La presentazione del libro “Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce” di Giancristiano Desiderio che si terrà a Benevento giovedi 21 , ci ha dato lo spunto per effettuare qualche ricerca ed approfondire la figura di uno dei massimi pensatori della storia del Novecento. Storico, politico, filosofo, critico letterario e scrittore , Croce influenzò moltissimo la cultura italiana ,innanzitutto attraverso il pensiero filosofico che si basava sul liberalismo sociale e sulla storiografia , ma soprattutto il suo pensiero politico interpretato come guida morale dell’antifascismo . E’ difficile tentare di fare una sintesi della vita di Croce e delle sue opere,senza scadere , quasi involontariamente, nella lunga retorica tipica dei testi scolastici. E così,nella continua ricerca,abbiamo trovato un testo di Giuseppe Prezzolini che ci ha colpito molto e abbiamo deciso quindi di condividerlo con voi lettori. Croce, nel testo che segue ci viene presentato e descritto più che filosofo,come un Poeta della filosofia.
Buona lettura
RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “Giuseppe Prezzolini-“Benedetto Croce; con bibliografia, ritratto e autografo” – NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE 1909
[…omissis…]
pag. 89-93
IL POETA DELLA FILOSOFIA,
Poeta, certo. Come chiamarlo altrimenti? Forse perchè non si è espresso in versi ? Ma noi sappiamo che la poesia non sta nella rima e nelL’accento, ma nel mondo di chi parla. Ed è un mondo
speciale, quello di Croce, ben raro nella letteratura italiana, che di pensiero s’è poco nutrita e non ha conosciuto crisi speculative e lotte religiose. Il mondo del Croce non è però quello del pensiero in crisi o della religione in lotta, bensì quella del pensiero trionfante. V’è anche tutta la vita della filosofia, il fato che sospinge chi s’è posto un problema e non
può trovarne la soluzione ; il dovere , massimo fra tutti, di conoscere il vero; il rammarico, grave alla coscienza di un pensatore onesto, del fallo leggero ma mordente, di un errore per pigrizia o per furia o per leggerezza; il dubbio, che tiene sospesi, e il conforto di sapersi, presto o tardi, in possesso della verità ; e il dramma dei contrasti. Ma v’è, sopratutto
l’ebbrezza filosofica, il tumulto bacchico della più alta speculazione, lo stato dionisiaco che spaventa i filosofi timidi, i quali, quando filosofano davvero, son poi costretti, anch’essi, a trovarsi in quello stato.
Non è un poeta della filosofia? Canta, anche lui, e con accento nuovo. Non è letteratura, in lui, l’accento sublime che prende talora il pensiero ; né monta sui trampoli, come un ciarlatano, per parlare come se in lui fosse l’Umanità intera: l’altezza del tono è naturale. Maiora canamus. Si sente che non è mestiere, quello del filosofo, ma necessità e che non si può tornare indietro, quando ci si è messi per questa via. V’è qualcosa che spinge, che non è il nostro individuo. E il filosofo lo sa, che sente parlare in sé, e dice « noi » non per orgoglio, ma per modestia, come per togliere ogni pericolo di attribuzione empirica e soggettiva. « Noi » è lo spirito che parla per bocca dei filosofi, dei suoi eletti. Pauci sunt vocati. Perciò, il filosofo non è dissimile da un poeta, e appare spesso un maniaco. Deus est in nobis.
Si sente nel Croce la filosofia come vocazione. Ed ogni vocazione fa poetico il suo oggetto, come ogni mestiere lo rende prosaico. Perchè il Croce scrive bene, e i professori di filosofia, di solito, scrivono male ? Perchè il Croce è l’unico filosofo italiano che sia passato, dalle schiere dei competenti, nella intimità di tante altre categorie, letterati, liberi studiosi
e, persino, giornalisti e preti ? Perchè si sentiva in lui quella spontaneità veramente poetica, che nessun altro aveva.
