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La passione di Alessandro Manzoni per l’Italia, per la sua redenzione e la sua indipendenza fu costante.
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Manzoni il patriota
La passione di Alessandro Manzoni per lâItalia, per la sua redenzione e la sua indipendenza fu costante. Dai versi del Marzo 1821 al testo estremo sullâindipendenza dâItalia del 1873, allâetĂ di 88 anni, Manzoni accompagnò il processo risorgimentale, dagli albori dei primi moti alle guerre dâIndipendenza, alla proclamazione dellâUnitĂ dâItalia fino a Roma Capitale. Ne ho scritto nellâantologia manzoniana I fiori del bene, che ho curato e introdotto per Vallecchi. Fu lui nel 1833 a dettare la chiusa patriottica allâEttore Fieramosca di Massimo dâAzeglio. Firmò lâappello dei milanesi a Carlo Alberto per invocare lâaiuto del regno piemontese nella lotta contro gli austriaci. Manzoni fu critico verso lâipotesi giobertiana di una confederazione di stati guidata dal Papa, ma anche verso ogni altro assetto confederale, come quello proposto da Cattaneo; a suo dire sarebbe stata âuna nuova forma della nefasta divisione dellâItaliaâ. Manzoni si rifiutò di partecipare alle manifestazioni per lâincoronazione di Ferdinando I nel â38; emigrò volontariamente a Lesa (dove avrebbe scritto e poi distrutto un Dialogo sullâUnitĂ dâItalia) e poi andò oltre il Ticino frequentando i fuorusciti di varia estrazione politica; rifiutò unâonorificenza del governo austriaco e nel â58 non volle ricevere lâarciduca Massimiliano dâAsburgo.
Manzoni non riconosceva il diritto divino dei sovrani ma riteneva la monarchia la forma piĂš adatta per lâunitĂ e la libertĂ della nazione. Si riconobbe nella linea politica di Cavour e nel Piemonte sabaudo. E si schierò con lo Stato italiano contro il potere temporale del Papa, e fu per questo criticato dai gesuiti; accettò la cittadinanza onoraria in Roma Capitale nel 1872, nonostante la bolla di Papa Pio IX contro âgli invasoriâ dopo lo sfregio della Breccia di Porta Pia.
In un suo saggio rimasto incompiuto, Manzoni paragonò la Rivoluzione francese e la Rivoluzione italiana del 1859, sottolineando i caratteri e le motivazioni differenti. Criticò la velleitĂ del governo rivoluzionario francese, lâoppressione e la violenza, lâincapacitĂ di far nascere governi duraturi e difese la nazione francese dalla âdittatura della virtĂšâ poi sfociata nel Terrore. Giustificò invece la Rivoluzione italiana necessaria per unificare la penisola e sottrarla al giogo straniero delle tirannidi. Ă splendido il ritratto manzoniano di Robespierre nel dialogo DellâInvenzione dove critica il rivoluzionario sognatore di mondi nuovi e nemico della realtĂ , oltre che della religione e della tradizione.
âTra Manzoni e gli âumiliâ â scrisse Gramsci â câè distacco sentimentale; gli umili sono per il Manzoni un problema di storiografiaâ, âpresentati come macchiette, con bonarietĂ ironica, ma ironica. E il Manzoni è troppo cattolico per pensare che la voce del popolo sia voce di Dio; e tra il popolo e Dio câè la Chiesa, e Dio non sâincarna nel popolo ma nella Chiesa. Che Dio sâincarni nel popolo poteva crederlo il Tolstoj, non il Manzoniâ. Gramsci gli rimproverò di prendere in giro i popolani, di farne delle caricature: âIl popolo nel Manzoni nella sua totalità è bassamente animalescoâ. Il suo cristianesimo âondeggia tra un aristocraticismo giansenistico e un paternalismo popolaresco gesuiticoâ.
E invece la compassione manzoniana per la gente umile era autentica. La sua ironia non risparmiava figure di altra estrazione sociale (una coppia fra tutti, don Ferrante e donna Prassede). Disprezzò i signorotti come don Rodrigo o ai suoi manipoli, non certo per gli umili e le vittime dei soprusi. Manzoni abbandona la letteratura eroica e pone al centro della sua storia due popolani; racconta il travaglio delle gente comune con una umanitĂ che ha pochi precedenti e paralleli nel suo tempo. Ne LâItalia finisce ecco quel che resta, Prezzolini notava che in Manzoni oltre âla bestialitĂ del popolaccio ignoranteâ erano evidenziati âlâegoismo dei potentiâ, âgli inganni della cricca al governoâ, âla complicitĂ colpevole degli ordini religiosiâ, âla criminale responsabilitĂ dei ricchiâ. Tutto meno che una difesa di classe o dei ceti alti rispetto ai ceti popolari. La preghiera salva lâumile Lucia e redime piĂš in alto lâInnominato. Ovvero la grazia non fa scelte di classe, anzi premia gli umili e i potenti che si umiliano, scendono dalla torre del loro orgoglio e della loro malefica potestĂ per convertirsi e inginocchiarsi a Dio. Manzoni era patriota perchĂŠ cristiano; il diritto delle nazioni per lui è sacrosanto perchĂŠ proviene da Dio. Secondo Prezzolini, Manzoni fu âpatriota perchĂŠ cristianoâ; vide il Risorgimento come la purificazione evangelica (e liberal-nazionale) della Rivoluzione francese.
Al contrario di Gramsci, Gentile ritenne Manzoni âil grande liberatore del popolo italiano dal secolare servaggio della letteratura, dellâarte pura, dellâindifferentismo e del dilettantismo, della rettorica e del classicismo vuoto e formaleâ. Manzoni vede la letteratura, come riscatto popolare e nazionale, non come tradimento del popolo e sottomissione al potere clericale e civile come era per Gramsci. Manzoni è per Gentile maestro di vita religiosa e morale, nazionale e patriottica. Dalla fede nasce il coraggio; la fede era perciò necessaria per liberare la patria. La religione non è piĂš il marxiano oppio dei popoli ma accende lâardore che si riversa poi sul piano civile e nazionale. Secondo Gentile gli stessi apostoli del Risorgimento, Gioberti e Mazzini, oltre che Rosmini, fin dal principio guardarono a Manzoni come alla âpiĂš alta e degna guida spirituale degli italianiâ. Almeno a partire da quel 1821 in cui cantò lâItalia âUna dâarme, di lingua, dâaltare/ Di memorie, di sangue e di corâ. LâidentitĂ italiana affidata oltre che allâimpresa militare (una dâarme), anche alla lingua e alla religione (di lingua, dâaltare). Un amor patrio limpido e coerente, che passa dalla storia e dalla lingua, dallâidentitĂ nazionale al sostegno convinto allo Stato unitario, con Roma capitale.
MV, Il Borghese (febbraio 2022)