L’INCONTRO EPISTOLARE TRA PASQUALE VILLARI E GIUSTINO FORTUNATO
di Michele Eugenio Di Carlo
Da Napoli, il 4 novembre 1875, un commosso e sorpreso Giustino Fortunato dava riscontro a una lettera ricevuta il 25 ottobre dal noto accademico Pasquale Villari . Dal Carteggio Fortunato si deduce che il giovane intellettuale lucano di ventisette anni aveva trasmesso allo storico napoletano la relazione sulle società cooperative di credito letta il 5 maggio dello stesso anno all’Associazione Unitaria Meridionale. Fortunato ringraziava Villari che aveva apprezzato il suo scritto e, soprattutto, manifestava la sua soddisfazione per averlo conosciuto personalmente, seppure solo per corrispondenza.
Pasquale Villari, nato a Napoli nel 1826, docente di Storia a Firenze dal 1865, deputato negli anni Settanta, aveva appena scritto per il giornale l’«Opinione» di Torino le «Lettere meridionali» . Mettendo in risalto le tristi condizioni socio-economiche delle popolazioni del Mezzogiorno, aveva dato vita alla questione meridionale e alla conseguente critica delle politiche governative del primo quindicennio del Regno d’Italia. Politiche che non avevano inteso affrontare le problematiche delle masse contadine del Mezzogiorno, sempre contrastate e combattute con l’uso della forza al fine di mantenere in essere quei rapporti semifeudali che privilegiavano il dominio locale della borghesia agraria sulla plebe rurale, sfruttata e mantenuta in uno stato di semi-schiavismo.
In relazione ai dubbi di Villari sulle banche popolari del Mezzogiorno, Fortunato rispondeva:
«Nelle province meridionali manca del tutto una classe superiore […]; manca cioè un’aristocrazia, una nobiltà qualunque. Essa è tutta racchiusa in Napoli, ed è la più stupida aristocrazia di questo mondo». Proseguiva passando all’analisi della borghesia dominante tracciandone il profilo: «… e così come la borghesia è fotografata dal conte Alfieri e dal Franchetti, sarebbe vano sperare che si mettesse a patrocinare la causa de’ poveri contadini, su’ quali pesa con tutto il rigore del più crudo e disumano potere, con tutta la sfacciataggine della più vile e sudicia usura».
In definitiva, in questa lettera il ventisettenne Fortunato, laureatosi da poco in Giurisprudenza, accennava ai temi che avrebbero caratterizzato il suo futuro impegno di politico e di pensatore illuminato: la critica alla classe dirigente meridionale e alle politiche dei governi di Destra e di Sinistra, la difesa degli interessi negati ai contadini, non rappresentati in Parlamento perché non aventi diritto al voto. E discutendo di democrazia, il rionerese chiariva che essa era riservata agli uomini, non ai contadini considerati «iloti». Rispetto all’annessione del 1860, l’intellettuale vulturese precisava che era stata soltanto una «rivoluzione politica della borghesia», mentre il brigantaggio era stato essenzialmente una «reazione sociale della plebe».
Il giudizio sulla Sinistra che tanto aveva contribuito all’Unità d’Italia non era affatto lusinghiero:
«La sinistra meridionale non è radicale, non è progressista: è democratica a vantaggio dell’unica classe che rappresenta, l’alta e la bassa borghesia». E, da questa prospettiva, chi avrebbe mai potuto sperare che «i ministri napoletani» potessero «mai votare una legge agraria o il suffragio universale»?
Fortunato concludeva la lettera dichiarando di sentirsi onorato della risposta di Villari e dichiarava la speranza di incontrarlo di persona per discutere le «Lettere meridionali». Infine, si metteva a totale disposizione del politico napoletano per tutto quanto riguardava «una vera propaganda a pro’ delle classi povere del Napoletano». Iniziava un rapporto che sarebbe durato tutta la vita.
Note bibliografiche:
– G. FORTUNATO, Carteggio 1865/1911, a cura di Emilio Gentile, Bari, Laterza, 1978, pp. 8-11.
– P. VILLARI, Lettere meridionali al direttore dell’Opinione: marzo 1875, Torino, Tipografia l’Opinione, 1875.