Tratto dal Volume “La Stella d’Italia o nove secoli di Casa Savoia” per Pietro Corelli Vol. V -Milano A.Ripamonto editore 1863.
pag.136-137
[—] Ascolti il fatto, monsignore, riprese il generale con calma singolare, e ne sarà persuaso….
– Sentiamo, via…. Il Signore ci saprà merito di questo tanto patire.
— Ecco il fatto : Un certo Lucumone violò una sorella di certo Arunte in Chiusi, città dell’antica Toscana; non potendo Arunte vendicarsi per la potenza del violatore, andò a trovare i Francesi, confortandoli a venire con armata mano a Chiusi….
Vi accorrono questi, mettendo la città a soqquadro, taglieggiandola, insanguinandola…. Ora se Arunte avesse potuto vendicarsi con le leggi della città, quel conquasso non sarebbe avvenuto. Vede ella dunque che le accuse sono utili….
— Fenestrelle! Fenestrelle! gridò tutt’ad un tratto l’arcivescovo con allegrezza, vedendo in lontananza la temuta fortezza. Perdoni, signor generale, io preferisco quella stanza al sentire tante fagiuolate.
E diede una stratta per buttarsi verso lo sportello.
Le braccia nerborute del generale lo rattennero…. Monsignore tacque e non fu più sentito pronunziare un motto, finchè non pose il piede in Fenestrelle.
Fenestrelle è un grosso borgo posto alla riva sinistra del Chisone, a non molta distanza da Pinerolo: esso è celebre per la fortezza che vi siede a cavaliere e che chiude l’entrata della valle di Pragelato. Una scalea sotterranea di tremila e più scaglioni mette ai cinque forti che Carlo Emanuele III fece rizzare sur una roccia la quale sorge e si stende sul dorso di erta e dirupata montagna.
Ivi si racchiudevano per lo passato quegli uomini di robusto intelletto e di eccelso animo che non volevano per niun conto postergare la propria dignità in faccia al prepotente, e che anche solo aveano dato sospetto di mulinare o maechinare novità contro lo Stato : ivi saliva ora l’arcivescovo Fransoni accusato di aver provocato gli animi all’odio contro le leggi del nuovo governo.
Appena vi mise il piede, il povero tribolato si sentì assalire da un ribrezzo invincibile; nondimeno si fece coraggio, e tenne dietro ad un ufficiale che con atto cortese ed umile lo veniva inchinando, e voleva, per convenienza, che passasse avanti.
Fu condotto in uno stanzone ben arredato, con gran fuoco e con tavola, su cui era distesa una finissima tovaglia, e sopravi due fiaschi di buon vino, varie coppie di pane, due grossi capponi freddi, un pezzo di vitella arrosto e frutta secondo che richiedea la stagione.
Monsignore, soprappensiero, si gettò sur un seggiolone, e rimase così un buon pezzo, senza mai rispondere agli inchini dell’ufficiale, che era un ottimo vecchione, e che per riverenza al grado avrebbe dato anche un occhio onde raccomodargli alquanto lo stomaco.
Rimasto solo, sospirò più fiate, poi si alzò e, raggirandosi per lo stanzone come cosa balorda, brancolò alla cerca, finché gli venne trovato la tavola.
Benchè quasi quasi vedesse la fame nell’aria, pure mangiò assai poco e, rinvolte in quella tovagliuola le reliquie avanzate, s’appressò ad un inginocchiatoio, piegò le ginocchia e pregò sino a tarda sera.
In ultimo, come rifatto e ringiovanito, si buttò in letto, e con meno acri pensieri si addormentò.
Passarono molti giorni senza che desse segno di scoraggiamento o di amarezza; ma il pensiero che talvolta è carnefice e distruttore dell’uomo, cominciò infine, in tanta solitudine, a dargli gran noia. E più lo aggravò quel non potere sventolare e dibattere le proprie opinioni, chiedere aiuto e consiglio, pigliare animo in tante ore di sfinimento e svogliatezza.
Ricerche a cura del Prof.Renato Rinaldi