LE DONNE DEL SUD, LE BRIGANTESSE
di Maria Rosaria De Rito
Ho letto la rubrica di Valentino Romano – Carta di Venosa – stamattina e mi sono emozionata.
Quando si parla di Brigantesse io ho un brivido…immagino donne semplici eppure coraggiose, contadine eppure guerriere, mogli e amanti senza riserve. La storia ne aveva bisogno e loro non si sono negate.
Quando mai le donne si negano se c’è da amare e da combattere.
Precisa, fra l’altro, che l’ultimo incontro si è svolto con pacatezza e controllo, nella sede di Pontelandolfo , senza straripare in eccessive parziali considerazioni…ed è giusto che sia così.
Ma davvero?
Io non ci riesco.
Immagino una ragazza di 20 anni , nell’ anno 1862 o 1863, che scappa, di notte, per raggiungere il suo innamorato, perché la vita che fa non le piace, sente che è vittima, ancora una volta, e ancora di più in quanto donna, di un sistema che la comprime e la umilia. Non ha istruzione, ma è molto intelligente. Un’intelligenza rapida e sbrigativa, di quelle che si allenano quando si vive una vita dura, comprende il disagio…e non tollera il sopruso. L’ ennesimo. Rinuncia all’onore e sfida le convenzioni. Certo siamo in guerra e le convenzioni …vanno a farsi benedire. Comunque compie un gesto forte e preciso.
Il carattere e la personalità di queste donne…
Be’… è fuori discussione.
Come si fa a non amarle?
Oppure è rapita dal brigante prepotente, ed è suo malgrado coinvolta….e forse anche un po’ felice di scrivere una pagina di storia.
Oppure si occupa di portare da mangiare e lavare il bucato.
Comunque partecipa a quella guerra. Perché è una guerra e tutti lo sanno.
Come si fa a non amare belle e ruspanti ragazze, che senza saper leggere e scrivere, si diedero ad una clandestina vita per costruire un mondo migliore?
Perché questo, loro malgrado, fecero. Senza saperlo…lottarono, insieme ai loro uomini, per un mondo migliore. Più giusto. Inutilmente aggiungerei…Ma forse non è mai inutile …
E io le amo.
E io mi inchino.
E io mi chiedo di cosa sono capace per rendere migliore questo mondo. Questo mio amato Sud.
Di certo non sono ardita e impavida quanto loro.
Ambisco però…. credetemi.
Mi dispiace caro Valentino, ma io voglio essere di parte . E voglio ricordarle come mitiche condottiere di una guerra povera e cafona, ma che invece è ricca di esempio.
Sai cosa ci vedo?
Il coraggio? …No di più
Ci vedo la passione e la sfrontatezza. Temerarie, agguerrite, battagliere, addestrate a sopravvivere, vere soldatesse ….pronte ad amare e pronte a morire. Perché loro non avevano paura.
E quando la avevano….la reprimevano.
Ti chiederai …da serissimo studioso quale sei, come possa affermare tutto ciò…
Perché si… Perché sono una donna e il loro dolore e la loro forza e la loro disperazione…. me le sento addosso, in quanto donna.
Perché mi stanno supplicando di essere strappate dall’ oblio.
Loro …le mitiche belle donne del Sud… brigantesse senza gloria. Senza passato e senza futuro.
La storia è così avara con le donne…
Ma forse …grazie ad un integerrimo studioso come te e ad una nostalgica pasionaria come me…stasera vivono nei nostri cuori .
Viva le donne del Sud. Mai domate . Brigantesse con onore. Accanto ai loro uomini…
Ringrazio Maria Rosaria De Rito per l’attenzione, le belle parole nei miei confronti, ma (soprattutto) per il pathos che traspare dalla sua lettera aperta alla “Carta”. Il suo scritto è testimonianza inoppugnabile di come il sangue “ribelle” scorra ancora nelle vene delle genti meridionali, di quelle che non si arrendono e lottano. A dimostrazione di un popolo spesso vinto ma mai domo, maltrattato ma tenace: una speranza alla quale non solo aggrapparsi ma dalla quale ripartire – specie in questo tormentato periodo – avendo come obiettivi principali il riscatto del Sud e il conseguente e collegato riconoscimento della pari dignità di tutti i cittadini della nostra Nazione. Entro, brevemente, nel merito della lettera: Maria Rosaria pone l’accento sull’azione delle “brigantesse”, cioè di quelle donne che imbracciarono il fucile accanto ai loro uomini; parla di coraggio. E ha ragione! Ce ne volle di coraggio per rompere radicalmente gli schemi del perbenismo borghese. Ma non si pensi a queste donne come esseri “straordinari”, come “eroine”, insomma. Erano – come scriveva tempo addietro il mio amico Giuseppe Marino – “scricchioli” di donne che, inizialmente, troppo coraggio potevano anche non averne, ma che, con testardaggine, se lo andarono a cercare! E lo trovarono! Tanta era la forza della disperazione. Maria Rosaria si dichiara “di parte” e un po’ si meraviglia perché a Pontelandolfo il discorso è stato “pacato”. E coglie, mi pare di capire, una certa qual contraddizione tra “partigianeria” e “pacatezza”. Ma è solo una contraddizione apparente. In questi anni di “revisionismo”, spesso urlato e poco meditato, la “pacatezza”, cioè la forza del ragionamento a scapito della suggestione, è stata intesa – da alcuni – come “arrendevolezza alle posizioni dell’avversario” quando non anche come “complicità” con lo stesso. Ne sono testimonianze le tante accuse di “ascarismo” lanciate a destra e a manca e a sproposito. Ma io, sommessamente, dico a Maria Rosaria: se si “ragiona”, si giunge a conclusioni poco confutabili. E a me piace “ragionare” e convincermi sempre di più di essere altrettanto “di parte” come lei. E lo sono, almeno quanto lei. Compenetrarsi nel dramma di queste donne, entrare (o almeno tentarci) nell’animo di queste contadine significa comprenderne le ragioni; e portare alla luce le ragioni profonde della loro ribellione esistenziale significa schierarsi al loro fianco, “parteggiare appunto. Un’ultima riflessione: Maria Rosaria parla con il cuore e con il sangue delle “brigantesse”. Io la invito a volgere lo sguardo anche a tutte quelle donne che “brigantesse” non furono ma che affiancarono e subirono la rivolta contadina; una platea sterminata. Anche di esse ebbe bisogno la Storia. E pagarono pegno a quella Storia che le voleva vittime. Di questo, su questo si è riflettuto a Pontelandolfo; di questo, su questo dovremmo continuare ad occuparci. Contrariamente alle previsioni iniziali l’ho fatta lunga e la smetto. Non prima però di dire un grazie immenso a Maria Rosaria, alla sua sensibilità e alla sua “partigianeria”. Che è sua, mia e nostra.
Valentino Romano