Ma l’unico evento pubblico e rituale che ormai surclassa il Natale e la Pasqua, le feste nazionali e le ricorrenze storiche, è Sanremo. E’ l’unica festività civile italiana che va in eurovisione o forse in mondovisione, non so bene, trasmessa pure dai cinesi coi loro palloni da spionaggio. Ed è una festa che dura ben cinque giorni, con cinquanta di preparazione intensa e trecento di elaborazione e ritiro. Il molesto Amadeus è diventato ormai il Presentatore Unico della nostra Tv, erede universale di Pippo Baudo, che fu Re d’Italia per un ventennio e più. Onnipresente, Amadeus ormai sostituisce il Presidente della Repubblica nei messaggi alla nazione, interpreta pure Zelensky e nei ritagli di tempo funge da Papa. Forse è per questo, per rimpiazzare Zelensky e per non lasciare il posto ad Amadeus, che per la prima volta un presidente, Mattarella, va in pellegrinaggio a Sanremo.
Sanremo è la capitale morale d’Italia, il luogo da cui si lanciano appelli e fiori, messaggi e trend, regole universali e transgeniche di condotta, e tutto il campionario dell’idiozia nazionale sfila in bella mostra. Il palco dell’Ariston è l’Altare della Patria dell’Italia d’oggi, ormai da decenni, con un’enfasi che ogni anno aumenta le sue dosi. San Remo ha scalzato san Francesco come santo protettore del nostro paese.
Non ho nulla contro il festival della canzone, nulla contro chi canta, contro chi ascolta, contro chi va in quel teatrino che dal vivo è di una miseria assoluta e quando arrivi davanti ti sembra una di quelle vecchie sale di serie b dove si facevano film scadenti di terza visione o a luci rosse oppure avanspettacoli di provincia con compagnie minori.
Nulla di male andarci, cantare, vederlo, lavorarci. Ma è l’esagerazione, la riduzione di un paese a buccia di Sanremo, a scatolone che contiene al suo interno questo teatrino. Quel che non si sopporta è la campagna massiccia h24, a 360 gradi, l’overdose di notizie sul festival, l’antefestival, il dopofestival, il criptofestival, il metafestival; l’infiammazione permanente di sanremite. Via, un po’ di senso della misura e delle proporzioni; non è la festa nazionale dell’Italia, il riassunto supremo della sua storia, arte, cultura e identità. Ma solo un mucchio di canzoni, un po’ di menate decorative e qualche intrattenimento; un programma televisivo come tanti. Solo più lungo, più largo, più grasso.
Fa male vedere un paese che sta facendo passi da gigante nel cancellare velocemente la sua identità, le sue tradizioni, la sua storia e la sua cultura; ma conserva, in modo artificiale, gonfiato, questo feticismo identitario di Sanremo, come unica autobiografia della nazione. Coi soliti presentatori, presidenti, direttori, che si congratulano a vicenda per i risultati raggiunti ogni anno, sempre record, senza precedenti. E i titoli dei tg che enfatizzano il numero degli spettatori, sacralizzano le performance che rimandano all’infinito, parlano riparlano straparlano, ci fanno vedere dietro le quinte, sotto le pance, in mezzo alle cosce, dentro gli orifizi posteriori, In un permanente backstage della banalità per suscitare morbosità. Suvvia, è solo una festa di carnevale come altre, come la sfilata dei carri allegorici di Viareggio o di Putignano, per dirne un paio. Sembra che l’Italia allegrona, canterina, giocosa festosa sciantosa si sia barricata lì, nell’estrema Liguria, e inondi il paese di euforica stupidità istituzionale. Via, sono solo canzonette.
Fatevi pure il vostro festival, ma per favore senza invasioni di campo nella vita seria del Paese e in ogni piega della nostra vita pubblica e perfino privata: chi vuol esser lieto sia, ma lasciate che siano gli italiani a cercare il festival e non viceversa, in quel modo epidemico e forzato. La coscrizione obbligatoria è già controversa quando riguarda la difesa della patria, figuriamoci se viene imposta per non disertare la chiamata di Sanremo.
La Verità – 8 febbraio 2023