A eccezione de la Verità, tutti i giornali e i media italiani hanno celebrato in ginocchio, tra fiumi d’incenso, il ventennale della morte di Gianni Agnelli, il monarca di Casa Fiat.
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Agnelli convertì la sinistra al capitale
A eccezione de la Verità, tutti i giornali e i media italiani hanno celebrato in ginocchio, tra fiumi d’incenso, il ventennale della morte di Gianni Agnelli, il monarca di Casa Fiat. Sappiamo come si muove ormai all’unisono l’Industria nazionale del Cordoglio, tra morti, celebrazioni e santificazioni a getto continuo. E sappiamo quanto sia stato intoccabile Agnelli già quando era in vita, e quanto conformismo, ricoperto di giulebbe, domini nel nostro Paese Allineato verso i Potenti Permanenti.
Ma sul caso Agnelli c’è una ragione in più, non detta, che spiega la coralità di encomi che dal Quirinale in giù ha accompagnato l’anniversario del Padrone della Fiat. Non parlerò dunque di lui, non rifarò il suo ritratto, che ha già ben fatto Gigi Moncalvo e che ho già fatto in altre, recenti occasioni. Ma parlerò di ciò che ha rappresentato sul piano politico, ideologico e sociale Agnelli sullo scenario italiano. E’ stato Agnelli a convertire i lupi del comunismo in docili cagnolini al guinzaglio del Capitale. O meglio è stato con lui, da lui in poi, che è nata in Italia quell’alleanza tra sinistra e capitale, Fiat & Martello, che ha costituito la svolta della sinistra politica e dei mass media in Italia.
In principio era lo slogan “Agnelli Pirelli fascisti gemelli”. Era il tempo delle lotte operaie, l’identificazione di Agnelli nel Padrone e il Riccone per antonomasia. Che esercitava il suo potere ovunque, sulle strade e negli stadi, grazie alla Juventus. Non che non ci fossero state tresche e accordi sottobanco della Fiat con i comunisti, con i sindacati, con le organizzazioni partigiane, nel passato, sin dai tempi della guerra. Ma qualcosa, a partire dagli anni settanta accadde in Italia e prese corpo col passare degli anni. Agnelli sa che se vuole tutelare la sua azienda e in generale il capitalismo nostrano non deve assolutamente assumere posizioni conservatrici o reazionarie, non deve andare a destra. Anzi le leggi più protettive per il sistema capitalistico italiano può farle solo la sinistra al governo, perché se le fa la destra scoppia la guerra civile. E la sinistra, se lascia i vecchi umori nazionalpopolari e anticapitalistici al passato, se si modernizza, si laicizza, si internazionalizza può diventare utile allo scopo, nel nome del progresso e dell’emancipazione.
In verità la Fiat aveva già fatto affari in Russia con il regime sovietico, come dimostra l’apertura a Togliattigrad di uno stabilimento di automobili nel 1966; e l’impresa aveva già addolcito buona parte della base operaia e comunista nei confronti del becero padrone. Ma ora la spinta è verso una sinistra che lasci alle spalle l’anticapitalismo e diventi prima alleata – la famosa “alleanza dei produttori”, un’espressione che curiosamente aveva usato Mussolini, quando aveva definito il suo passaggio dal socialismo all’interventismo nazionalista con la nascita del quotidiano Il popolo d’Italia – e successivamente agente del piano di modernizzazione del nostro paese, anche in ordine ai costumi e ai diritti.
Avviene così l’abbraccio tra sinistra e potere fiat, e il primo segnale cospicuo è la conquista della Fiat nel regno dell’informazione e l’ingaggio di giornalisti, direttori e firme dal mondo militante di sinistra, tra gli intellettuali organici, gli ex sessantottini, i funzionari della sinistra comunista ed extraparlamentare. La Fiat si mangia tutto, direttamente e indirettamente, a livello d’informazione e favorisce quella svolta, dal Corriere della sera a La Stampa e infine a La Repubblica. La stessa cosa avverrà in tv. E intanto munge soldi pubblici, protezioni dallo Stato (altro che libero mercato), sapendo di avere l’appoggio o la non ostilità della sinistra.
I famosi giornaloni, carpiti dall’Imperatore a due soldi dai loro vecchi proprietari, furono la principale industria di riciclaggio del giornalismo impegnato di estrema sinistra, nell’ambito della stampa “borghese”: firme che provenivano da Lotta Continua e dal manifesto, da Potere Operaio e dalla sinistra radicale, oltre che dal Pci e dall’Unità, diventavano le truppe in livrea dell’impero agnelliano e della politica di compromesso storico tra la sinistra e il partito democristiano. Giornali sul piano economico padronali, sul piano sociale statalisti (anche perché la Fiat succhia sostegni pubblici) e sul piano ideologico di sinistra (ma una sinistra postcomunista, radicale). Agnelli diventa il simbolo di uno stile snob, chic, scostante ed elegante. E alla sua corte o dirimpetto, sorge via via una sinistra snob, chic, col complesso di superiorità rispetto al popolo (ritorsione e rifrazione del complesso d’inferiorità rispetto ad Agnelli e ai salotti buoni della finanza). Via via l’antifascismo sostituisce l’anticapitalismo: il nemico da odiare non è più il padrone sfruttatore ma il fascista, vero o presunto, anche se è un poveraccio.
