𝐋’𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐢𝐦𝐞𝐳𝐳𝐚𝐭𝐚 𝐞 𝐧𝐨𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐧𝐢𝐞𝐫𝐢 𝐢𝐧 𝐩𝐚𝐭𝐫𝐢𝐚
La pantomima sul Quirinale con ritorno al punto di partenza, ci ha confermato una cosa che va al di là dell’elezione del Capo dello Stato
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L’Italia dimezzata e noi stranieri in patria
La pantomima sul Quirinale con ritorno al punto di partenza, ci ha confermato una cosa che va al di là dell’elezione del Capo dello Stato: siamo un paese dimezzato, diviso in modo irreparabile tra il Bene e il Male, gli eletti e gli esclusi. Mezza Italia, sempre la stessa, anche quando è maggioranza, non può essere rappresentata nei ruoli istituzionali, di prestigio e di garanzia. Senza neanche possibilità di mediazioni.
Qualcuno ricorderà che prima della tarantola quirinalizia, fu accolta quasi da tutti l’idea che stavolta sarebbe toccato, dopo vari decenni, al centrodestra esprimere una rosa di candidati da sottoporre al centro-sinistra. Non candidati super partes, pretesa ipocrita: nessuno lo era stato prima, tutti – a partire dagli ultimi due presidenti, Napolitano e Mattarella – provenivano da un partito, erano schierati. Così dal centro-destra si sono fatti nomi di presidenti del Senato, ex o in carica, prestigiosi accademici e magistrati specchiati, autorevoli ex-ministri e figure di rilievo nella vita pubblica del Paese. Ma neanche uno ha superato l’esame d’ammissione della commissione giudicatrice, rappresentata dal fronte progressista. E dopo penose manfrine e giravolte, si è tornati a Mattarella.
In questi anni il centrodestra è stato anche maggioranza ma non ha mai potuto eleggere un presidente della repubblica; l’ultimo eletto in modo tormentato da una maggioranza di centro-destra fu Giovanni Leone più di mezzo secolo fa, ma fu massacrato dai media e dalla sinistra e poi risultò innocente dalle gravi accuse subite. Analoga sorte era capitata ad Antonio Segni, eletto dai partiti di centro-destra, anch’egli costretto alle dimissioni dopo appena due anni.
A parte il giudizio sul settennato di Mattarella, rieleggerlo è stata comunque una sconfitta per l’Italia e per la democrazia e un fallimento per la politica, incapace di fare un solo passo avanti rispetto alla diarchia dominante. Ma il tema che vogliamo affrontare è un altro: a mezza Italia, che è maggioritaria o minoritaria secondo le fasi e i flussi d’opinione, è preclusa la possibilità di contare e di vedere suoi rappresentanti in ruoli istituzionali di garanzia. Traduco più rozzamente: un uomo di destra non andrà mai al Quirinale (o alla Consulta) né sarà mai riconosciuto un governo di centro-destra dall’establishment italo-europeo e dai suoi avversari. Il centro-destra ha votato in larga parte per Napolitano o per Mattarella, e per tanti loro predecessori, ma non succede mai il contrario per i candidati dell’altro versante. Nessun uomo di destra potrà mai essere accolto bipartisan; anzi, nella rosa dei nomi circolati nessuno di loro si è mai definito di destra; ma l’essere sostenuti dal centro-destra li rende indegni a prescindere. Profili diversi, intellettuali, donne, imprenditori o magistrati; tutti bocciati, considerati reprobi e reietti, comunque “di parte”.
La questione sarebbe già di per sé grave se fosse limitata all’ambito istituzionale ma non è così: quella esclusione è il paradigma che vale in ogni ambito. Non solo politico ma anche civile, culturale, accademico, morale, sociale, umano. A nessun livello, in nessun campo, un uomo definito – anche solo dagli altri – di destra sarà mai accettato e riconosciuto. Sono tollerati di destra solo i morti, i pentiti o i dissidenti.
Da uomo di destra sai di essere destinato alla morte civile, all’inesistenza, al ghost pass, il passaporto che ti rende fantasma. Qualunque cosa realizzerai sarai ignorato, non pervenuto, con accessi vietati, a prescindere. E’ frustrante. In un momento in cui avverti le libertà restringersi, i diritti costituzionali soffocati, la sorveglianza cingerci d’assedio anche a livello biologico, questa ennesima dichiarazione di esclusione è insopportabile.
Poi, certo, va fatta anche una seria e radicale autocritica e una critica del mondo di destra e dei suoi rappresentanti, incapaci di contrapporre modelli, racconti e figure e di avere una strategia culturale e civile per modificare o contrastare questa mentalità. Ma la destra oggi è inadeguata quanto i suoi dirimpettai progressisti, che però hanno potere di veto e permesso d’accesso.
Quel potere che esclude a priori chiunque non vi faccia parte è il segno di una democrazia dimezzata e di un’Italia dimezzata. E del predominio non di una casta, che sarebbe già in sé un male, ma di una cupola, con relativa mentalità mafiosa.
Le celebrazioni pubbliche dei personaggi cari all’establishment stanno diventando imbarazzanti, insopportabili e ossessive: peana interminabili, funerali solenni che durano una settimana, mitizzazioni di mediocri o controversi personaggi elevati a fondatori e giganti dell’umanità, senza voci discordanti. Anche lo stereotipo negativo non ammette divergenze: solo esclusioni a priori, se non demonizzazioni. Il sistema ormai separa gli insider e gli outsider in modo assoluto, tra stucchevoli celebrazioni e inesorabili cancellazioni. Agli esclusi non è dato nemmeno l’onore delle armi, riconoscendo i loro meriti e le loro qualità.
Segue poi la rappresentazione di una falsa unanimità, di un tripudio generale… Questo rigido ripetersi di elogi sperticati e vituperi irreparabili, senza possibilità di variazione mortifica la libertà quanto la verità. Perciò la questione non è solo il Quirinale o i modesti leader che abbiamo visto all’opera. Ma è la questione di un Paese che ha un emisfero in luce, lodato, e un altro in ombra, infame. Da qui la voglia di andarsene, di scegliere perlomeno la migrazione interiore. E dimettersi, non da italiani, ma da cittadini. Perché ti senti straniero in patria e al tuo tempo se non ti accodi al loro canone.
MV, Panorama (n.5)