Borges et alii

Borges et alii

Autore: Giovanni Sessa

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Sandro Giovannini è intellettuale raffinato. Le molteplici iniziative intellettuali che lo hanno visto protagonista hanno sempre mirato a stimolare il dibattito nella variegata ed eterogenea galassia della cultura non conforme. La sua ultima fatica letteraria conferma, ancora una volta, le sue intenzioni. Ci riferiamo a Borges et alii. Una diversa avventura dell’elitismo, nelle librerie per Heliopolis Edizioni/Asino Rosso formato Kindle (il volume è acquistabile sulle piattaforme mondadoristore, amazon, la feltrinelli e kobo, pp. 259, euro 3,99). Opera lungamente meditata, pensata, la cui stesura è stata interrotta e ripresa più volte. Segno tangibile della rilevanza che essa riveste nell’iter dell’autore pesarese, già coordinatore di Letteratura e Tradizione e del Centro Studi Heliopolis. Tali riferimenti non sono casuali: il cuore vitale di questo volume è da individuarsi nell’esegesi della produzione di Borges. Lo scrittore argentino fu ospite, nel 1972, del Centro Studi Heliopolis e vi tenne  una  indimenticata conferenza. Borges, chiosa Giovannini: «era perfettamente consapevole sia della nostra totale alterità al sistema dominante, sia del prezzo che ulteriormente avrebbe dovuto, per questo, sopportare». In quel frangente storico, connotato dal divampare della seconda fase della guerra civile in Italia e da irriducibili divisioni politiche, l’esegesi borgesiana viveva due derive, centrate, rispettivamente, sulla rimozione dei dati civili e caratteriali dell’autore e sul volerlo ridurre alla pratica dell’arte per l’arte.

L’autore rileva il tratto privato dell’incontro che Borges intrattenne con la verità, compreso, allora, dal solo Quirino Principe. Tale carattere è una risposta all’incipit della post-modernità e, al contempo, è espressione chiara dell’elitismo dell’argentino. Questi, in gioventù, aveva preso le mosse dall’universalismo liberale, ma successivamente era giunto ad: «un altero cinismo nazional-reazionario […] ed infine di benevolo neutralismo conservatore». Distante anni luce dal becero dibattito politico: «nelle interviste meno formali […] Borges prorompe(va) in stranianti invettive». Eppure, sulle pagine della rivista Nosotros, nel medesimo lasso temporale, coglieva nella metafora, lo strumento del rinnovamento del fare poetico e della letteratura. La scoperta lo indusse ad immergersi nell’:«inesausta miniera etimologica» che, non poco, contribuì a spingerlo verso la poesia totale. In tale percorso, un ruolo decisivo giocò l’intrattenersi del poeta sul concetto di infinito che, a suo dire, era atto a condizionare: «tutti gli altri concetti della mente umana», condividendo, in tema, la posizione di Noica. Altrettanto rilevante fu l’incontro con il mondo ideale di Schopenhauer, che lo aprì all’Oriente. Da queste fonti, Borges mosse alla ricerca del rapporto inesausto finito-infinito, sostenuto da un incontenibile afflato alla felicità, che illuminò la sua vita.
Una vita, si badi, aperta all’ascolto, all’interrogazione che, presto, assunse le forme della visione per la fascinazione, costantemente subita, di un’idea epica della poesia, suggeritagli dai versi norrenici e da Dante. Quella di Borges è poesia nata con la spada. Tale idea lo rese capace di praticare la libertà anche nei confronti del proprio stile, sia pure: «senza mai rinnegarsi». Grazie all’amore per la saga, giunse al culto della parola, ma anche a quello dell’azione etica. La cosa più rilevante, ci dice Giovannini, è che Borges ricorre, nel suo dire, a corto circuiti che ricordano il koan dello Zen, rinvianti alla vacuità destinale della vita. In tale modalità, egli visse la seduzione metaforica del sogno, realizzando nel gioco-ascolto dell’oniricità l’irriverenza sacrale, ubi consistam di ogni elitismo, inteso quale sentimento radicalmente alieno dal senso comune. L’attenzione per il sogno ci conduce alle porte del mistero vitale, dell’enigma irrisolvibile cui hanno, da sempre, guardato gli autentici filosofi, scorgendovi la dimensione abissale. Per tale ragione, l’argentino ha sfiorato, nella sua vastissima produzione, gli universi espressivi del fantastico, senza acquietarsi in nessuno di essi. Il suo giocare con le parole è puramente gratuito, espressione dell’assoluta libertà dell’Io, almeno nel sogno, come seppero, con lui, Victoria Ocampo, Caillois, Drieu, Keyserling. Autori che, pur nelle differenze, appartengono alla medesima costellazione di Borges e, per questo, vengono ad essere i suoi alii. Tutti loro mettono in atto, da appartati, la confutazione del tempo lineare, ponendosi in sequela di Bergson. E’ ciò che sta alle spalle di questa confutazione che: «rivela i mirabilia» cui aneliamo. L’autore, con Evola, ricorda che, in tutti loro, la ricerca letteraria dette luogo ad una: «culminazione feconda e luminosa» del vero.

