Cosa resta del cristianesimo
Intervista di Danilo Breschi per la rivista Il Pensiero Storico a Marcello Veneziani.
Cosa pensa del celebre aforisma di Nietzsche, il 125 de La Gaia Scienza, in cui si narra dell’uomo folle che si aggira per il mercato con lanterna accesa alla chiara luce del mattino e che grida “Cerco Dio! Cerco Dio!” e si risponde “L’abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini!”? A che punto siamo oggi in Europa e nel mondo rispetto a quella sen- tenza datata 1882?
Quella sentenza precorreva i tempi, o meglio descriveva una condizione mentale e spirituale all’epoca di Nietzsche riservata a pochi intelletti e poi diventata condizione di massa, orizzonte epocale. Rispetto a quell’aforisma, la ricerca di Dio si è arenata, insieme alla presunzione di colpa per il deicidio compiuto. Si tende piuttosto a far scivolare Dio nell’irrilevanza, come una questione non pertinente, superata, evanescente. Soprattutto in Occidente, a Nord del pianeta.
La teologia e la filosofia dell’ultimo secolo come hanno risposto alla sentenza nietzschiana?
Sono rimaste prigioniere dentro la crisi enunciata da Nietzsche, con rari sprazzi di lucida veggenza e più̀ rari tentativi di superare quella condizione. Pavel Florenskij, Simone Weil, a suo modo Martin Heidegger, e pochi altri. Ha prevalso la finzione d’inavvertenza, l’alienazione, la rimozione. La filosofia si è preoccupata d’altro, procedure, linguaggi e varia umanità̀; e la teologia in generale ha simulato che nulla sia accaduto, solo un’ordinaria evoluzione, non una catastrofe. Ambedue sono finzioni d’inavvertenza, elusioni della condizione in cui siamo.
Quale concetto rende meglio l’effetto della modernità̀ sulle religioni, ed in particolare sul cristianesimo? Scristianizzazione? Secolarizzazione? Laicizzazione? Ateismo? Nichilismo? Sono tra loro sinonimi, o vi sono differenze significative?
A rigore direi che l’effetto diretto della modernità̀ sulla religione sia all’insegna della secolarizzazione. La modernità è il primato del tempo sull’eterno, del divenire sull’essere; dunque la religione è stata storicizzata, per poi essere relegata nella dimensione dell’intimo, del privato, del marginale, lasciando il campo al dominio pubblico della laicità. Ne discendono il nichilismo, l’ateismo, la scristianizzazione.
Quale ruolo attribuisce al cristianesimo nel processo di civilizzazione europea? Vale ancora, se mai ha avuto valore, l’endiadi proposta da Novalis nel 1799, “La Cristianità, ovvero l’Europa”?
Sì, la prima missione europea “congiunta” sono le crociate in Terra Santa. Ma la civiltà europea nasce all’insegna di una triplice radice: l’eredità greca, nel senso del pensiero greco e della polis greca, l’eredità romana, nel senso del diritto romano e dell’imperium, dello stato romano; e l’eredità cristiana, nella sua versione cattolica, ortodossa e protestante. L’Europa è inconcepibile senza il cristianesimo, il suo linguaggio primario che si è fatto lignaggio, retaggio e paesaggio – anche urbano – è dominato dalla presenza del cristianesimo. Che ha inciso più di ogni altro fattore a livello etico, antropologico, culturale. Negarlo è stata la miserabile ipocrisia dell’Unione europea.
Ha senso e, se sì, in quali termini, parlare di un revival religioso, di un “ritorno di Dio”? Riguarda la sfera del sacro in generale, o un credo religioso in particolare (Islam piuttosto che cristianesimo, ebraismo piuttosto che buddismo, etc.)?
Se ne parla periodicamente, ma non si può ridurre un bisogno cruciale a un trend, quasi una moda, comunque una tendenza temporale. Di un vero e proprio ritorno di Dio se ne può parlare nelle seconde e terze generazioni islamiche europee, che riscoprono l’islam come strumento di rivalsa identitaria; ma nei paesi islamici il ritorno convive con la continuità senza soluzione. Nei paesi occidentali c’è sempre il mix, il melange di frammenti religiosi – che non possono nemmeno assumere la dignità di sincretismo – ma diluiti e frullati in una specie di faidate, di bricolage psico-spirituale, quasi una dieta, uno sport, un’attività vagamente socio-culturale.
A proposito di sacro: è la stessa cosa del religioso? Può aversi a prescindere dal religioso?
