𝗕𝗮𝘁𝘁𝗶𝗮𝘁𝗼, 𝘂𝗻 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗹𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗹𝗮 𝗺𝗶𝘀𝘁𝗶𝗰𝗮
Il miracolo di Franco Battiato è stato quello di far nascere dall’incontro tra la musica e la spiritualità una creatura unica, ibrida e ironica: la mistica leggera. Da una parte la musica leggera, il pop, il rock, le canzoni d’amore; dall’altra l’attrazione per il sacro, per il lontano, per l’invisibile. E nel mezzo una struggente nostalgia dell’amor perduto e del cielo invocato, la nostalgia del divino e dell’eterno. Battiato è forse l’unico cantante ad aver percorso questa strada, sfidando il disincanto cinico del nostro tempo arido e le caricature più dissacranti e più blasfeme che lo trattavano come un invasato. Ma sentirsi trattato da pazzo dagli abitanti di un manicomio globale, depone a favore della sua lucidità…
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Battiato, un ponte tra la musica e la mistica
franco battiato
Il miracolo di Franco Battiato è stato quello di far nascere dall’incontro tra la musica e la spiritualità una creatura unica, ibrida e ironica: la mistica leggera. Da una parte la musica leggera, il pop, il rock, le canzoni d’amore; dall’altra l’attrazione per il sacro, per il lontano, per l’invisibile. E nel mezzo una struggente nostalgia dell’amor perduto e del cielo invocato, la nostalgia del divino e dell’eterno. Battiato è forse l’unico cantante ad aver percorso questa strada, sfidando il disincanto cinico del nostro tempo arido e le caricature più dissacranti e più blasfeme che lo trattavano come un invasato. Ma sentirsi trattato da pazzo dagli abitanti di un manicomio globale, depone a favore della sua lucidità…
Planava come un alieno nei concerti e nei programmi televisivi, si avvertiva che veniva da lontano, proveniva dall’altrove, e non si gloriava né si mortificava per la sua diversità, anzi l’alleggeriva con una dose misurata di auto-ironia.
Non lo chiamerò filosofo, come hanno detto in tanti ieri, non gli affibbierò la tiara del guru, il cappello del mago o il bastone del sapiente, iniziato ai misteri; so distinguere i piani, i gradi e i livelli, Battiato era un cantante, un geniale dilettante del sacro, un sommelier di esperienze religiose, un curioso viaggiatore tra gli stati spirituali; a volte erano banali e sconcertanti certe sue espressioni, non tutte nate dalla necessità di mascherarsi dietro i non sense; e poi da ultimo i suoi vaniloqui e le sue pause.
Ma con la sua stravaganza, con i suoi paradossi, tra il siculo e lo zen, con la sua capacità magica di orecchiare la sapienza e sintonizzarsi con l’armonia pitagorica della musica, vista come metafora del cosmo ed eco risonante del divino, ha tracciato un itinerario unico. Non lo ripercorrerò, lo hanno fatto in tanti, anche perché ho visto, dopo un mio scritto dedicato a lui di recente, che ciascuno coltiva un suo tour di Battiato, ha una specie di edicola votiva delle sue canzoni o delle sue raccolte preferite. C’è pure un Battiato civile e indignato che inveisce contro i potenti e i buffoni, che piange lacrime amare per la Povera Patria, una canzone che portai qualche anno fa in giro per l’Italia con un comizio d’amore dedicato alla patria amata e maledetta.
C’è il Battiato degli amori perduti, del passato che non torna, il Battiato che canta a volte in un inglese improbabile, a volte in un napoletano anomalo ma colpisce la sua intensità espressiva, il tono, l’aura del suo cantare. Era di maggio già incantevole nella versione di Murolo, si fece omerica e struggente con la voce di Battiato, in quella raccolta strepitosa che fu Fleurs, in tre tomi. E così le canzoni di Mina e di De André, inimitabili; ma lui riuscì a donare versioni incomparabili a sua volta. E rese magiche, quasi oracolari, banali canzoni degli anni Trenta e Sessanta…
Ma il Battiato che canta l’amore e la nostalgia, che fustiga il potere e il degrado, sono gradini per avvicinarsi al culmine del suo canto, il Battiato che loda l’Inviolato e l’Uno al di sopra del bene e del male; che va a cercare il Sacro e i suoi Maestri, il visionario dell’altrove, colui che riesce a rendere vicine azzurre lontananze e meccaniche divine… Emergono mondi remoti con Battiato: l’Oriente in tutte le sue gradazioni, il Sud infinito e solare, la Sicilia eterna e interiore, i mondi antichi, le civiltà sepolte.
E poi il lessico magico del suo canto che lascia una scia di immagini in parole: l’era del cinghiale bianco, il centro di gravità permanente, la cura, l’imboscata, gli orizzonti perduti, le giubbe rosse, Delenda Carthago, Atlantide, il Caffè de la Paix, l’oceano di silenzio… Cuccurucucù, un concitato e disordinato citare, che è un evocare, una sinestesia di suoni, parole e visioni…
Che genere di spiritualità canta Battiato? La sua base, lo ha detto lui, è nel cattolicesimo dell’infanzia, delle madri e della sua terra; poi sono venute le conoscenze e le esperienze spirituali sufi, zen, le reminiscenze platoniche, Plotino… Una spiritualità protesa verso quella che Schuon e Guénon chiamavano l’Unità trascendente delle religioni, che non è la Super-religione di cui oggi si parla, ossia quel supermercato dell’usato sacro, dove l’esito è il culto dell’umanità tramite l’afflato religioso. Ma ogni tradizione spirituale è una freccia scagliata verso l’alto, diverse le provenienze e le traiettorie ma Uno è l’obbiettivo congiunto e supremo.
Non racconterò di nuovo le volte che l’ho incontrato, i concerti, i libri presentati, Sgalambro… Dirò solo una cosa. Ho voluto che il mio ultimo libro avesse un ritratto da lui fatto in copertina, il derviscio con rosa, perché rappresentava un cammino spirituale, rendeva magnificamente il Fiore di cui si narra la leggenda e rendeva omaggio a un amico e un grande. Quel che mi colpiva infine di lui è la sommessa lucidità con cui vedeva compiersi sotto i suoi occhi la parabola del suo destino. Prima che si ottenebrasse la sua mente, Battiato aveva raccolto la sua vita spirituale e canora in sei cd intitolati Le nostre anime, e quando lo raccontava poco prima che entrasse nell’area sacra e folle del silenzio e della clausura, ne parlava come del compimento di una vita, di una traiettoria giunta all’epilogo. Era come se avesse preparato le valigie per il suo viaggio estremo, mettendoci le cose più care. Si era compiuto il cerchio del destino e lui annunciava il suo tramonto con un disarmante sorriso, tra il demente e il veggente. E ne parlava già fuori dal finestrino del suo corpo, vedendosi in volo, salutando i presenti, sé compreso. L’immortalità della musica è già nella sua incorporeità, è invisibile sin dalla nascita, anche se usa dei segni per rappresentarsi. La trascurabile vita di Franco Battiato è cessata, la vita della sua anima tradotta in suono continua. E ti vengo a cercare, e torneremo ancora.
MV, La Verità 19 maggio 2021