𝐋𝐚 𝐑𝐮𝐬𝐬𝐢𝐚 𝐢𝐧𝐯𝐚𝐝𝐞? 𝐄 𝐧𝐨𝐢 𝐜𝐞𝐧𝐬𝐮𝐫𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐃𝐨𝐬𝐭𝐨𝐞𝐯𝐬𝐤𝐢𝐣
Vi prego, non fatevi imprigionare dal presente. Liberate la mente, pensate ad altro, fate altro, vivete altro.
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La Russia invade? E noi censuriamo Dostoevskij
Vi prego, non fatevi imprigionare dal presente. Liberate la mente, pensate ad altro, fate altro, vivete altro. Quando la guerra o la pandemia si mangia ogni altro orizzonte comune della gente, sembra che nulla abbia più valore e senso se non l’Evento Unico e Tremendo che sta accadendo. Il Discorso è unico e vorrebbero pure renderlo uniforme. Ogni altro orizzonte è intruso e fuori tempo. Si spegne il passato, svanisce il futuro, si rattrappiscono altri mondi, altre visuali, altri campi vitali d’interesse. Siamo tutti concentrati, passivi, raccolti intorno a quel che sta succedendo a est. Il presente si fa ossessivo e invasivo, occupa tutta la vita ed esaurisce il mondo delle relazioni, soprattutto pubbliche. Resta al più la sfera biologica, bere, mangiare, dormire, andar di corpo e poco altro.
Quel che aggrava la riduzione del Tutto al quotidiano è l’applicazione del politically correct e della cancel culture al presente, con i suoi divieti e le sue meschinità. Esempio fresco: l’Università la Bicocca cancella un corso su Fedor Dostoevskij di Paolo Nori con la scusa di voler evitare polemiche. Si censura la cultura e il passato per genuflettersi al presente. Quanta cultura tedesca o russa avremmo dovuto già cancellare con questa demenza retroattiva: dopo Hitler non c’è più spazio per Kant o Goethe, dopo Stalin non c’è più posto per Gogol e Tolstoj. Qual è la ratio di questa censura se non lo schiacciare ogni passato, ogni pensiero, ogni letteratura a oggi? Che nesso c’è tra la letteratura esistenziale di Dostoevskij e i missili su Kiev? La cultura dovrebbe essere al contrario, un modo per prendere le distanze, non scambiare la parte col tutto, vedere le cose al di là del frangente quotidiano, senza mai identificare un popolo, una storia, una letteratura con un capo o un apparato militare.
Per non dire dei direttori d’orchestra licenziati, perché russi e dunque filorussi…
Sono più di due anni che viviamo in questo modo, considerando irrilevanti tutti gli altri aspetti della vita, e negando che possa esservi uno spazio pubblico oltre quello, soprattutto televisivo, intorno all’Evento. L’unica Agenzia di riferimento, che batte l’agenda del tempo e la impone, è quella dei Media, della Tv in particolare, intesa come la nuova agorà, la piazza di tutti, mentre i social sono vie laterali e condotti periferici. È lì che si esercita il Grande Fratello, ossia colui che detta l’importanza dell’Evento e il relativo taglio a cui conformarsi.
Con un perfetto cambio di guardia, proprio mentre Draghi annunciava la fine dell’emergenza, l’attacco all’Ucraina spostava le attenzioni globali su un altro centro d’interesse che monopolizza l’attenzione. Non si discute dell’importanza assegnata all’evento ma della sua ossessiva unicità che chiude ogni altro discorso prima di aprirlo. E non si chiede nemmeno, come pure sarebbe ragionevole, che il Grande Fratello ci lasci altri spiragli, e lasci raccontare che intanto, mentre infuria la guerra a Kiev, accadono altre cose, il mondo ha altri problemi, altri orizzonti, altre memorie.
Chiediamo, anzi imploriamo di tener desta l’attenzione sul resto della vita e non solo sul Fatto Unico; ciascuno adotti una strategia per ripararsi dal Diluvio Universale, e riattivi i suoi circuiti d’interesse per altri ambiti vitali, sociali, culturali. Mai come oggi abbiamo bisogno di uscire dalla Cappa del Presente.
Abbiamo bisogno di riprendere a pensare a quel che accadde, cioè alla storia. Abbiamo bisogno di riprendere a pensare il mondo circostante, nelle sue varietà e differenze, i suoi ambiti espressivi e la polifonia di voci. Abbiamo bisogno di immaginare un avvenire diverso da quel che ci offre il Convento Odierno, figurare cose diverse, proiettarci in altri mondi reali e favolosi, possibili e mitici, emozionali e logici.
Hegel diceva che il quotidiano è la preghiera del mattino dell’uomo moderno. L’uomo d’oggi prega (e impreca) il quotidiano, e non ha altro dio fuori dal presente. Sento perfino gente dire che non riesce più a leggere un libro dacché vede le immagini dell’Ucraina: magari è un alibi da anime belle per la propria svogliatezza, perché a nulla serve restare concentrati su quelle immagini. Certo, leggere è meno importante di ripararsi dalle bombe o di combattere una guerra, ma qui stiamo parlando di spettatori inermi che a casa loro si lasciano paralizzare dalla visione di quelle immagini. C’è sempre qualcosa di più urgente nel mondo che leggere, studiare, fare arte, e tutto il resto. Anzi se consideriamo che si muore ogni giorno di fame e miseria, di guerra e di esodo, dovremmo cessare ogni altro interesse solo per concentrarci su questi temi permanenti e drammatici. Eppure trovi sempre il cretino che se stai scrivendo o parlando di temi storici, filosofici, artistici e sociali, obbietta che mentre tu discetti di questi argomenti, la gente muore. Demagogia demente, anche perché la riduzione dell’umanità a un Collettivo di Perenni Addolorati non migliora certo la situazione del mondo e peggiora sicuramente la vita dei medesimi e di chi è loro intorno.
Insomma quello che mi preme dire è che non dobbiamo mai farci ipnotizzare dal presente come ci viene presentato dalle Fabbriche dell’Opinione e dell’emozione pubblica; ma saper stabilire una gerarchia di piani e di interessi che ci permetta di vivere il presente in un contesto più ampio, senza esserne assorbiti fino a svuotarci di ogni umanità. Dostoevskij non sta bombardando Kiev.
MV, La Verità (3 marzo 2022)