L’ebbrezza filosofica è la formula che rende meglio il grado della sua vivacità di stile, anche nei soggetti che parrebbero più scolastici, come nella Logica. Ma il capolavoro, in questo genere, è il libro su Hegel, così vivo, spigliato, corrente, caldo, senza mai una fermata per prendere fiato o un momento di stanchezza. Si capisce che quelle cose gli bollivano nel cervello e che ha preso la penna in mano in un momento opportuno. Sono sfuriate di gioia e gioiose sfuriate ; impeti di contentezza e trilli di scherno ; ascensioni e voli. Questa pron-
tezza d’intelletto non è improvvisazione (a me, dice il Croce, il dono d’improvvisazione è negato), ma il resultato di un lungo lavoro anteriore, continuato e serrato, durante il quale s’è veduto tutto quello che gli avversari han detto e potevano dire. Il pensiero deve scorrere pieno, senza lacune; se no, fa come quei getti di fontana, che d’un tratto s’ interrompono meschinamente per causa d’una bolla d’aria. Non è l’improvvisazione, che forma il merito del Croce; ma la coerenza e la pienezza del pensiero, accompagnata da un grande calore e da una forte convinzione, che si permette, qua e la, qualche risatina e qualche puntura.
Un aspetto inferiore, ma artisticamente notevole, è la non infrequente interruzione, sopratutto nelle polemiche e nelle recensioni, di qualche scherzoso aneddoto o versetto napoletano, alcune volte, dicono i critici maligni, addirittura pulcinellesco. Per chi vorrebbe la filosofia togata e noiosa, o fatta di articolazioni meccaniche, con un periodo legato all’altro da catene, e il tutto tirato avanti di mala voglia, come un treno merci, la cosa parrà sconveniente. Tale non la giudico io, perchè non c’è artificialità, non c’è il lazzo fatto per distrarre l’ uditore, non c’è lo scherzo messo al posto dell’ argomento.
È proprio lo spettacolo dell’ avversario confuso e vinto, messo in qualche posizione impossibile, che suggerisce al Croce quegli accenni e quei ricordi: i quali stanno lì poeticamente, perchè dicono l’emozione e la partecipazione che lo scrittore prende, personalmente, al suo pensiero, che è impersonale.
Anche qui, ciò che rende meglio questo stato d’animo del poeta filosofo è l’ebrezza vittoriosa del pensiero. Scherza, perchè è superiore. E ciò che ricorda di più in quei punti, non è nulla di indegno e di indecoroso. Ricorda il capolavoro stilistico di Spaventa, la Lettera sul Paolottismo ; ricorda certe pagine di Carlo Marx, sopratutto quelle in cui questo scherza con i rugiadosi amanti della morale. Ricorda, dunque, forme molto spontanee e vivaci di letteratura filosofica, che sono, anche esse, in odio ai mestieranti, ai retori, ai merciaioli ambulanti di filosofia.
Nessuna prosa, meglio di quella del Croce, riesce a dare l’intima prova che la filosofia non è lavoro d’astrazione irreale e di solitudine etica. Essa è tutta in contatto con l’uomo che la scrive e con gli uomini. Essa è del suo tempo, e i problemi, che si propone, son quelli a lei coevi. Sia pure compiuto in una solitudine empirica, al tavolino, ogni lavoro razionale è fatto in piena comunione con l’uomo.
E soltanto chi s’affatica per fini contradittorii, e alberga in sé duplice o triplice anima, e vuole e disvuole l’impossibile, e foggia sè e gli uomini a suo arbitrio e immaginazione, prova la solitudine dei romantici: vinto, ancor prima di dare battaglia. Nel Croce, non c’è, invece questa solitudine e questo sconforto.
Ciò che gli uomini fanno, non è vano ; né la filosofia è negazione del mondo, quanto, piuttosto, affermazione più solida. Se la religione, come vogliono alcuni, è data da un senso di fiducia e di sicurezza, di confidenza e di coraggio, nessuno scrittore è anche più religioso del Croce, la cui filosofia e la cui critica è tutta intessuta d’una profonda concordia con i motivi fondamentali della vita umana.