Ripartire dalla terra

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Salvare la Terra sembra essere lā€™imperativo globale del nostro tempo.

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Ripartire dalla terra

Salvare la Terra sembra essere lā€™imperativo globale del nostro tempo. Ma ĆØ la Terra intesa come Pianeta, la Terra in astratto, la Terra come globo. Poi in concreto, lasciamo che la megamacchina, lā€™industria del food come la fabbrica degli espianti, anche di persone dalla loro terra, sostituisca la terra. Eā€™ quel che avviene con lā€™umanitĆ : chi ama lā€™umanitĆ  in generale, notavano sia Dosteveskij che Leopardi, di solito ĆØ indifferente se non ostile agli uomini che gli sono vicini. Amano lā€™umanitĆ  in astratto, la detestano in concreto, fino a sostituire gli uomini con creature artificiali, geneticamente modificate, intelligenze artificiali, robot e postumani. Quel che ho chiamato ne La Cappa la guerra mondiale contro la natura, si accanisce a partire dalla terra e dai suoi prodotti.

La sostituzione della terra ĆØ quel che precisamente avviene ogni volta che si preferisce lā€™artificiale al naturale, il geneticamente modificato al genuino, il food globale al cibo prodotto a chilometro zero. Si tratta invece di difendere la terra, attraverso il principio di prossimitĆ .

Per rilanciare lā€™agricoltura vanno compiuti tanti atti concreti, ma cā€™ĆØ un atto preliminare da compiere nelle nostre menti e nei nostri cuori: tornare alla terra, considerarla come il nostro habitat naturale, amare e preservare la nostra terra. Le radici sono una risorsa primaria per la natura e lā€™identitĆ  dei popoli, va salvaguardato il nesso vitale tra radici e frutti. E dicendolo mi sovviene il filosofo contadino Gustave Thibon, che amava il Cielo e coltivava la Terra, e anche il contrario,Ā trasmise il suo amore per la terra a una pensatrice eterea che viveva solo nei cieli del pensiero, Simone Weil, che ospitĆ² nella sua azienda agricola e fece lavorare nei suoi campi.

Da lƬ ho imparato che la cultura ĆØ culto e coltivazione, ossia ĆØ legame tra cielo e terra, tra sacro e lavoro nei campi, capacitĆ  di guardare in alto e di restare saldamente con i piedi per terra.

Non riusciremo a salvare i nostri beni culturali e naturali, i paesaggi e i territori senza un amore conservatore per la natura, la storia, la tradizione, le radici dellā€™una e delle altre.

Lā€™Italia, lo dico da una vita, non ĆØ un potenza mondiale demografica o economica, militare o tecnologica, ma ĆØ la superpotenza mondiale per i beni culturali e per il cibo; il suo primato ĆØ nellā€™intreccio tra arte e natura, tra paesaggi e retaggi, tra cultura e alimentazione.Ā Non si tratta di chiudersi in una sorta di autarchia alimentare, ma di dare una risposta adeguata, attiva, non passiva, alla globalizzazione e alla standardizzazione planetaria del cibo.

Sulla sovranitĆ  alimentare, si sono sprecate stupide ironie a proposito dellā€™ononimo ministero, ma un ministero della sovranitĆ  alimentare cā€™ĆØ anche in Francia; e pure il patron dello slow food, Carlo Petrini, legato ai dem, riconosce il fondamento di una definizione del genere e di una battaglia in questa chiave. Semmai bisogna preoccuparsi che non resti solo un nome, una parola. SovranitĆ  alimentare vuol dire anche tutelare il principio di prossimitĆ , valorizzare lā€™economia agricola e reale nostrana, a partire dal chilometro zero, attivare una filiera conseguente, difendere i prodotti nostrani. E soprattutto amare la Terra, si, la Terra tutta, ma a partire dalla propria; amare la terra dei padri e fecondarla e consegnarla ai figli.

(Dallā€™intervento al forum internazionale della Coldiretti, Roma 24 novembre 2022)