I MERIDIONALI I PEGGIORI NEMICI DEI MERIDIONALI
L’unità d’italia è stata il doloroso corollario di oppressione e di miseria che ha costretto in mezzo secolo all’emigrazione un quarto della popolazione totale delle Due Sicilie.
In quella sporca guerra gran parte dei peggiori nemici dei Meridionali era però composta da loro compatrioti: Liborio Romano (che aveva promosso i camorristi alla funzione di poliziotti) era napoletano, il generale Ferdinando Pinelli (massacratore di contadini inermi e decorato di medaglia d’oro dai Savoia per questa sua attività di macellaio) era romano, Giuseppe Pica (l’inventore della famigerata “legge ammazzabriganti” che aveva legalizzato lo sterminio, che autorizzava la formazione di “polizie private“, gli “squadriglieri” organizzati dalle peggiori consorterie mafiose) era dell’Aquila, i peggiori aguzzini della loro gente erano i volontari locali, come “cavalleria nazionale” del pugliese Davide Mennuni, o la Guardia Nazionale, nella quale brillavano fior di delinquenti come il capitano avellinese Michele Tagle che addirittura estorceva soldi alle sue vittime.
Ma gli stessi ideologi dell’unità e del centralismo oppressivo con cui è stata realizzata erano in larga parte meridionali. Dietro la facciata dei più noti “padri della patria” settentrionali (in realtà una banda di babbei scriteriati che non sapevano bene quello che facevano, o che erano spinti da ambizioni indecenti o da deviazioni patologiche) si muoveva una pletora di furbi intellettuali provenienti dall’Italia propriamente detta. Come ha sottolineato Denis Mack Smith, lo svolgersi dei fatti storici era stato fortemente influenzato dall’azione degli esuli napoletani “piemontesizzati” e ormai estranei al paese, che “alimentarono la rappresentazione negativa del Sud con le loro continue denigrazioni durante il soggiorno a Torino“.
Si sarebbe addirittura più avanti arrivati al più bieco razzismo di un siciliano purosangue come Alfredo Niceforo che teorizzava la inferiorità biologica dei Meridionali. L’aspetto più paradossale in questa fosca pagina di storia è proprio che i teorizzatori hegeliani dello Stato etico, che ha generato l’invasione del Sud, non erano piemontesi, bensì meridionali:
-Francesco de Sanctis (18° grado del Rito Scozzese, reinventore della letteratura italiana) era avellinese, -Bertrando Spaventa (il reinventore della storia della filosofia italiana che nel 1851 tuonava al Parlamento di Torino “contro la libertà di insegnamento e per una totale e assoluta statalizzazione dell’educazione“) era di Chieti, -Pasquale Stanislao Mancini (vera mente giuridica dello Stato liberale piemontese, il cui pensiero in tema di libertà individuale era il seguente: “… il pluralismo scolastico è un diritto di libertà del singolo, ma in Italia noi lo osteggiamo perché applicarlo significherebbe consegnare la scuola nelle mani dei cattolici“) era avellinese, -Silvio Spaventa (giurista, massacratore di Meridionali) era chietino, -Ruggero Bonghi (primo direttore de La Stampa) di Lucera, -i fratelli Angelo e Camillo De Meis di Chieti.
Il gruppo dei cosiddetti “settari napoletani” che nel Parlamento aveva propugnato il peggior centralismo era formato (oltre che da alcuni dei personaggi già citati) dal campano De Falco, dal calabrese San Donato, dal napoletano De Martino, dal campano Nisco, dal calabrese Giovanni Nicotera, dal messinese Mariano D’Ayala e dal napoletano Antonio Scialoja.
Non serve poi ricordare che il progetto oppressivo nazionale sia stato definito nei suoi più tristi dettagli dall’agrigentino Francesco Crispi, garibaldino, massone e macellaio. Il peggiore centralismo ha poi sempre trovato nei burocrati meridionali (che si sono con fulminea rapidità impossessati della macchina dello stato unitario) e nei politici meridionali i suoi più fedeli paladini: gli stessi che anche oggi sembrano essere i meno sensibili a ogni riforma.
Qualche meridionalista ha cercato nell’originaria aggressione piemontese l’alibi per tutti i successivi decenni di sfruttamento delle risorse settentrionali.
E’ molto più costruttivo sul piano politico e apprezzabile su quello morale l’atteggiamento dei Legittimisti meridionali che vogliono rimediare a una follia storica che ha fatto del male a tutti.
Non serve cercare chi ha costruito il carcere, ma chi ci tiene dentro. Non serve neanche cercare labile sollievo trasformandosi in carcerieri e infierendo sugli altri detenuti.
La catastrofe risorgimentale ha imprigionato tutti: per abbattere le mura del carcere serve la spinta di tutti. Poi ognuno se ne torna libero a casa propria.
di Gilberto Oneto
Pasquale Peluso