𝗖𝗮𝗿𝘁𝗮 𝗰𝗮𝗻𝘁𝗮
Vivo in una casa con mille fratelli maggiori. Ma non occupano molto spazio con i loro corpi di carta; chi mezzo, chi un intero palchetto, chi lo spazio di pochi centimetri. Come avrete capito, i fratelli maggiori di cui parlo sono gli autori dei libri che gremiscono la mia biblioteca.
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Carta canta
Vivo in una casa con mille fratelli maggiori. Ma non occupano molto spazio con i loro corpi di carta; chi mezzo, chi un intero palchetto, chi lo spazio di pochi centimetri. Come avrete capito, i fratelli maggiori di cui parlo sono gli autori dei libri che gremiscono la mia biblioteca. Sono fratelli a volte più antichi di Cristo, come Omero, i libri sacri e i filosofi greci, altri sono più vicini nei secoli, qualcuno l’ho conosciuto e taluno è vivente. Tra loro c’è pure uno scaffale con 38 costole mie, libri scritti lungo più di quarant’anni (non sono vecchissimo, cominciai presto). Mi piace organizzare con loro feste a sorpresa, soprattutto d’inverno, e passare una serata in affollata solitudine, passando da un fratello maggiore all’altro, per una rimpatriata; a volte ricordando insieme qualcosa, a volte rubando loro un pensiero, un giudizio, un’atmosfera. È bello avere compagni di solitudine, soprattutto ora che viviamo da mesi agli arresti domiciliari, in soggiorno obbligato per ragioni di pandemia. E ancor più a loro mi attacco, e in loro mi rifugio, quando vedo, con disgusto crescente, il regno globale dell’attualità, il nostro presente nazionale, la nostra vita quotidiana… Loro non ti tradiscono, non cambiano bandiera.
C’è chi vorrebbe procedere alla cremazione dei fratelli maggiori, conservando la loro cenere in una più agile urna, l’e-book, o semplicemente affidando il loro ricordo alla clemenza della rete che tanto contiene e troppo ricorda, anche robaccia. Ma l’esperienza tattile del libro è imparagonabile, insostituibile; non basta vedere su uno schermo, bisogna toccare il loro corpo plasmato dal tempo, sentire la loro età, il loro odore, la loro cartilagine. Il libro somiglia al tappeto di seta: più è usato e più ha valore. Dico valore affettivo, storico, prima che commerciale. Io proporrei anzi di non chiamarlo più libro usato, ma libro vissuto. Perché i libri, come insegnano i mille fratelli maggiori, sono vita raccolta in carta e pensieri, e averli letti, toccati, chiosati, li rende più veri e più vivi. Ogni lettore aggiunge uno strato di vita. Certo, poi ci sono i libri abusati o logorati dal tempo, squinternati e ridotti ad una degradante vecchiaia. Ma i libri che odorano di vita e lettori, sono ancora più ricchi, crescono con l’uso.
Non c’è settimana che io non legga, e che voi non leggiate, annunci di morte per il libro di carta stampata. Ogni libreria che chiude è una piccola morte della mente e dell’anima. Funerali anticipati, a volte con una punta di sadico compiacimento, di barbarie nascosta nell’ipermodernità, vestita di tecnica on line. Mi auguro che finisca prima l’uomo del libro, e che il postlibro riguardi i postumani, non noi e chi sarà come noi. Bello è il sapere fluttuante nell’etere, i libri disincarnati sul video e i saperi visti e toccati sul display; ma noi siamo politeisti e abbiamo bisogno di avere più fonti di sapere e di vita, anche quelle più antiche. Perciò difendo i miei mille fratelli in carte, i Libri Vissuti. E a loro mi aggrappo con tutta la mente, per non disperarmi al tempo del lockdown. Carta canta, non sopprimete quel canto.
MV