La squadra del Napoli e i simboli della tifoseria: chi ha paura dello stemma borbonico delle Due Sicilie?
di Gigi Di Fiore
Il canovaccio del Napoli vincente è il coro dei tifosi, negli ultimi minuti della partita, sul motivetto di una vecchia canzone dei Righeira. Rituali di gioia e di condivisione. Da sempre, nelle tribune nelle curve degli stadi, la tifoseria è accomunata da bandiere, cori, striscioni. Identificano e uniscono chi “tiene” per la sua squadra.
Sciarpe e bandiere sono poi il vessillo da agitare, per accompagnare i cori. E, da anni, il Napoli con i suoi colori azzurri rappresenta il riscatto vincente del Sud almeno nel calcio. Nella stagione 1971-72, il presidente Corrado Ferlaino tentò l’identificazione tra squadra e storia della città: sugli abbonamenti, campeggiava lo stemma Borbone delle Due Sicilie.
Non è un mistero che Ferlaino sia un cultore di storia del Sud e che, quell’anno, fu costretto, per intervento della Federazione, ad eliminare lo stemma. Eppure, non si trattava d’altro che del simbolo che compariva sulle bandiere dell’ultimo periodo di Stato autonomo nell’Italia meridionale prima dell’unificazione sotto la dinastia Borbone. Un richiamo alla storia e all’identità.
C’è stata a lungo confusione sull’identità di richiamo della squadra del Napoli, tanto che, nell’anno del primo scudetto nel 1987, nelle curve sventolavano le bandiere confederate della guerra di secessione americana. Le bandiere di Stati del Sud di un’altra nazione e un altro continente. Ma poi, quasi per miracolo e sotto la spinta di movimenti e associazioni che si richiamavano alla storia meridionale, un passaggio successivo: il recupero dello stemma delle Due Sicilie sulle bandiere. Il 18 maggio 1995, un mega striscione bianco e azzurro venne tenuto dai tifosi della curva B. Al centro, il fantomatico stemma.
Sul Napoli di Sarri e De Laurentiis aleggiano ormai, fisse nelle curve e non solo, le bandiere con immagini di Maradona, Sarri, lo stemma del regno delle Due Sicilie. Ma, e la cosa non ha spiegazione, all’ingresso non sono rari i sequestri di sciarpe o bandiere con quel simbolo d’appartenenza storica, ormai acquisito da centinaia di tifosi. L’ultima, proprio ieri, nella partita con l’Empoli: sciarpe fuori. Come mai, chi ha paura di un simbolo storico?
La Digos della Questura di Napoli ha risposto già, in modo ufficiale, alla richiesta di “esposizione di bandiere con simbologia del Regno di Napoli allo stadio San Paolo”. Risposta positiva, a patto che la “simbologia del regno di Napoli venga associata ai simboli e colori del Calcio Napoli”. Ed è l’accettazione che la squadra è anche simbolo d’identità storica e che associarvi immagini che richiamino quel passato è lecito. Eppure, ieri delle sciarpe sono state sequestrate così come lo furono delle bandiere nella partita contro il Torino sempre al San Paolo.
Ignoranza del documento della Digos? Chissà, ma pare davvero strano che il simbolo della dinastia Borbone che, al suo interno, contiene gli stemmi della successione storica a Napoli di Svevi, Angioini e Aragonesi, venga considerato quasi una stella a cinque punte delle Brigate rosse. Siamo tutti italiani, tutti di una stessa Nazione, ma ogni squadra calcistica è il simbolo di una città e un territorio con identità autonoma. Inutile girarci attorno: l’identità è soprattutto la storia e il passato. E, accanto ai cori sul ritornello dei Righeira, accanto al volto di Maradona, non è una bestemmia poter sventolare anche bandiere con lo stemma del regno delle Due Sicilie. Meglio delle bandiere confederate americane. Almeno, la storia della dinastia Borbone ci appartiene. Di certo più di quella del generale Lee.
Lunedì 1 Febbraio 2016