La Cina gestisce stazioni di polizia illegali in tutto il mondo
di Judith Bergman 1 gennaio 2023
Pezzo in lingua originale inglese: China Operating Illegal Police Stations Worldwide
Traduzioni di Angelita La Spada
(Fonte dell’immagine: iStock)
Secondo un recente sondaggio di Safeguard Defenders, una ONG per i diritti umani, la Cina ha istituito almeno 54 stazioni di polizia all’estero in 30 Paesi, inclusi Stati Uniti (New York), Canada, Spagna, Italia, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Ungheria, Portogallo, Repubblica Ceca, Brasile, Argentina e Nigeria. La maggior parte di queste stazioni di polizia si trova in Europa, con nove di tali centrali nelle principali città spagnole, quattro in Italia e tre a Parigi, tra le altre.
Stando a quanto asserito da Peter Dahlin, direttore di Safeguard Defenders, queste centrali sono soltanto la punta dell’iceberg:
“Siamo convinti che ce ne siano molte di più, perché queste stazioni appartengono soltanto a due giurisdizioni – Fuzhou e Qingtian, da dove proviene la maggior parte dei cinesi residenti in Spagna – e la stessa Cina ammette di aver lanciato il progetto in dieci. Pertanto, potrebbero essere fino a cinque volte di più”.
Le stazioni di polizia fanno parte della campagna cinese finalizzata a “convincere” i cittadini cinesi sospettati di aver commesso atti criminali – in particolar modo, frodi nelle telecomunicazioni, ma anche “crimini” politici come il dissenso politico – a tornare in Cina per affrontare un procedimento penale. La Cina non solo minaccia gli stessi cittadini cinesi, ma anche i loro familiari che sono rimasti in patria. Tali minacce continuano da anni, come rilevò nel 2020 il capo dell’FBI Christopher Wray, quando menzionò un caso avvenuto negli Stati Uniti in cui un “emissario” del governo cinese fece visita a un individuo preso di mira e gli disse che poteva scegliere tra due opzioni: tornare in Cina o suicidarsi.
Il 17 agosto scorso, il Ministero della Pubblica Sicurezza cinese ha dichiarato:
“Il numero di casi di frode transfrontaliera nelle telecomunicazioni di cui sono ritenuti responsabili i residenti cinesi è stato notevolmente ridotto in Cina, con 230 mila sospetti di frode nelle telecomunicazioni che sono stati convinti a tornare in Cina dall’estero per confessare i crimini dall’aprile 2021 al luglio 2022…”.
“Le linee guida ufficiali illustrano esplicitamente i diversi strumenti messi a disposizione per ‘convincere’ gli obiettivi a tornare volontariamente in Cina dove rispondere alle accuse”, scrive Safeguard Defenders.
“Fra tali strumenti c’è quello di prendere di mira i figli residenti in Cina dei presunti sospetti, negando loro il diritto all’istruzione, e anche i familiari e i parenti. In breve, si tratta di una vera e propria punizione ‘per concorso di colpa’ al fine di ‘incoraggiare’ i sospetti a rientrare dall’estero”.
Le stazioni di polizia cinesi all’estero sostengono di svolgere esclusivamente funzioni amministrative o consolari, ma funzionano come mezzi per minacciare i cinesi residenti all’estero di fare ritorno in Cina, ignorando in tal modo i necessari requisiti giuridici ai sensi del diritto internazionale. Secondo Safeguard Defenders:
“Questi metodi consentono al Partito Comunista Cinese (PCC) e ai suoi organi di sicurezza di eludere i normali meccanismi bilaterali di cooperazione giudiziaria e di polizia, compromettendo così gravemente lo stato di diritto internazionale e l’integrità territoriale dei Paesi terzi coinvolti. (…) Eludendo i normali meccanismi di cooperazione, il PCC riesce a evitare il crescente controllo della sua situazione dei diritti umani e le conseguenti difficoltà incontrate nel raggiungere l’obiettivo di far rientrare in patria i ‘fuggitivi’ attraverso procedimenti legali come le richieste formali di estradizione. Ciò lascia i cinesi legalmente residenti all’estero completamente esposti ad attacchi extra-legali da parte della polizia cinese, quasi del tutto privi della protezione teoricamente assicurata dal diritto nazionale e internazionale…
“Etichettate apertamente come stazioni di servizio della polizia all’estero (…) ad esempio, preposte al rinnovo a distanza delle patenti di guida cinesi e a svolgere altri compiti tradizionalmente considerati di natura consolare (…) [le stazioni] perseguono anche un obiettivo più sinistro in quanto contribuiscono a ‘contrastare duramente tutti i tipi di attività illegali e criminali che coinvolgono i cinesi residenti all’estero'”.
