ETIMOLOGIA DELLE PAROLE NAPOLETANE
LA PIÙ FAMOSA CAVITÀ DELLA NAPOLI BORBONICA
Nel 1853 Ferdinando II di Borbone incaricò l’architetto Errico Alvino di progettare un viadotto sotterraneo che, passando sotto Monte Echia, congiungesse il Palazzo Reale con piazza Vittoria, prossima al mare e alle caserme. Lo scopo era quello di realizzare un percorso militare rapido, per difesa della Reggia che accogliesse le truppe già ospiti nella caserma di via Pace (attuale via Domenico Morelli), e che potesse servire -in caso di necessità- come via di fuga per gli stessi monarchi. Il progetto di Enrico Alvino fu un profondo scavo (12 metri) e la creazione di due gallerie per gli opposti sensi di marcia, con illuminazione a gas e ampi marciapiedi laterali; la galleria diretta a Chiaia si doveva chiamare -secondo il progetto- “Galleria Reale” o “Strada Regia” e la galleria in senso opposto “Strada Regina”; entrambe sarebbero arrivate al Largo Carolina (oggi Piazza Carolina) una costeggiando il retro-colonnato di Piazza Plebiscito e l’altra Via Santa Lucia; durante l’esecuzione dei lavori (cominciati nell’aprile 1853) fu realizzato un solo scavo da cui partivano due gallerie, una carrabile e l’altra pedonale, che procedevano parallele per 84 m e arrivavano nelle già esistnti Cave Carafa, già esistenti dal Cinquecento e utilizzate per la costruzione di vari edifici nella zona e anche per la costruzione della Chiesa della Nunziatella. La costruzione della Galleria richiese costosi e complessi lavori idraulici e tecnici risolti da Enrico Alvino con soluzioni innovative e geniali, escogitate via via che se ne creava la necessità; ma non arrivò mai a Palazzo Reale e fino alla Seconda Guerra mondiale non ebbe neppure un’uscita. I lavori furono completati nel Maggio del 1855 dopo circa 3 anni di lavori realizzati totalmente a mano con picconi, martelli e cunei, e con l’ausilio di illuminazione fornita da torce e candele. Il 25 dello stesso mese la Galleria Borbonica venne addobbata e illuminato sfarzosamente per la visita di Ferdinando II di Borbone, anche se in realtà rimase aperto al transito pubblico per soli 3 giorni. Durante il periodo bellico, tra il 1939 e il 1945, la Galleria ed alcune ex cisterne limitrofe furono utilizzati come ricovero dei cittadini; vi trovarono rifugio tra i 5.000 ed i 10.000 napoletani, molti dei quali persero le case durante i numerosi bombardamenti subiti dalla città sia da parte degli alleati, prima, e in seguito dei tedeschi. Dopo la guerra e fino al 1970 la Galleria Borbonica fu utilizzata come Deposito Giudiziale Comunale e vi venne immagazzinato tutto ciò che era stato estratto dalle macerie causate dai duecento bombardamenti subiti da Napoli, nonché quello che fino agli anni ‘70 veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri. Nel 2007 i geologi che lavoravano nella galleria scoprirono un passaggio murato che lo divideva da un’altra grande cavità che era stata riadattata a ricovero bellico. In questi ambienti gli stessi geologi rinvennero un altro accesso ai ricoveri, che nel Seicento costituiva già un ingresso al sottosuolo. Il passaggio veniva utilizzato dai “pozzari” che si occupavano della manutenzione dell’acquedotto; è costituito da una stretta scala di 75 gradini in coccio pesto che giunge in un locale di Vico del Grottone, alle spalle della chiesa di Piazza Plebiscito. Oggi, oltre ai numerosi autoveicoli e motoveicoli, al di sotto di cumuli di detriti alti 8 m, sono state rinvenute parecchie statue di epoche diverse, tra le quali l’intero monumento funebre del capitano Aurelio Padovani, pluridecorato capitano dei bersaglieri nel 1° conflitto mondiale e fondatore del partito fascista napoletano.
CURIOSITÀ E MISTERI
*All’interno dell’immensa cavità ci sono anche molte antichissime cisterne e un dedalo di antiche gallerie scavate nel tufo, compreso il ricovero antiaereo dove si rifugiavano l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e lo scrittore Curzio Malaparte. In un piccolo cunicolo sono accumulate migliaia di conchiglie, scarti della produzione di un orafo che a fine Ottocento aveva un laboratorio, i cui locali comunicavano con la cisterna sottostante tramite un pozzo. I numerosissimi pezzi di conchiglie, utilizzati per la manifattura di cammei e bottoni nel corso degli anni, avevano riempito completamente il cunicolo. Procedendo il percorso in direzione della congiunzione all’acquedotto della “Bolla”, si incontrano ambienti sulle cui pareti si notano misteriosi segni (religiosi?) forse incisi dai “pozzari”, i manutentori degli acquedotti sotterranei.
* Ogni abitazione, nella città di Napoli, poteva attingere acqua dalla cisterna sottostante tramite un pozzo al quale aveva accesso il “pozzaro”, una classe di liberi professionisti che si muovevano con destrezza in questi antri camminando lungo stretti cunicoli e arrampicandosi su per i pozzi grazie a dei fori praticati a distanza più o meno regolare; a breve un articolo su pozzari e monacielle… (Da alcuni miei vecchi post, ulteriormente abbandonati, cui rimando per le note bibliografiche e per le immagini riportate di seguito)
Pasquale Peluso