Trasmettere cosa?
È tutta questione di… prospettiva.
Ho avuto modo di scrivere su quanto sia importante, per una società o gruppo etnico, organizzare al proprio interno un buon livello di integrazione socio-culturale.
Uno dei meccanismi utilizzati da tutte le culture finora studiate e conosciute è quello della trasmissione culturale, ossia la tendenza a rimanere simile a se stessi da una generazione all’altra.
La questione della trasmissione culturale è direttamente connessa alla possibilità che ogni essere umano possa adottare, durante il processo evolutivo, qualsiasi stile di vita futuro: non esiste in effetti questa possibilità, poiché anche nella trasmissione culturale risiede il germe cognitivo delle nostre scelte future. Ho utilizzato il corsivo per il termine “qualsiasi” perché non è in effetti possibile adottare uno stile di vita che non sia comunque ed in qualche modo accettato dalla cultura di appartenenza.
La “formazione” di ogni individuo non è frutto di libere scelte educative, né frutto di un pensiero autonomo dell’educando. Ogni forma di educazione, o pedagogia alternativa, è sempre una “violenza sull’individuo”, ed è connaturata allo stesso concetto di educazione.
Boris Porena rende bene questo paradosso epistemologico: “Pedagogia = guida del fanciullo acciocché diventi ciò che siamo noi (ciò che sono i migliori di noi), accetti come sua la nostra società, conosca, esperisca e scelga secondo le nostre modalità di conoscenza, esperienza e scelta, viva in sostanza una vita il più possibile simile alla nostra o a quella che avremmo voluto vivere. Il momento conservativo tende a farsi momento repressivo” (Porena B., 1975, Musica/Società. Inquisizioni musicali, Einaudi Editore, Torino).
Quindi la crescita di ogni essere vivente è, sia in senso strettamente biologico sia in quello culturale, eterodiretta e non può essere altrimenti. Si acquisiscono e si sussumono modelli culturali specifici e tipici, perché si ritiene siano adatti alle diverse situazioni culturalmente apprese e, aspetto oltremodo importante, prevedibili. Un discreto grado di cognizione sulla prevedibilità è fondamentale al mantenimento sia dello status quo, che salvaguarda la trasmissione culturale, sia delle azioni legittime e rivolte alla programmazione progettuale dell’intera cultura.
Ecco, proprio sulla base di queste significative considerazioni (mi riferisco a quelle di Boris Porena, ovviamente…), penso dovremmo riflettere sui tempi attuali; sulla crisi pandemica, come vera e propria occasione, per valutare attentamente il nostro passato, in vista del futuro dei nostri figli.
E questa valutazione necessariamente prevede di considerare ciò che intendiamo per progresso, innovazione e conservazione.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).