Nella seconda parte del volume, Giovannini si intrattiene sullo sviluppo dei loro percorsi, ponendoli in relazione all’iter borgesiano, con il quale, peraltro, sembrerebbero non avere nulla a che fare. Questi intellettuali, partiti dal medesimo plesso ideale, finirono per percorrere vie diverse. Al centro di tale costellazione spirituale campeggia Victoria Ocampo, che creò il Cenacolo di San Isidro, fondò la rivista Sur, e visse liberamente, concedendosi giovani amanti, per aderire infine, con fervore di donna, al femminismo. Intrattenne, inoltre, rapporti vitali con un’ampia cerchia di intellettuali latino-americani ed europei. Fu icona della cultura liberale e radical-chic del Sud America. Nonostante ciò, di lei Borges disse: «ebbe la qualità di essere un individuo», cosa non da poco, nell’epoca delle masse. Nel 1916 Ortega y Gasset la raggiunse a Buenos Aires, la donna ne rimase stregata. Il filosofo la introdusse alla letteratura spagnola. Trovarono il loro punto d’incontro discutendo del ruolo essenziale che il femminile gioca nell’elevare il maschile. Entrambi avevano contezza del legame che tiene assieme fantasia e innamoramento, anche alla luce degli studi danteschi assai vivaci in Argentina. Tale approccio, anche nel periodo femminista, permetterà alla scrittrice di volare alto, senza indulgere agli incasellamenti ideologici. Il loro, fu un elitismo diverso da quello borgesiano. Il liberalismo di Ortega, nota Giovannini: «è un concentrato di sentimento, ragione, continenza […] che […] vuole mantenere al singolo […] il suo onore storico ineguagliato». Un liberalismo critico, affratellato a quello praticato in Europa da Huizinga e dagli intellettuali riuniti nella casa editrice Insel. Ocampo e Ortega, affrontando la tematica dell’Eros in Dante, incontrarono il mistico e il sublime, un impersonale avente a che fare, come in Borges: «con il vuoto pieno di tutto».

La Ocampo strinse un’amicizia spirituale intensa anche con il poeta indiano Tagore, del quale apprezzò, in particolare, la raccolta Gitanjali. Tagore fu suo ospite nel 1924 a Mar del Plata, dove ebbe modo di scrivere e dipingere. Poco prima della morte dedicò a Victoria la raccolta Purabi. Altro astro di questa costellazione fu Keyserling. Estone, aveva spostato una nipote di Bismarck. A Darmstadt fondò la Società per la libera filosofia. Victoria, dopo aver letto un suo articolo, lo incontrò a Parigi, invitandolo a raggiungerla in Argentina. Vera amicizia stellare fu quella con Drieu. Lo stile del francese, come quello di Victoria, fu una finzione confessionale: «il diario diviene l’autentico compagno della vita ultima». Il rapporto con il francese marca la prossimità ma anche la distanza tra due diversi elitismi. Il primo era infatti convinto che: «la linfa del mondo può (potesse) passare solo per le nostre radici patronimiche», per la Tradizione, cosa del tutto aliena dal liberalismo cosmopolita della Ocampo. Eppure, sul muro che divideva i due elitismi che la coppia incarnava: «potevano restare i graffi dei tanti tentativi di scavalcarlo».

Dal 1939 al 1945, soggiornò in Argentina, a stretto contatto con la Ocampo, Roger Caillois. Questi espresse il tentativo di superare le divisioni che dividevano l’elitismo liberale da quello tradizionale. All’inizio, pienamente a proprio agio nel gruppo del Grand Jeu surrealista, fondò il Collège de Sociologie, dove tentò di sviluppare, sotto il segno del sur-fascismo, una sociologia sacra, afferente ma distinta da quella del tradizionalismo integrale. Benjamin liquidò tale tentativo con queste parole: «Voi lavorate per il fascismo». Durante un viaggio in Patagonia, nel mondo senza gente, Caillois comprese la: «fragile velatura umanistica del razionale». La disimmetria che governa il mondo, non diversamente dall’entropia, può essere ribaltata solo dal mito: la sua narrazione può dar luogo ad una dissimmetria creativa. Tale pensiero originario segnato dalla potestas di Dioniso, è esposto sull’immemoriale e, nota Giovannini, è prossimo all’idea di origine quale evenire sempre possibile, propria del pensiero di Tradizione.

La terza parte del volume, presenta una silloge di testi di questi autori, commentati, con perizia argomentativa, persuasività di accenti e accortezza filologica da Giovannini. Di estrema rilevanza risultano l’attraversamento della biblioteca della Ocampo, letta quale autobiografia spirituale dell’autrice, la discussione della visita che la scrittrice realizzò in Italia nel 1934 e dell’incontro con Mussolini, eventi segnati dalla scelta anticomunista della Victoria di allora, nonché la spiegazione della definitiva svolta antifascista della stessa, a muovere dal 1943. Interessante, inoltre, l’analisi della lettura evoliana del pensiero di Keyserling. Borges ed alii non è, quindi, semplicemente un libro di ricerca erudita. Le sue problematiche immettono nella deriva del presente, rispetto alla quale, solo la via elitista può rappresentare risposta superante. Si tratta di costruirla oltre ogni scolastica e steccato ideologico…

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