STORIA, STORIOGRAFIA E ACCADEMIA REOCONFESSA
Il fenomeno della nascita di collane mirate, create da case editrici (dai ricorrenti interessi commerciali con il mondo accademico come referenti dei comitati scientifici universitari per le pubblicazioni di tesi e lavori che fanno acquisire titoli professionali), con il dichiarato intento di “decostruire e confutare interpretazioni e narrazioni prive di credibilità scientifica che fanno ormai parte dell’immaginario pubblico e storiografico”, si è rivelato implicita ammissione di ritardi e limiti del mondo accademico negli ultimi 30 anni. Nella ripetitività dei loro titoli e delle tesi sostenute, queste collane editoriali sono diventate una aperta confessione di quanto la ricerca universitaria, per pigrizia o per carenza di attenzione a filoni originali di lavoro cui dedicarsi, miri a confutare tesi di altri più che a individuare spunti nuovi e approfondimenti storiografici mai sviluppati prima. Almeno in libri strutturati, che sono cosa diversa dai singoli articoli su riviste scientifiche specializzate.
Siamo di fronte a una vera e propria reoconfessione dei ritardi accademici, che spinge a chiedersi: cosa facevano in questi anni gli autori delle “confutazioni”? Perchè hanno avuto bisogno del consolidamento di nuove interpretazioni storiografiche che ritengono prive di scientificità per attivarsi? A cosa serviva, prima di queste “confutazioni”, la ricerca accademica? Insomma, queste pubblicazioni denunciano limiti e ritardi del lavoro accademico, facendo sospettare che nascano strizzando l’occhio al mercato commerciale editoriale in cui da anni, sulla Resistenza come sul Risorgimento, molte “interpretazioni e narrazioni” ora rintuzzate sono diventate parte dell’immaginario pubblico e storiografico. L’accademia, insomma, sembra voler recuperare credibilità e punti, utilizzando le armi delle narrazioni che contesta: la pubblicistica divulgativa inserita in collane dedicate.
A volte, tutto questo avviene, con ripetitività e sfiorando il ridicolo editoriale, attraverso libri che utilizzano lo specchietto per le allodole di parole chiave diventate fin troppo manifeste per attirare lettori e curiosità. Parole diventate quasi magiche, feticci, per i curatori di queste pubblicazioni: Borbone, Due Sicilie, neoborbonici. Sicuramente, queste collane e queste pubblicazioni, proprio per la loro ripetitività ossessiva, sono diventate un fenomeno culturale da studiare nella realtà editoriale e accademica italiana.
Potrebbe essere, questo, un suggerimento per tesi di laurea non convenzionali e anticonformiste, che ne approfondiscano le motivazioni, che non sono unicamente scientifiche, ma legate anche a ragioni commerciali e corporative. Chissà se esiste qualche docente così autonomo e estraneo alle logiche auto referenziali, in grado di assegnarle ai propri studenti. Sono convinto di sì.
Gigi Di Fiore
ECCIDIO DI PONTELANDOLFO – I FATTI: COSì IL PROFESSORE CARMINE PINTO TAGLIA CORTO CON LE RICOSTRUZIONI DEGLI “ASSEGNISTI DI RICERCA STORICA”
1) Nell’area di Pontelandolfo il massacro a sangue freddo di un reparto del 36° fanteria provocò la DURA REAZIONE ITALIANA (pagina 117)…
2) Due reparti di bersaglieri e volontari, SU ORDINE ESPRESSO DI CIALDINI, fecero una RAPPRESAGLIA a Pontelandolfo e Casalduni, ma i briganti riuscirono a sganciarsi. I paesi furono comunque presi. A Pontelandolfo i DATI DISPONIBILI parlano di meno di una quindicina di vittime tra I CIVILI (NON SI ESCLUDONO PERO’ ALTRI MORTI NON REGISTRATI) e DELL’INCENDIO DI PARTE DEL PAESE, POI DOMATO, CON LA MEDIAZIONE DI QUALCJE NOTABILE DEL POSTO.
(Carmine Pinto – ordinario di storia all’Unisa e direttore dell’Istituto per la storia del Risorgimento – , “La guerra per il Mezzogiorno”, 2019)
I punti che volevo evidenziare nel mio post sono che nel libro:
1) si ammette che a Pontelandolfo ci fu una RAPPRESAGLIA militare
2) che a ordinarla fu CIALDINI
3) che il numero dei morti accertati dipende da DATI DISPONIBILI e non da fonti definitive 4) non sono da escludere ALTRI MORTI NON REGISTRATI.
Mi sono sembrate affermazioni importanti, inserite nel libro del direttore dell’istituto di storia del Risorgimento.
Gigi Di Fiore