Fenestrelle: lager dei Savoia? – di Fara Misuraca e Alfonso Grasso
Prigionieri di guerra “napolitani” trasferiti a Genova
Un libro [1] apparso sul finire degli anni ‘90 incluse la fortezza di Fenestrelle, abbarbicata a quasi duemila metri di altezza sulle montagne piemontesi, tra i luoghi di detenzione dei prigionieri di guerra dell’esercito sconfitto del Regno delle Due Sicilie.
Il forte San Carlo di Fenestrelle
II ruolo di prigione di stato caratterizza il forte di Finestrelle per molti anni: sia sotto la dominazione napoleonica che, in seguito, sabauda. Alla fine del XVIII secolo il carcere ospitava soprattutto ufficiali agli arresti, rei di aver accettato, o provocato, duelli nelle province sarde, nel XIX secolo diventa la nona Bastiglia di Francia. Il carcere pullulava di detenuti. Per la massima parte i reclusi erano ecclesiastici e nobili monarchici oppositori di Bonaparte. Un alto prelato, rinchiuso nel carcere, racconta anche di dieci napoletani partigiani borbonici incarcerati tre anni prima del suo arrivo. A questi si aggiungevano molti piemontesi sospettati di aderenza con gli austriaci. Con la caduta di Napoleone il forte passò nuovamente ai Savoia che ne continuò l’uso come prigione militare. In seguito ai moti del 1821 fu rinchiuso a Fenestrelle anche il principe Carlo Emanuele del Pozzo della Cisterna per via delle sue idee liberali. L’abdicazione di Vittorio Emanuele I lo rimise in libertà, consentendogli di riunirsi ai Carbonari di Pinerolo. Con l’avvento al trono di Carlo Alberto tocca ai mazziniani cadere sotto i colpi della repressione. Fu ospite di Fenestrelle un figlio naturale di Carlo Felice, Giuseppe Bersani, appartenente al nucleo carbonaro “Cavalieri della Libertà”. Dal 1833 Fenestrelle ospitò molti liberali appartenenti alla “Giovine Italia”, idealisti guidati da Mazzini e ferventi credenti nella rivoluzione che afferma i valori costituzionali. L’Italia intera fu all’epoca pervasa dai moti di pensiero mazziniani; progetti di rivolta che spesso si indirizzavano, in cerca di appoggio, anche al monarca sabaudo Carlo Alberto. Erano infatti in molti a sperare nel re che aveva solidarizzato con i rivoluzionari del 1821, ma ogni illusione cadde quando il Savoia manifestò l’intenzione di “fucilare tutti i carbonari e spezzare con forza ogni velleità libertaria”.
In quel periodo le carceri di mezza Europa si riempirono di giovani sognatori, seguendo l’esempio delle sale di tortura e le stanze del carnefice e il plotone di esecuzione operante a pieno ritmo.
Tra le carceri “dure” spiccava ancora una volta il San Carlo di Fenestrelle dove vi alloggiarono, tra gli altri, Vincenzo Gioberti che a causa delle precarie condizioni di salute, chiese ed ottenne, dopo breve tempo, la commutazione della pena carceraria in quella dell’esilio e Giuseppe Thappaz, ufficiale del regio corpo di artiglieria, che portò le idee liberali nelle file dell’esercito. Ospite di Fenestrelle fu anche l’avvocato Francesco Guglielmi. Rinchiuso a Fenestrelle nel luglio del 1840 lasciò il carcere nel 1842 e fu eletto senatore nel 1870. Thoppaz venne liberato nel 1847 e il generale Guillet condannato a dieci anni vi morì. Il medico Angelo Orsini, condannato anch’esso a 20 anni, leale alla causa, non volle mai rivelare i nomi dei suoi compagni, neppure di fronte alle torture. Negli anni del risorgimento e del regno di Vittorio Emanuele II, i detenuti appartengono in minima parte ai «politici». Tra loro spiccano i reclusi per ragioni di sicurezza o a causa di contingenze internazionali. In seguito alle cospirazioni sorte dopo la pubblicazione delle leggi Siccardi, il 23 settembre 1850, faceva il suo ingresso al forte monsignor Luigi Fransoni, arcivescovo di Torino. L’arcivescovo aveva tenuto per lungo tempo un comportamento pubblico anti statale, rifiutando tra l’altro, gesto estremo di ricatto al governo, i sacramenti ad un ministro cattolico morente (Pietro De Rossi di Santarosa). Solo lo sdegno popolare, quel popolo per cui si batteva, costrinse il prelato a celebrarne i funerali religiosi ma questo non lo salvò dall’arresto.
Tra i deportati in fortezza per ragioni di sicurezza nazionale, vi furono anche alcuni ufficiali garibaldini catturati dall’esercito sabaudo nel 1862. La prigionia per costoro fu decisa per la preoccupazione del governo sabaudo nei confronti della marcia degli uomini di Garibaldi verso Roma. Un’avanzata pericolosa poiché non gradita alle alleanze internazionali, in primis la Francia. Per tale ragione sull’Aspromonte le camicie rosse vennero fermate dalle truppe regolari. Sei ufficiali furono, in seguito, inviati a Fenestrelle.
Susseguentemente all’unità d’Italia nel San Carlo furono condotti in “villeggiatura a meditare sul regolamento militare” i soldati definiti “indisciplinati” e i disertori.
Le palle al piede, i ceppi e le catene, consuetudine dei carceri militari e dei bagni penali, erano normali per tutti questi poveracci e furono eliminate solo sul finire del 1800.