Tutt’oggi i principali quotidiani della sinistra, da la Repubblica a la Stampa, sono l’ultima traccia di quel potentato Fiat diventato apolide, transnazionale e transfuga per motivi d’interesse. E rispecchiano quella “ideologia”.
Da padrone Agnelli si trasforma agli occhi dei fabbricanti d’opinione in sovrano illuminato, i nemici della sinistra coincidono con i nemici del Grande capitale o della Fiat.
Il residuo anticapitalismo viene convogliato sulla figura di Berlusconi, considerato dall’alto in basso da Agnelli e dai salotti della finanza, come una specie di piazzista e giocoliere, intruso, parvenu e “sudamericano”. Agnelli è intoccabile, Berlusconi è il nemico da abbattere: il primo può non sapere quel che succede nelle stanze oscure del suo impero, il secondo non può non sapere, anzi è lui in persona il mandante di tutto. Anche il metro per giudicare il mondo e gli avversari si rovescia: la destra sociale è considerata il male per antonomasia, anche se oggettivamente è meno lontana dalla sinistra anticapitalista ed ha qualche punto di contatto per la difesa del popolo e dei ceti più deboli; meglio invece la destra liberista, “moderna”, mercantile e filoamericana, fino a ieri considerata la più becera. Si rovescia il paradigma e i parametri per giudicare amici e nemici sono più funzionali al sistema capitalistico. Perfino Berlusconi è odiato non tanto in quanto padrone ma in quanto populista, peronista, sdoganatore di postfascisti.
Insomma, la figura di Agnelli è essenziale per capire il punto di svolta della sinistra, ovvero quando diventò il braccio armato del Capitale, o perlomeno il braccio amato; quando cioè si trasforma in guardia rossa dell’establishment mondiale e locale.
Per questo il santino di Re Gianni, detto impropriamente l’Avvocato, è tutt’oggi oggetto di culto, di feticismo e di generale devozione. Fu il Sovrano Assoluto dell’Italia, per diversi anni, sottomesso solo all’autorità “religiosa” di Papa Cuccia, patriarca di Mediobanca. Se cercate quando e dove la sinistra perse la sua identità, la sua storia e la sua ragione sociale, cercatela in quegli anni a Torino nelle foresterie di casa Agnelli.
La Verità – 25 gennaio 2023
A eccezione de la Verità, tutti i giornali e i media italiani hanno celebrato in ginocchio, tra fiumi d’incenso, il ventennale della morte di Gianni Agnelli, il monarca di Casa Fiat. Sappiamo come si muove ormai all’unisono l’Industria nazionale del Cordoglio, tra morti, celebrazioni e santificazioni a getto continuo. E sappiamo quanto sia stato intoccabile Agnelli già quando era in vita, e quanto conformismo, ricoperto di giulebbe, domini nel nostro Paese Allineato verso i Potenti Permanenti.
Ma sul caso Agnelli c’è una ragione in più, non detta, che spiega la coralità di encomi che dal Quirinale in giù ha accompagnato l’anniversario del Padrone della Fiat. Non parlerò dunque di lui, non rifarò il suo ritratto, che ha già ben fatto Gigi Moncalvo e che ho già fatto in altre, recenti occasioni. Ma parlerò di ciò che ha rappresentato sul piano politico, ideologico e sociale Agnelli sullo scenario italiano. E’ stato Agnelli a convertire i lupi del comunismo in docili cagnolini al guinzaglio del Capitale. O meglio è stato con lui, da lui in poi, che è nata in Italia quell’alleanza tra sinistra e capitale, Fiat & Martello, che ha costituito la svolta della sinistra politica e dei mass media in Italia.
In principio era lo slogan “Agnelli Pirelli fascisti gemelli”. Era il tempo delle lotte operaie, l’identificazione di Agnelli nel Padrone e il Riccone per antonomasia. Che esercitava il suo potere ovunque, sulle strade e negli stadi, grazie alla Juventus. Non che non ci fossero state tresche e accordi sottobanco della Fiat con i comunisti, con i sindacati, con le organizzazioni partigiane, nel passato, sin dai tempi della guerra. Ma qualcosa, a partire dagli anni settanta accadde in Italia e prese corpo col passare degli anni. Agnelli sa che se vuole tutelare la sua azienda e in generale il capitalismo nostrano non deve assolutamente assumere posizioni conservatrici o reazionarie, non deve andare a destra. Anzi le leggi più protettive per il sistema capitalistico italiano può farle solo la sinistra al governo, perché se le fa la destra scoppia la guerra civile. E la sinistra, se lascia i vecchi umori nazionalpopolari e anticapitalistici al passato, se si modernizza, si laicizza, si internazionalizza può diventare utile allo scopo, nel nome del progresso e dell’emancipazione.
