Un rimedio contro la cattiveria?
Un buon libro e il “fading”: dissolvenza. Forse anche mandare a “yataghawat” è liberatorio. Magari anche a “Gǔn kāi”. Dai l’ultimo: “kto ty takoy”. A me basta un libro, le altre opzioni mi sono state suggerite, sembra siano parimenti efficaci. (torno dai…).
Quattro o cinque pagine seduta al centro nel lettone, con gli occhi ancora semichiusi e gli occhiali sul naso… due pagine, aspettando che esca il caffè dal beccuccio borbottante; un’altra pagina, mentre attendo che il pc si avvii. Solo chi ama leggere conosce la sensazione che si prova nel “dover” lasciare la lettura: un languore che non ti abbandona, sino a sera, quando “quel libro” lo puoi riavere tra le mani. Leggere è “amare”. Su consiglio di un mio caro amico: “Opinioni di un clown”, di Heinrich Böll. ( buongiorno anime belle, poi torno…).
La levità della fame.
Crescono le file di anime davanti ai vari centri Caritas. Molta gente non ha di che sfamarsi. I “purgantini” dello Stato sono insufficienti, è un dato di fatto. Le parole che leggiamo sui social sono di conforto, ma non riempiono la pancia e quando si ha fame c’è poco da “fare” poesia… Tutto il terzo settore è in ginocchio, lavoratori che si alzavano la mattina alle prime luci dell’alba per aprire una saracinesca, che non dormivano se i conti non tornavano, che davano da mangiare a operai, che a loro volta, in questa emergenza, sono diventati poveri. La scure statale ha tagliato di netto un’intera fascia sociale, e troppi, per vergogna, non palesano la loro disperazione. In silenzio, nel chiuso dei gesti, diamo una mano a chi ne ha bisogno, in questa triste Pasqua di resurrezione.