LA CATTURA DEL CAPOBRIGANTE GIUSEPPE SCHIAVONE E LA FINE DEL “GRANDE BRIGANTAGGIO”
La cattura dello “Sparviero” non fu merito del generale Pallavicini, che lo braccava, ma la “soffiata” di una sua compagna di nome Rosa Giuliani, abbandonata da Schiavone per amore verso Filomena Pennacchio, “bella, occhi scintillanti, chioma scura e cresputa, profilo greco”.
Per gelosia o precedenti rancori la Giuliani denunciò al delegato di Candela, signor Marchetti, che Schiavone, col capobanda Giuseppe Petrella di Deliceto e coi briganti Rocco Marcello e Pietro Capuano di Anzano, Vito Rendina di Sant’Agata la notte tra il 25 e il 26 novembre si sarebbero ricoverati nella masseria Vassallo presso Candela. Il delegato avvertì immediatamente il maggiore Rossi il quale senza indugio ordinò che un drappello di Bersaglieri, sotto gli ordini del capitano Molinati, ed un distaccamento dei Cavalleggeri Lucca, alla dipendenza del tenente Arditi, si recassero in detta masseria. Giunti colà a notte inoltrata, mentre imperversava un uragano, circondarono il fabbricato. I briganti tentarono invano di salvarsi con la fuga: tutti e cinque vennero arrestati. Schiavone fu catturato dal maggiore Rossi del 29° Bersaglieri. Tradotti a Melfi, furono giudicati da un Consiglio di guerra e condannati alla fucilazione, che si eseguì il mattino del 29 novembre 1864.
Prima che questa si eseguisse, Schiavone chiese con le lacrime agli occhi di rivedere per l’ultima volta la sua donna, ospite, perché prossima al parto, di un’ostetrica di Melfi, Angiola Battista Prato, da lui lautamente ricompensata. Gli fu concesso.
Schiavone e la Pennacchio si videro, si baciarono, e la separazione fu commovente. Schiavone si inginocchiò, le baciò i capelli, le mani, i piedi e, chiedendole perdono, la strinse fra le sue robuste braccia e le scocca l’ultimo bacio d’amore. L’ora della fucilazione era giunta. Uscendo dal carcere chiese un sigaro all’ufficiale che comandava la scorta. “Sia cortese darmelo – egli disse – da qui ai Morticelli ho giusto il tempo di farmi una fumata”. E difatti accese il sigaro, e si avviò coi compagni pel sito del supplizio. Il drappello era preceduto da altri 3 soldati che battevano lentamente e cupamente i loro tamburi. Seguivano, dopo due o tre passi, i disgraziati in mezzo ai soldati, avendo ai loro lati due sacerdoti melfitani, a nome D. Felice Contela e D. Luigi Cocolicchio. Salmodiavano delle preci, e di tanto in tanto si udivano delle parole tremule: profiscere anima christiana de hoc mundo.
Attraversarono la piazza – quella piazza dove, nel 1861, erano entrati trionfanti – pallidi e sconvolti e uno tutto tremante; fecero la discesa del Carmine, ed alle 8.45 del mattino giunsero al luogo destinato per l’esecuzione, al piano dei Morticelli. Alle 9, in quel sito, giacevano i cadaveri dei 5 uomini che tante vittime avevano fatto.
Pochi momenti prima della fucilazione Giuseppe Schiavone esclamò:
Popolo, tu solo puoi ancora salvarmi, per te ho sempre combattuto.
Lo uccisero dodici fucilate.
Prima della fucilazione gli fu anche chiesto se avesse del denaro e se voleva lasciarlo a Filomena Pennacchio. Rispose:
Non credete che i briganti si possono arricchire, perché pagano ai manutengoli della campagna e dei paesi un denaro immenso per avere da mangiare e per avere notizie dei movimenti della truppa.
Don Giuseppe canonico Bergamasco, vicario curato, così scriveva nel folio 61 del Registro dei morti della cattedrale di Melfi:
Die 29 novembris 1864. Dux latrorum Josephus Schiavone , S. Agatae annorum 34, filius Januarii et Carminae Morresta, a militibus exercitus Italiae, in campo aggressus, quia, cum aliis quatruor latronibus infra scriptis, horrenda delicta patravit, damnatus fuit a militum Tribunale ad fucilationem; ac proinde, post commendationem animae, sententia executa fuit in Mercati loco. Et in fidem Josephus Canonicus Bergamasco Vic. Curatus.
Finisce così la vicenda umana e brigantesca di uno dei più forti briganti del Meridione.
La presa di Schiavone e la sua fucilazione “diede veramente il tracollo a tutte le bande”, messe seriamente in crisi dalla legge Pica.
Alla sua morte seguì l’arresto della Pennacchio che contribuì alla cattura della banda Sacchitiello, rifugiata nel palazzo Rago di Bisaccia. Furono arrestati Agostino e Vito Sacchitiello, Francesco Gentile, M. Giovanna Tito, druda di Crocco, e Giuseppina Vitale, druda di Agostino Sacchitiello.
La stagione del “grande brigantaggio” era al tramonto.
Una lotta sociale e politica basata sulla violenza si era in parte consumata. La repressione durissima, che aveva violato ogni forma di legalità, nonostante la protesta di tanti parlamentari, non solo meridionali, e lo stato d’assedio instaurato nelle regioni meridionali dal governo sabaudo avevano sortito lo scopo.
Si acuì la frattura fra Nord e Sud del Paese proprio quando si dovevano gettare le basi per una convivenza pacifica, frattura che segnò in maniera decisiva la storia del Regno d’Italia ed il destino del Meridione.
Nasceva così, con queste premesse, l’Italia unita.
N.B. Per il testo completo con i riferimenti archivistici e bibliografici vd. D. Donofrio Del Vecchio, Variae. Storia e storie di Puglia, Delta Tre Edizioni, Grottaminarda (AV), 2017, pp. 227-247.
Dora Donofrio Del Vecchio
fonte
https://www.santagatesinelmondo.it/stampa.asp?idpage=5&id=7258
Posted by altaterradilavoro on Dic 11, 2022