Beppe, sciogli i 5Stelle

𝐁𝐞𝐩𝐩𝐞, 𝐬𝐜𝐢𝐨𝐠𝐥𝐢 𝐢 𝟓𝐒𝐭𝐞𝐥𝐥𝐞
Se fossi Beppe Grillo scioglierei il Movimento 5 Stelle.

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Beppe, sciogli i 5Stelle

Se fossi Beppe Grillo scioglierei il Movimento 5 Stelle. Non ha più ragione di esistere, ha perso tra scissioni, defezioni ed espulsioni più della metà dei suoi rappresentanti eletti in Parlamento, è destinato a un’ingloriosa decimazione e il trasformismo lo ha divorato, snaturato e svuotato. Pensare che il più camaleonte di tutti Giuseppe Conte debba oggi rappresentare e difendere l’identità del Movimento dai traditori voltagabbana come Luigino Di Maio, è qualcosa che va oltre il teatrino dell’assurdo. La cosa peggiore che si può dire di loro è che a ruoli invertiti farebbero ambedue la stessa cosa: Conte al governo avrebbe le stesse posizioni di Di Maio in tema di euroatlantismo, guerra, Mattarella, Mastella e compagnia bella. E Di Maio fuori dal governo sarebbe il leader dei grillini veraci e risentiti. Sono situazionisti, per non dire paraculi.
Conte e Di Maio hanno insieme vissuto, promosso e condiviso tutte le quattro stagioni del transgrillismo: identitari quando non sono al governo, alleati con Salvini per andare al governo, alleati ai dem per restare al governo, infine sostenitori di Draghi, della Nato e delle Vecchie Zie euroamericane per restare al governo. E ambedue hanno fatto di tutto per non andare alle urne: lo chiedevano i loro stessi parlamentari che a loro volta, come i loro capi, hanno a cuore solo la sopravvivenza personale. E perciò votano qualsiasi governo sia in carica, pur non di tornare al voto.
Così sintetizzavo giorni fa la situazione del divorzio tra Volta&Gabbana: il trasformista Di Maio si è separato dal contorsionista Conte. Giuseppe Zelig sposa da avvocato la causa del Movimento 5S ma non s’azzarda a rompere col governo, altrimenti il voto sbaracca i grillini. E Fregoli Di Maio si fa euro-atlantico, draghino e centrista, tra Mastella e Mattarella e si piazza al centro. Sono statisti acrobatici, specialisti nel salto multiplo della quaglia. Uno vale uno quando non sei nessuno; altrimenti pussa via, non sapete chi sono io.
Quando Giggino apparve da cucciolo di Grillo in tv, ascoltandolo e vedendo i suoi modi poco grillini, le sue mani di fata, il suo argomentare e il suo abitino, gli predicemmo il futuro: diventerà democristiano, senza offesa per i dc. Così è stato. E così sarà. Solo un paio di settimane fa ipotizzavamo un Cartello Surreale costituito da Di Maio, Mastella, Renzi, Carfagna e i centristi sparsi e oggi quello scenario dell’assurdo è l’ipotesi più probabile su cui stanno lavorando gli stessi interessati, salvo non riuscire nell’intento e allora invocare la loro purezza: non saremmo mai andati con lui.
Dal canto suo Conte, stando fuori dal governo, serbando rancore per la sua cacciata da Palazzo Chigi e dovendo rappresentare la clientela grillina, ha recitato per poche ore la parte dell’Intransigente per poi squagliarsi come burro e calarsi le braghe, uscendo con la coda tra le gambe. Alla fine è rimasto nel governo e nella maggioranza pure lui come il suo rivale transgenico, votando pure il via libera per le armi all’Ucraina e rimandando ancora una volta la rivoluzione, causa maltempo, a data da destinarsi. E allora per cosa si sono divisi? Per la sola e ridicola ragione del secondo mandato? Ma dai, fatela finita con questa pagliacciata.
Alla fine, dicevo, l’unico grillino coerente è Ale DiBattista, purissimo grillissimo, che è fuori dal Movimento ma rappresenta lo spirito originario, confusionario ma coerente. Dovrebbe essere lui l’ultimo leader del Movimento, pur ridotto a partitino d’opposizione almeno per concludere in bellezza con la sigla di chiusura. Lui è l’unico in questa vicenda a uscirne a testa alta; magari vuota ma alta.
L’unica argomentazione seria a queste mie osservazioni è sempre la solita: ma gli altri partiti sono forse meglio? No, non sono meglio, ma questi sono peggio. Trasformisti ce ne sono, eccome, anche dalle altre parti, gente che si rimangia quel che dice il giorno prima ce ne sono a iosa, ma nessuno è riuscito a essere così trasformista come loro e a vivere tutte le stagioni passando dal bianco al nero, dal rosso al verde, dal giallo al grigio, dall’antipolitico al peggior politicante. Ma un amico grillino mi incalza: e allora per te chi dovremmo votare? Le soluzioni sono due: se siete coerenti, per nessuno. Se siete realisti e pensate al male minore, a tutti gli altri, uno a vostra scelta, ciascuno secondo le sue preferenze.
I grillini sono riusciti nell’arco di questi quattro anni di governo e di movimento maggioritario a dimostrare due cose opposte: quanti danni, errori, sciocchezze può commettere un movimento antipolitico di dilettanti arrabbiati al governo, dal reddito di parassitanza in poi. E quanto accomodante, servile, trasformista, poltronista può diventare un movimento del genere, superando in queste specialità tutti gli indecenti politicanti delle due repubbliche precedenti.
Se fossi Beppe Grillo annuncerei di sciogliere il movimento, magari col consenso del ritrovato sodale Casaleggio, pur avendo la certezza che i suddetti grillini, grilloidi e grillacchioni se ne fregherebbero e resterebbero attaccati all’ultimo straccio di Movimento e di seggiola fino a che non saranno cacciati dall’elettorato. Ma per lui sarebbe perlomeno un modo per scindere la sua immagine e la sua responsabilità di leader e ora di garante da quel circo penoso. E se non vuole dichiarare fallimento del progetto, se non vuole dirsi veramente sinceramente deluso dalla sua creatura, potrebbe perfino chiudere con un colpo di teatro, dicendo che la missione dei grillini è compiuta e perciò può dirsi soddisfatto e ora non hanno più ragion d’esistere: ha dimostrato che dal nulla un movimento può diventare il primo partito e andare al governo, e ha dimostrato pure il contrario, che un partito di governo, primo per consensi, può ridursi al nulla. Dal nulla al nulla, passando per il potere. Sarebbe il vero ritorno alle origini.

La Verità (26 giugno 2022)