La Storia d’amore della domenica.
Il 30 Gennaio 1889 il dorato mondo dell’aristocrazia europea fu scosso da una gelida folata di vento: una ferale notizia che la Storia eternerà come la “tragedia di Mayerling”.
I protagonisti di questa vicenda appartenevano alla nobiltà austro-ungarica; anzi lui era nientemeno che l’erede al trono imperiale, l’inquieto Rodolfo d’Asburgo-Lorena, unico figlio maschio dell’Imperatore Francesco Giuseppe e della irrequieta Elisabetta di Baviera, meglio conosciuta come Sissi.
A 30 anni l’Arciduca era bello come Amleto e ancor più malinconico. Sulla scrivania aveva sempre in bella mostra una pistola ed un teschio, ossessivo “memento mori”.
Più che dalla stirpe degli Asburgo aveva mutuato il suo temperamento, predisposto agli eccessi e alle intemperanze, da quella dei Wittelsbach, cui appartenevano sua madre Sissi e il suo prozio Ludwig II di Baviera.
Sposato alla principessa Stefania di Sassonia-Coburgo, era un debole, anzi, un dissoluto, con una pericolosa propensione all’alcol e alla morfina.
La droga gli serviva anche per placare gli atroci dolori alla testa che seguivano le crisi epilettiche da cui era affetto come molti esponenti degli Asburgo.
Ma soprattutto Rodolfo era infelice.
Indicibilmente infelice.
La lei di questa vicenda è Maria Vetsera, figlia diciassettenne di un Barone ungherese e di Elena Baltazzi appartenente ad una ricchissima famiglia greca di banchieri. I genitori l’hanno già promessa sposa al Principe di Braganza, che lei non ama.
È appassionata, Maria, romantica e sensuale: labbra carnose, corpo morbido, scuri capelli fino alla vita, occhi di un blu intenso.
In un corrucciato giorno dell’Autunno 1888, mentre passeggia per il Prater di Vienna si imbatte in Rodolfo che cavalca, solitario e bellissimo.
Il 5 novembre, dopo solo un mese da quel primo occasionale incontro, Maria Vetsera e Rodolfo d’Asburgo diventano amanti e lei annota: «Non appartengo più a me stessa, ma soltanto a lui».
Mano a mano quella che apparentemente è solo una passione clandestina fra un erede al trono annoiato ed una ragazza temeraria, si trasforma in un amore impossibile, furente, disperato.
Lei gli fa dono di un portasigarette d’oro con incise le parole “13 Gennaio Grazie al destino”; lui ricambia con un medaglione che racchiude un pezzetto di lino intriso del proprio sangue (un suggello amoroso che lei indosserà fino alla morte) ed un anello con su incise le lettere I.L.V.B.I.D.T. , ovvero “Liebe vereint bis in den Tod (Uniti nell’amore fino alla morte)”.
Rodolfo, sempre più innamorato, vuole ripudiare la moglie che, dopo la nascita della figlioletta Elisabetta, è diventata sterile e non può garantirgli l’erede maschio e si appella a Papa Leone XIII per l’annullamento, ma il Santo Padre, informato del vero motivo, rivela all’Imperatore Francesco Giuseppe suo padre la tresca.
Infuriato, questi convoca il figlio e in un drammatico colloquio, gli intima di lasciare immediatamente l’amante.
Rodolfo, risoluto e terreo in volto, replica: «Se non posso sposare Maria, mi uccido».
E l’Imperatore, gelido: «Ebbene ucciditi. Vuol dire che non varrai nemmeno la pallottola di cui ti sarai servito».
La madre della fanciulla viene a sapere di quella passione colpevole e clandestina e ne segue una lite furibonda e quando la sera del 27 Gennaio 1889 al gran ballo all’Ambasciata tedesca, Maria non si inchina davanti alla Principessa Stefania, moglie di Rodolfo, ma anzi le pianta gli occhi negli occhi, in un oltraggioso segno di sfida, sua madre la trascina via furente e la picchia nella carrozza.
Ma Maria è ormai votata a lui, a lui soltanto, e per nulla al mondo lo lascerà.
Il 29 Gennaio la madre di Maria trova un biglietto della figlia. Le parole non lasciano dubbi: “Non posso vivere. Oggi ho l’iniziativa. Prima che tu m’abbia raggiunta, sarò in fondo al Danubio. Perdonami, non ho saputo resistere all’amore. Sarò più felice nella morte che nella vita. Voglio essere sepolta al suo fianco al cimitero di Alland. Mary”.
La moglie di Rodolfo riceve, a sua volta, una lettera; poche righe, ma inequivocabili: «Cara Stefania, sei liberata dalla mia presenza, che è una vera piaga per te. Sii felice a modo tuo».
I due amanti, nel frattempo, hanno raggiunto il padiglione di caccia di Palazzo di Mayerling, un piccolo borgo non lontano da Vienna.
È il 30 Gennaio 1889. Quella notte Maria e Rodolfo, consci che la loro è una storia d’amore senza futuro, fanno l’amore con passione, piangono, si avvinghiano l’un l’altra disperati.
Poi lui, ubriaco di cognac e di angoscia, le punta la pistola e spara. Un solo colpo. Mortale.
Piangendo, l’adagia nuda sul letto e le congiunge le mani come in un’ultima preghiera.
Poi, la mano tremante, gli occhi fissi su di lei, si spara alla tempia.
Fuori la neve cade calma e copiosa e farà del bosco circostante un luogo di incanto e di morte.
Lo scandalo di questo omicidio-suicidio viene liquidato, per ordine dell’Imperatore Francesco Giuseppe, con uno scarno comunicato: «Paralisi cardiaca per lui, suicidio per lei. Nessun legame fra loro.» Nessun legame…
Rodolfo sarà sepolto nella Cripta dei Cappuccini, come tutti gli Asburgo.
La povera Maria Vetsera, rivestita e trascinata sulla carrozza con un bastone fra il vestito e la schiena per farla stare dritta, verrà sepolta in tutta fretta, di notte, nel cimitero dell’Abbazia di Heiligenkreuz, senza neppure un prete a benedirla.
Solo dopo alcuni giorni la madre, schiantata più dallo scandalo che dal dolore, comunicherà ad amici e parenti che la figlia è morta durante un viaggio a Venezia e solo in seguito farà apporre una lapide con su scritto: «Maria, Baronessa Vetsera, nata il 19 Marzo 1871, morta il 30 Gennaio 1889, come un fiore sorge l’uomo, e viene reciso». (Buona domenica, poi torno…).
Maria Pia Selvaggio