Durante la Grande Guerra vennero concentrati a Fenestrelle anche prigionieri austroungarici e dopo il primo conflitto mondiale, Fenestrelle ospitò 400 uomini condannati per reati commessi durante la guerra. Tra questi, nel 1916, anche il generale Giulio Dahuet: reo di essersi duramente contrapposto alle strategie, sanguinarie, del capo di Stato Maggiore Cadorna. Le sue teorie sull’uso dell’aviazione in operazioni belliche sono ancora studiate nelle Accademie militari americane. Durante il XX secolo il fascismo riporterà il forte agli antichi lugubri sfarzi di prigione politica.
La ricerca storica
Oggi da più parti si ricorda il periodo in cui la fortezza divenne un campo di reclusione per soldati borbonici e papalini considerati disertori del nuovo esercito italiano o prigionieri di guerra. Recenti ricerche sottolineano le pessime condizioni in cui nel 1861 questi militari furono «ospitati» a Fenestrelle: laceri e poco nutriti. Ma era condizione usuale di tutti i prigionieri che non avevano la possibilità di procurarsi cibo, vesti e riscaldamento come era usanza di allora.
Indro Montanelli, che storico lo era certamente e di matrice liberale, negò sempre l’esistenza dei campi di concentramento al Nord per soldati meridionali durante le fasi costitutive dell’Unità d’Italia. Ricordiamo in proposito che i reparti militari “napolitani” furono in gran parte inglobati nell’esercito piemontese per costituire il nuovo esercito unitario. I reduci di Gaeta, per lo più affetti da malattie derivanti dal lungo assedio sopportato, furono confinati nelle isole, per lo più ad Ischia, con grande timore delle popolazioni locali per il possibile contagio.
I testi coevi agli avvenimenti, quali quelli dello storico borbonico Giacinto De Sivo, o del liberale Nicola Nisco non riportano deportazioni, né tanto meno parlano di Fenestrelle. Non c’è traccia neanche in Raffaele De Cesare, storico giornalista e politico liberale, che scrisse a pochi decenni dagli avvenimenti, sulla base di testimonianze dirette integrate da un’interessante bibliografia, senza tuttavia prestare la minima attenzione al problema. Autorevoli studiosi contemporanei della materia continuano ad escludere l’esistenza del “lager”. Secondo il prof. Roberto Martucci, storico dell’Università di Macerata, il silenzio della più consolidata riflessione storiografica sull’argomento, consentirebbe di ipotizzare la non rilevanza del fenomeno dei prigionieri nelle guerre risorgimentali, anche a causa della stessa brevità degli eventi bellici di quella fase storica, generalmente limitati a poche settimane di conflitto. Neppure il compiuto affresco “legittimista” di Harold Acton, tracciato in anni a noi più vicini, fa riferimento al tema della prigionia.
Come si è potuto constatare, a Fenestrelle i morti all’epoca dell’Unità venivano annotati nel libro parrocchiale. I registri del 1860 e del 1861 sono scritti in francese e riportano cinque nominativi meridionali [2] definiti chasseurs francs. La definizione potrebbe riferirsi a militari disertori o macchiatisi comunque di un qualche delitto. I tre nominativi del 1860 è difficile accostali alla invasione sabauda, iniziata intorno a novembre di quell’anno (prima avevano agito i garibaldini).
Resta quindi la sola “testimonianza” di due morti meridionali a Fenestrelle nel 1861 (agosto ed ottobre i mesi delle rispettive morti). Compiangiamo quelle giovani vite perse, ma storicamente rappresentano una traccia troppo lieve per sostenere la tesi del “campo di concentramento” e quella del “massacro”.
I registri del 1862, del 1863, del 1864 e del 1865 sono scritti in italiano e riportano un’altra trentina circa di nominativi di meridionali definiti “cacciatori franchi”, probabilmente renitenti alla leva o disertori.
Fenestrelle. Sullo sfondo la fortezza
Si può quindi concludere che la insinuazione di “migliaia” di soldati “napolitani” prigionieri, morti ma non registrati, dei loro corpi gettati nella calce viva [3], sia frutto della fantasia di un revisionismo di stampo leghista, mirante a disgregare oggi quanto fu unito, seppur con la forza, più di centocinquanta anni fa. Una semina di odio e rancore, che minaccia di togliere autorevolezza e credibilità anche a chi, come noi, cerca di narrare fatti ed avvenimenti del Sud con l’intento di far risaltare quanto di buono ed illustre ci sia stato nella storia, senza però sottacerne i vizi e senza mascherare il travisamento dell’ideale risorgimentale che fu fuorviato da casa Savoia con la convinta partecipazione dei notabili napoletani e siciliani.
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Note
[1] L’autore del libro “I lager dei Savoia” F. Izzo riprese al riguardo una tesi già sostenuta dalla rivista tradizionalista e filo-borbonica “L’Alfiere”. Si tratta quinti di notizie di parte, narrate non con l’obiettività propria dei veri storici, né suffragate da prove inconfutabili.
[2] 1860: Garloschini Pietro, m. 1.10, di Montesacco (?) – Conte Francesco, m. 11.11, di Isernia, anni 24 – Leonardo Valente, m. 23.11, di Carpinosa, anni 23 – Palatucci Salvatore, m. 30.11, di Napoli, anni 26 – Suchese (?) Francesco, m. 30.11, di Napoli. 1861: Scopettino Matteo, m. 24.8, di Chieti, anni 22 – Miggo Salvatore, m. 7.10, di Galatina (Lecce) anni 24.
[3] E’ opportuno ricordare che trattare con calce viva i cadaveri sepolti in fosse comuni era comunissimo all’epoca per scongiurare il rischio di epidemie. Anche il corpo di Mozart fu seppellito in una fossa comune e trattato con calce viva. Ed è altrettanto utile ricordare che le morti per setticemia o per malattie polmonari erano frequentissime poiché non era stato ancora introdotto l’uso delle tecniche antisettiche e non erano stati ancora scoperti gli antibiotici.
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