𝗡𝗼𝘀𝘁𝗮𝗹𝗴𝗶𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗿𝗶𝗺𝗽𝗮𝘁𝗿𝗶𝗮𝘁𝗲
Le chiamano rimpatriate e non si dovrebbero fare, perché le patrie temporali finiscono, il tempo passa e lascia i suoi segni cattivi, i paragoni sono antipatici, la tristezza prende la mano. Nostalgia beffarda. Ma a volte quando ci si ritrova, tra compagni di scuola, amici d’infanzia e di gioventù, perfino parenti separati dal tempo, si sente nell’aria qualcosa che ti prende d’incanto e non sai dire cos’è. È come sentirsi complici di un segreto.
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Nostalgia delle rimpatriate
Le chiamano rimpatriate e non si dovrebbero fare, perché le patrie temporali finiscono, il tempo passa e lascia i suoi segni cattivi, i paragoni sono antipatici, la tristezza prende la mano. Nostalgia beffarda. Ma a volte quando ci si ritrova, tra compagni di scuola, amici d’infanzia e di gioventù, perfino parenti separati dal tempo, si sente nell’aria qualcosa che ti prende d’incanto e non sai dire cos’è. È come sentirsi complici di un segreto. C’è un segreto che unisce gli amici di un tempo, gli affetti di una vita, gli amori ragazzi. Ciascuno conosce dell’altro il segreto più caro che si porta dentro: il bambino, il ragazzo che è custodito dentro di lui, quel che eravamo un tempo e che siamo ancora dentro di noi o che perlomeno crediamo di essere e non siamo più in apparenza. Voi conoscete quel ragazzo nascosto dentro di me, voi conoscete quel segreto che mi riguarda, e io conosco il vostro: lo ricordo, lo avverto ancora vivo quando parlate, quando guardate, quando ridete, quando camminate.
Lo vedo che si affaccia dai vostri corpi sfibrati dal tempo, dalle vostre facce che hanno visto passare la vita e i suoi sogni, dai capelli più radi o già bianchi. Dentro quei corpi ormai adulti o forse già anziani vedi occhieggiare il ragazzo che foste; ogni tanto si sporge anche a vostra insaputa e fa le boccacce. Vi vedo, vi rivedo come eravate, vi rivedo alle prese con la vita di un tempo, quel tempo mitico, le vostre moto, i vostri pantaloni a zampa d’elefante, perfino i vostri fiocchi e grembiuli, il vostro modo di giocare a pallone, il vostro modo di prendere in giro, di stare a scuola e di scampare all’interrogazione. Il vostro modo di fare allegria e perfino di piangere. Di voi ricordo pure le vostre famiglie, vostro padre e vostra madre che non ci sono più, so dove abitavate e a volte mi risale persino l’odore delle vostre case, perché ogni casa davvero abitata ha un odore speciale. E voi ricordate di me e dei miei che non ci sono più, li avete visti, sapete chi e cosa mi sono perso nel tempo e non solo chi e cosa ho guadagnato. E io so chi e cosa avete perduto negli anni. Perciò posso dire che conosco il vostro più intimo, delicato, segreto e voi conoscete il mio. È la nostra mitologia personale. Siamo legati dalla complicità di quel segreto reciproco.
Coltiviamo nell’intimità quel comune altarino segreto, il ragazzo clandestino che abita dentro di voi, messo in castigo dal tempo. Ma io lo so che lui sta lì, in fondo al pozzo, e voi sapete del mio. E magari, in compagnia, potrebbe svegliarsi, irrompere, e gridare trentuno salva a tutti, per salvare gli altri che sono ancora in prigione; e per una volta, almeno una, potremo scamparla. È giusto chiamarla rimpatriata, perché la nostra patria interiore è l’infanzia, la giovinezza, quel che fummo e che siamo, di nascosto. È reciproca la conoscenza di quella mitologia personale. La cosa che vi sta più a cuore di voi e di me, è quel bambino, quel ragazzo che riposa dentro di noi e ogni tanto vien fuori, e gioca e scherza e fa smorfie, cazzeggia sulla vita per coglionare la morte. La nostalgia, a volte, ama i raggiri.
MV, Alla luce del mito (Marsilio 2017)