IL CALCIO DEI MAYA (o la vera natura dello sport)
La Mesoamerica aveva sin dall’antichità il suo proprio gioco di squadra. I Maya lo chiamavano «pitz», gli Aztechi «ollamaliztli», e si giocava con la palla in campi dotati di tribune, di fronte a spettatori entusiasti. I giocatori migliori diventavano famosi e ricchi, erano idoli dei più giovani e avevano fidanzate bellissime.
Ma a questo punto sembra che le somiglianze con il nostro calcio finiscano; non solo perché il gioco mesoamericano era in realtà più simile al pallavolo, ma per una ragione molto più seria: lungi dall’essere un semplice spettacolo, esso consisteva in un rituale religioso che veniva attuato per la risoluzione di conflitti e scontri sanguinosi fra regni e fazioni opposti. Sovrani e capi nemici si mettevano d’accordo affinché gare fra i loro giocatori più forti, di regola nobili guerrieri, risolvessero guerre inconcludenti o evitassero spargimenti di sangue. Una raffigurazione rituale di guerra rivolta a mitigare gli effetti della guerra vera, con una palla pesante circa 2.5 kg fatta di lattice densa. Non bisogna dunque meravigliarsi del fatto che non di rado il gioco risultasse fatale per i vinti. Molte volte un giocatore moriva al posto dopo un colpo duro oppure subiva lesioni permanenti.
Anche il nostro sport ha in effetti una discendenza simile a quella dell’antico gioco di palla mesoamericano. Lo sport organizzato e istituzionalizzato inventato dai Greci aveva anch’esso connotazioni religiose, consistendo in un rituale in onore degli dei, tramite cui l’antagonismo e il conflitto si manifestavano in maniera non sanguinosa. La differenza tra i giochi atletici e il teatro era ed è netta e radicale: il teatro, ancora un rituale religioso per i Greci, è un trasmettitore di sentimenti rivolti a far percepire più profondamente l’essenza tragica e comica della realtà e della vita; lo sport è al contrario una raffigurazione di guerra, uno scontro fra volontà, corpi e menti contrapposti, che cercano di sopprafarci a vicenda, ma senza finire in un bagno di sangue.
Mi sono incuriosito del gioco di palla mesoamericano fra il 2018 e il 2019, quando l’ho visto menzionare nel libro “The Lost City of the Monkey God” dello scittore Americano Douglas Preston, mentre lo traducevo dall’inglese per l’edizione greca. Un libro sulle scoperte archeologiche effettuate pochi anni fa nella giungla di Honduras. Intanto già nel 2014 avevo scritto un articolo relativo alla tesi di questo post, pubblicato su un sito sportivo italiano all’inizio del mondiale del Brasile, e successivamente pubblicato anche in greco nel 2016. Oggi ripropongo quell’articolo, convalidato anche dall’esperienza storica mesoamericana, sul blog del mio sito.
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