Disordini e scontri a Bruxelles dopo la vittoria del Marocco sul Belgio ai Mondiali di calcio: un simbolo del fallimento della politica migratoria
di Alain Destexhe 11 dicembre 2022
Pezzo in lingua originale inglese: Belgium’s World Cup Football Riots: A Symbol of the Failure of the Migration Policy
Traduzioni di Angelita La Spada
Violenti scontri si sono registrati in Belgio, subito dopo la fine della partita Belgio-Marocco dei Mondiali di calcio, in Qatar. A Bruxelles, i marocchini sono più numerosi delle persone di origine belga nella fascia di età inferiore ai 18 anni. Mentre altrove in Europa si discute animatamente su immigrazione e integrazione, è come se il Belgio si fosse arreso, accettando il proprio destino di Paese multiculturale con una maggioranza musulmana nella capitale e a volte una “nuova normalità” fatta di rivolte urbane, sparatorie e attacchi terroristici. Nella foto: la polizia lavora per liberare una strada tra violenti disordini, il 27 novembre 2022, a Bruxelles, in Belgio. (Foto di Nicolas Maeterlinck/Belga/AFP via Getty Images)
Violenti scontri si sono registrati in Belgio, subito dopo la fine della partita Belgio-Marocco dei Mondiali di calcio, in Qatar.
I disordini sono scoppiati a Bruxelles, ad Anversa e Liegi, dove una stazione di polizia è stata presa d’assalto da circa 50 “giovani”, e anche in diverse città dei Paesi Bassi. Al di là di questi episodi, il giubilo popolare nei quartieri di Bruxelles abitati prevalentemente da marocchini, soprattutto a Molenbeek, ha evidenziato che in queste zone l’identità marocchina è molto più forte di quella belga, anche se la maggior parte degli abitanti ha la doppia nazionalità.
Bisognerebbe essere ciechi e cercare di adattare la realtà all’ideologia della “convivenza a tutti i costi” per non vedere che i marocchini presenti in Belgio tifavano per la squadra marocchina e non per quella della loro “seconda patria”. Alcuni giornalisti hanno provato a farlo, con titoli come “Non importa chi vince tra Belgio e Marocco, sarà una festa”.
La festa si è svolta a Molenbeek, Anderlecht, Schaerbeek e a Bruxelles, comuni dove gli immigrati marocchini e i loro discendenti sono più numerosi rispetto alle comunità di altre popolazioni, inclusi i nativi belgi. Si poteva osservare l’entusiasmo di questi tifosi che suonavano il clacson ed esibivano le bandiere marocchine per le strade della capitale, a bordo delle loro auto con targa belga.
Per molti nativi belgi, questo spettacolo ha infranto il mito dell’integrazione nel Paese di accoglienza, forse perché i festeggiamenti possono essere sembrati eccessivi e persino indecenti per il Belgio, che ha consentito a questi marocchini di vivere in un Paese prospero e di beneficiare dei vantaggi del welfare state.
Le reti televisive non hanno mostrato le immagini di un uomo che rimuove una bandiera belga da un palazzo tra gli applausi della folla, né un’imponente concentrazione di centinaia di marocchini che ballano e cantano a due passi dalla Grand-Place di Bruxelles, bloccata da un cordone di poliziotti, con elmetti e manganelli, che impedivano loro di accedere al centro della città.
Secondo Statbel, l’istituto nazionale di statistica belga, il 46 per cento della popolazione di Bruxelles è ormai di origine extraeuropea (intesa come Unione Europea più Regno Unito) e solo il 24 per cento è di origine belga. I marocchini rappresentano il 7 per cento della popolazione del Belgio, ma il 12 per cento nella regione di Bruxelles-Capitale, la maggior parte dei quali ha anche la nazionalità belga. L’aumento del numero di marocchini in Belgio è stata esponenziale: erano solo 460 nel 1961; 39 mila nel 1970 e 800 mila quarant’anni dopo; un gran numero per un Paese di soli 11 milioni. A causa di questa evoluzione demografica e della facilità di acquisizione della nazionalità belga (in alcuni casi dopo tre anni di residenza senza altre condizioni), il Paese oggi conta 26 deputati regionali o federali di origine marocchina e diversi sindaci, i quali spesso incoraggiano il comunitarismo o “l’appartenenza alla propria comunità”.
