LA STORIA CONTROVERSA: GARIBALDI IN ASPROMONTE.
Nell’agosto del 1862 tra le pietre dell’Aspromonte, le Camicie Rosse di Garibaldi vengono fermate a fucilate dal Regio Esercito prima che possano marciare su Roma ancora sotto la sovranità pontificia. Giuseppe Garibaldi fu ferito da due «palle di carabina» che lo colpirono «una all’anca sinistra, e l’altra al malleolo interno del piede destro».
Un episodio certamente drammatico che mise in evidenza le difficoltà interne ed internazionali in cui versava il neonato Regno d’Italia.
Nelle “Memorie” di Garibaldi, sono poche le pagine dedicate all’Aspromonte. Egli rimane sul vago anche se evidentemente ne uscì disgustato: «Mi ripugna raccontar miserie», scrisse «ma tante furono manifestate in quella circostanza dai miei contemporanei, da nauseare anche i frequentatori di cloache».
Molto più esplicito fu lo storico Denis Mack Smith:«La tragedia di Aspromonte fu dovuta alla deliberata ambiguità del governo. Il Ministero incitò Garibaldi all’azione (tanto il re stesso ebbe a confessare ad alcuni diplomatici stranieri), deciso ad appropriarsi del suo successo o a sconfessarlo e punirlo nel caso che fosse fallito nell’intento».
Il 26 giugno Garibaldi era ancora a Caprera. Ma alle 3,30 del giorno dopo si mise in viaggio per Palermo sul vapore “Tortolì”. Che cosa era accaduto? E chi lo convinse? E soprattutto con quali garanzie e quale programma? A conferma poi dell’improvvisazione della nuova spedizione risulta anche una ricevuta di 28mila lire ricevute da Adriano Lemmi e servite per l’acquisto di cappotti, giberne, selle, pantaloni e 25mila mutande.
Chi lo spinse poi a proseguire, nonostante la palese avversità di parlamentari di sinistra, ed a imbarcarsi su due vapori, uno della compagnia Florio e l’altro francese, per la costa calabrese dopo aver racimolato 210.575 dalla cassa pubblica? Sta di fatto che le severe direttive impartite dal generale Enrico Cialdini al colonnello Emilio Pallavicini di Priola furono da questi rispettate appieno tanto da meritarsi poi l’avanzamento di grado.
Al tenente Luigi Ferrari che colpì il malleolo del piede destro di Garibaldi ( ma pare in realtà che il generale fu ferito da una palla di rimbalzo) venne conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare.
L’incidente suscitò emozione e scalpore in tutto il mondo: la stampa internazionale puntò il dito contro il governo italiano, che aveva tradito l’eroe dopo averlo incoraggiato sottobanco ad organizzare una spedizione il cui obiettivo manifesto era la conquista di Roma.
Il presidente del Consiglio Urbano Rattazzi, tentando di imitare le sottili trame di Cavour, trovava utile tenere Garibaldi sempre pronto ad insorgere. Sperava in tal modo di fare pressione su Napoleone III, convincendolo che l’occupazione di Roma fosse la soluzione meno rischiosa: l’alternativa poteva essere rappresentata da un’azione di forza di volontari repubblicani e rivoluzionari. Garibaldi ricevette in segreto una confusa promessa di appoggio. Il malinteso ne fu la conseguenza, lo scontro militare la conclusione.
DUBBI SULLA VERSIONE UFFICIALE:
1) I medici che curarono Garibaldi concordarono che il colpo aveva seguito una traiettoria obliqua con il proiettile che ha una angolazione precisa: foro d’ingresso in alto e percorso che scende verso il basso. Come sarebbe stato possibile visto che le camicie rosse erano attestate in alto, su un pianoro, mentre i bersaglieri avanzavano da sotto e al momento dello scontro si trovavano ad almeno duecento metri di distanza, come si ricava da tutte le stampe dell’epoca? Sembra impossibile che a colpire siano stati loro”.
2) La pelle dello stivale del Generale (dono degli operai di un cappellificio milanese) presenta almeno tre fori irregolari. Probabilmente il cuoio dello stivale e i pantaloni in tela jeans indossati da Garibaldi fermarono almeno altri due proiettili, oltre a quello che provocò la ferita, giunti a bersaglio con minore forza viva. Sullo stivale rimase una bruciatura a forma lacero-contusa come se il colpo fosse stato esploso da distanza ravvicinata. E nell’attimo del ferimento solo i garibaldini erano tanto vicini al loro condottiero.
3) Il proiettile estratto dal malleolo di Garibaldi e tenuto nascosto per decenni dal figlio Menotti pesa solo 22 grammi, contro 30 di quelli che armavano le carabine di precisione Enfield dei bersaglieri.
Alcuni ricercatori a sostegno di queste loro convinzioni citano anche una lettera scritta a Milano, il 19 novembre 1862, dal chirurgo Ambrogio Gherini, primario dell’Ospedale Maggiore: “…Oggi venni assicurato che la ferita del Generale è stata fatta con un revolver. Aveva ben ragione di dire il professor Porta che una palla da bersagliere non poteva essere passata per la piccola ferita che egli esplorava. Che la cosa stia tra me, voi, il Generale e Ripari. Segretezza!….”
Pasquale Peluso