Le stazioni di polizia sono senza dubbio utilizzate anche per prendere di mira i cinesi all’estero che non sono d’accordo con il regime.
“Ovviamente, uno degli obiettivi di queste campagne, che sono finalizzare a reprimere il dissenso, è mettere a tacere le persone”, ha affermato Laura Harth, direttrice della campagna per Safeguard Defenders. “Pertanto, le persone hanno paura. Le persone che vengono prese di mira, che hanno familiari in Cina, hanno paura di parlare”.
Fondamentalmente, le stazioni di polizia agiscono senza il consenso dei Paesi ospiti e a loro insaputa, come nei Paesi Bassi, dove una delle stazioni di polizia opera da un appartamento al piano terra di un edificio di Rotterdam di proprietà di una piccola impresa cinese tuttofare. Diversi Paesi, come Canada, Paesi Bassi, Regno Unito, Portogallo e Spagna, stanno ora investigando e alcuni hanno già chiesto la chiusura delle centrali di polizia cinesi all’estero presenti sul loro territorio.
“Abbiamo chiesto all’ambasciatore cinese dettagli completi sulle cosiddette stazioni di servizio di polizia che svolgono compiti nei Paesi Bassi per conto del governo cinese”, ha scritto su Twitter il ministro degli Esteri olandese Wopke Hoekstra.
“Poiché non è stato chiesto alcun permesso ai Paesi Bassi per questo, il Ministero ha informato l’ambasciatore che le stazioni devono chiudere immediatamente. Inoltre, anche i Paesi Bassi stanno indagando sulle stazioni [di polizia] per scoprire le loro esatte attività”.
Negli Stati Uniti, il direttore dell’FBI Christopher Wray ha dichiarato che il Federal Bureau sta indagando sulla questione.
“Siamo a conoscenza dell’esistenza di queste stazioni. È oltraggioso pensare che la polizia cinese tenti di aprire un negozio, diciamo, a New York, senza un adeguato coordinamento. Ciò viola la sovranità e aggira gli standard delle procedure di cooperazione giudiziaria e di polizia”.
Wray ha aggiunto che l’FBI sta “esaminando i parametri legali” e ha affermato che il Federal Bureau ha mosso una serie di accuse relative alle molestie, alle attività di stalking, di monitoraggio e ai ricatti perpetrati da parte del governo cinese ai danni di cinesi residenti negli Stati Uniti che erano critici nei confronti del presidente cinese Xi Jinping.
“È un vero problema ed è qualcosa di cui stiamo parlando anche con i nostri partner stranieri, perché non siamo l’unico Paese in cui ciò è accaduto”.
Prevedibilmente, Pechino ha respinto ogni accusa. “Le organizzazioni menzionate non sono stazioni di polizia o centri di servizio della polizia”, ha ribadito il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian Zhao.
“Le loro attività consistono nell’assistere i cittadini cinesi locali che devono richiedere online il rinnovo della patente di guida scaduta e nello svolgere attività relative ai servizi sanitari come le visite mediche fornendo la sede”.
Tuttavia, il quotidiano spagnolo El Correo ha citato un anonimo funzionario del Ministero degli Esteri cinese a Shanghai, il quale avrebbe ammesso che le stazioni di polizia all’estero fanno parte del modus operandi della Cina:
“I trattati bilaterali sono molto farraginosi e l’Europa è riluttante a estradare in Cina. Non vedo cosa ci sia di sbagliato nel fare pressioni sui criminali affinché vengano assicurati alla giustizia”.
Safeguard Defenders ha lanciato un appello ai Paesi affinché agiscano rapidamente contro le stazioni di polizia cinesi.
“Invitiamo i parlamentari a sollevare la questione con i loro governi: occorre chiedere se e come questa prassi viene monitorata; in che modo tali operazioni avvengono nel loro Paese e quali misure sono state formulate per contrastarle. Occorre prendere anche delle azioni per tutelare una diaspora cinese nei Paesi di destinazione, a meno che questi ultimi non si accontentino di avere un governo straniero che controlli le minoranze presenti sul loro territorio, spesso volutamente a discapito del Paese di destinazione e delle sue politiche, e finalizzate a costringere la diaspora all’obbedienza al PCC in qualsiasi parte del mondo. Devono essere resi disponibili con urgenza meccanismi specifici per la segnalazione e la tutela”.
Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.