A Bruxelles, i marocchini superano le persone di origine belga nella fascia di età inferiore ai 18 anni; molte scuole sono frequentate esclusivamente da bambini di origine extraeuropea. In quelle scuole pubbliche dove i genitori possono scegliere le lezioni di religione, l’Islam è ora seguito dalla maggioranza degli alunni. Che si definiscano questi cambiamenti come “diversità” o come “grande sostituzione” poco importa; in pochi decenni, l’evoluzione è stata notevole e ha modificato il tessuto sociale delle città belghe.
L’hijab (il velo islamico) è sempre più presente ed è indossato dalla maggioranza delle donne in alcuni comuni. Durante il mese del Ramadan, in alcune zone, quasi tutti i negozi e i ristoranti sono chiusi durante il giorno. Il numero delle moschee sta esplodendo e tutte le correnti dell’Islam sono rappresentate a Bruxelles, dove le tensioni fra sunniti e sciiti, o anche fra marocchini e turchi, sono a volte alte, soprattutto in seno all’Esecutivo dei musulmani del Belgio, una struttura che il governo federale ha istituito per avere un unico interlocutore per la comunità musulmana, ma che è passata da una crisi all’altra.
Sebbene nelle Fiandre e in Vallonia sia vietata la macellazione degli animali senza previo stordimento, la lobby musulmana del Parlamento di Bruxelles è riuscita a bloccare una proposta legislativa in tal senso. Durante i processi o le elezioni, è frequente vedere donne che arrivano con i loro mariti e spiegano che non possono rivestire i panni di giurati o di assessori perché non parlano nessuna delle lingue ufficiali del Belgio, il che attesta una politica di integrazione totalmente fallita. Il “vivre ensemble” (“la convivenza”) tanto elogiato dal mondo politico belga è un mito, con le comunità che vivono fianco a fianco, ma non si mescolano fra di loro. I marocchini sposano donne marocchine e i turchi convolano a nozze con donne turche, che solitamente essi portano in Belgio dai loro Paesi d’origine. Il ricongiungimento familiare è ora la principale fonte di immigrazione in Belgio, come in Francia.
In Francia, il passato coloniale del Paese viene regolarmente evocato per giustificare la rabbia dei giovani nordafricani. È una spiegazione che non regge: episodi simili accadono in Belgio, un Paese che non ha alcun legame storico con il Nord Africa. Fu una convenzione del 1964 ad aprire la strada all’immigrazione economica, la cui esigenza è venuta meno da tempo, ma che continua all’infinito attraverso i ricongiungimenti familiari, che gli americani definiscono a ragione “migrazioni a catena”.
La cosa più preoccupante è la negazione e la totale assenza di dibattito sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione, soprattutto nella parte francofona del Paese. I media e i partiti politici non ne parlano. I tafferugli di domenica 27 novembre sono stati attribuiti dal sindaco di Bruxelles a “teppisti e farabutti”, affermazioni che sono state riprese e diffuse senza alcuna accuratezza o analisi. Non viene più fatto alcun collegamento con un’eccessiva immigrazione, proporzionalmente maggiore di quella della Francia. Mentre in Francia e altrove in Europa è in corso un vivace dibattito attorno a questo tema, è come se il Belgio si fosse arreso, accettando il proprio destino di Paese multiculturale con una maggioranza musulmana nella capitale e occasionalmente una “nuova normalità” fatta di rivolte urbane, sparatorie e attacchi terroristici.
Alain Destexhe, editorialista e analista politico, è un ex senatore belga, già segretario generale di Médecins Sans Frontières / Medici Senza Frontiere.