No, c’è differenza, Il senso religioso indica un legame, che è duplice, comunitario, con una fede condivisa e tramandata, culminante in un principio solitamente trascendente. Il sacro invece è l’irruzione di una radicale alterità nella vita profana, è la grazia dell’Altrove, la dimensione della trascendenza. Il sacro presuppone una distanza, il santo invece indica un’incarnazione. La religione presuppone la fede nel sacro e nel santo, ma non vi si identifica. Il sacro genera, di solito, nella sua fenomenologia anche una pratica religiosa, ma non necessariamente.
Quale futuro prevede per l’Europa dal punto di vista delle fedi professate? Sarà determinante la demografia? Avremo perciò un’Europa a maggioranza di fedeli islamici?
Sì, la demografia è decisiva. Non è un fattore unico, ma è certo uno dei fattori principali. L’Europa è una civiltà perdente, se non agonizzante, numericamente sempre più irrilevante rispetto a tre mondi debordanti: islamico, cinese e indiano (il meno inquietante, il meno invasivo dei tre). E alla demografia si aggiunge la perdita di una visione, di un orizzonte condiviso, di una tradizione rinnovata. Pensare a una rinascita europea significa pensare a un miracolo: cioè la possibilità di un evento statisticamente, tecnicamente impossibile. Un’impresa disperata, o quasi, ma non per questo da non tentare…
Alcuni parlano dei diritti dell’uomo come della nuova religione dell’Occidente, in particolare dell’Europa e delle élite accademiche statunitensi. Cosa ne pensa? Crede che l’universalismo dei diritti dell’uomo sia in qualche misura debitore dell’universalismo cristiano? Oppure la teleologia naturalistica cristiana è incompatibile con l’individualismo antropocentrico liberale?
I diritti dell’uomo discendono indubbiamente dalla lettura secolarizzata del cristianesimo, sono il frutto laico del suo universalismo, separato da una visione teologica, liturgica e religiosa. Anche l’individualismo antropocentrico liberale ha quella principale matrice, deprivata del suo fondamento spirituale e religioso. Ciò non vuol dire che ne sia il legittimo erede, può essere concepito come la sua degenerazione, il degrado di un’idea religiosa trasferita in terra. In questo è perfettamente speculare al comunismo, all’egualitarismo, che sono anch’essi progetti politici che trasferiscono il paradiso in terra e il cristianesimo nella dimensione storico-sociale. I diritti dell’uomo, inseriti in quella pappa del cuore (Hegel) che è l’umanitarismo politically correct, sono oggi il succedaneo della religione, il surrogato della religione.
Cosa pensa dell’attuale pontificato di papa Francesco e della più generale posizione della Chiesa cattolica rispetto al mondo contemporaneo?
A volte papa Francesco sembra il ponte (pontifex) tra la religione cristiana e la post religione dell’accoglienza globale e del soccorso umanitario. Nel suo pontificato sembra transitare la religione cristiana in quella religione dell’umanità di cui parlò Auguste Comte nel secolo XIX, quella religione del prossimo di cui parlò pure Saint Simon. È la visione del cristianesimo come misericordia e assistenza, il volto di Cristo che si identifica e si risolve nel volto di chi soffre. Sparisce il sacro, resta l’umanità. Ma la crisi del cristianesimo non nasce certo con l’avvento di papa Francesco, è un processo più vasto, più antico e più profondo.
Quale sarà il ruolo delle religioni in un mondo futuro, ma non troppo lontano, in cui le tecnologie saranno così sviluppate da aumentare in modo esponenziale la capacità dell’uomo di manipolare se stesso, oltre alla natura, e magari rimandare sempre più lontano la prospettiva della morte?
La tecnica, come del resto la scienza, sposta i confini dell’ignoto ma non risolve il mistero dell’essere, il mistero di vivere, il mistero di nascere e di morire, l’infinito e l’eterno. L’onnipotenza a cui sembra condurci la tecno-scienza è fittizia e le ricadute da quel trono di paglia ci riportano alle domande originarie intorno al divino. Dio è il nome che diamo al mistero dell’essere. Ma Dio è ciò che non siamo e ciò che non possiamo, dunque è il nome della nostra carenza, del nostro limite. Che nessuna scienza, nessuna tecnica riuscirà mai a cancellare, a superare. La condizione umana è strutturalmente legata al senso religioso della vita e alla nostra imperfezione; potranno differire le risposte e le forme, ma non le domande e la situazione da cui scaturiscono.