In verità la Fiat aveva già fatto affari in Russia con il regime sovietico, come dimostra l’apertura a Togliattigrad di uno stabilimento di automobili nel 1966; e l’impresa aveva già addolcito buona parte della base operaia e comunista nei confronti del becero padrone. Ma ora la spinta è verso una sinistra che lasci alle spalle l’anticapitalismo e diventi prima alleata – la famosa “alleanza dei produttori”, un’espressione che curiosamente aveva usato Mussolini, quando aveva definito il suo passaggio dal socialismo all’interventismo nazionalista con la nascita del quotidiano Il popolo d’Italia – e successivamente agente del piano di modernizzazione del nostro paese, anche in ordine ai costumi e ai diritti.
Avviene così l’abbraccio tra sinistra e potere fiat, e il primo segnale cospicuo è la conquista della Fiat nel regno dell’informazione e l’ingaggio di giornalisti, direttori e firme dal mondo militante di sinistra, tra gli intellettuali organici, gli ex sessantottini, i funzionari della sinistra comunista ed extraparlamentare. La Fiat si mangia tutto, direttamente e indirettamente, a livello d’informazione e favorisce quella svolta, dal Corriere della sera a La Stampa e infine a La Repubblica. La stessa cosa avverrà in tv. E intanto munge soldi pubblici, protezioni dallo Stato (altro che libero mercato), sapendo di avere l’appoggio o la non ostilità della sinistra.
I famosi giornaloni, carpiti dall’Imperatore a due soldi dai loro vecchi proprietari, furono la principale industria di riciclaggio del giornalismo impegnato di estrema sinistra, nell’ambito della stampa “borghese”: firme che provenivano da Lotta Continua e dal manifesto, da Potere Operaio e dalla sinistra radicale, oltre che dal Pci e dall’Unità, diventavano le truppe in livrea dell’impero agnelliano e della politica di compromesso storico tra la sinistra e il partito democristiano. Giornali sul piano economico padronali, sul piano sociale statalisti (anche perché la Fiat succhia sostegni pubblici) e sul piano ideologico di sinistra (ma una sinistra postcomunista, radicale). Agnelli diventa il simbolo di uno stile snob, chic, scostante ed elegante. E alla sua corte o dirimpetto, sorge via via una sinistra snob, chic, col complesso di superiorità rispetto al popolo (ritorsione e rifrazione del complesso d’inferiorità rispetto ad Agnelli e ai salotti buoni della finanza). Via via l’antifascismo sostituisce l’anticapitalismo: il nemico da odiare non è più il padrone sfruttatore ma il fascista, vero o presunto, anche se è un poveraccio.
Tutt’oggi i principali quotidiani della sinistra, da la Repubblica a la Stampa, sono l’ultima traccia di quel potentato Fiat diventato apolide, transnazionale e transfuga per motivi d’interesse. E rispecchiano quella “ideologia”.
Da padrone Agnelli si trasforma agli occhi dei fabbricanti d’opinione in sovrano illuminato, i nemici della sinistra coincidono con i nemici del Grande capitale o della Fiat.
Il residuo anticapitalismo viene convogliato sulla figura di Berlusconi, considerato dall’alto in basso da Agnelli e dai salotti della finanza, come una specie di piazzista e giocoliere, intruso, parvenu e “sudamericano”. Agnelli è intoccabile, Berlusconi è il nemico da abbattere: il primo può non sapere quel che succede nelle stanze oscure del suo impero, il secondo non può non sapere, anzi è lui in persona il mandante di tutto. Anche il metro per giudicare il mondo e gli avversari si rovescia: la destra sociale è considerata il male per antonomasia, anche se oggettivamente è meno lontana dalla sinistra anticapitalista ed ha qualche punto di contatto per la difesa del popolo e dei ceti più deboli; meglio invece la destra liberista, “moderna”, mercantile e filoamericana, fino a ieri considerata la più becera. Si rovescia il paradigma e i parametri per giudicare amici e nemici sono più funzionali al sistema capitalistico. Perfino Berlusconi è odiato non tanto in quanto padrone ma in quanto populista, peronista, sdoganatore di postfascisti.
Insomma, la figura di Agnelli è essenziale per capire il punto di svolta della sinistra, ovvero quando diventò il braccio armato del Capitale, o perlomeno il braccio amato; quando cioè si trasforma in guardia rossa dell’establishment mondiale e locale.
Per questo il santino di Re Gianni, detto impropriamente l’Avvocato, è tutt’oggi oggetto di culto, di feticismo e di generale devozione. Fu il Sovrano Assoluto dell’Italia, per diversi anni, sottomesso solo all’autorità “religiosa” di Papa Cuccia, patriarca di Mediobanca. Se cercate quando e dove la sinistra perse la sua identità, la sua storia e la sua ragione sociale, cercatela in quegli anni a Torino nelle foresterie di casa Agnelli.
La Verità – 25 gennaio 2023