Geometria variabile
È tutta questione di… scelte.
Sentiamo spesso dire che tutti confidano nella Magistratura, e che le cose dovranno fare il loro corso. Intanto, ovviamente, non sappiamo più nulla di Palamara e nemmeno delle sorti degli Onorevoli e Senatori implicati nei suoi affari? A miei tempi a scuola, al termine della dimostrazione di un teorema di geometria si scriveva l’acronimo c.v.d., come volevasi dimostrare.
In effetti, la nostra politica, intendo dire quella occidentale e ormai in gran parte mondiale, è, come la nostra diplomazia, a geometria variabile, ossia cambiano costantemente le relazioni tra i termini, ma restano uguali le sostanze clientelari. In sostanza, fanno tutti parte dello stesso gioco, asserviti a turno agli stessi padroni, ossia a coloro che li alimentano a libro paga, nella totale sottomissione perché assetati di spicciolo potere economico.
In questa situazione, rendersi conto che qualsiasi governo noi si riesca a rabberciare non cambierebbe nulla, è come prendere coscienza che la pioggia è bagnata e l’acqua di mare è salata.
Ecco perché siamo tutti in attesa di qualche evento naturale in grado di cambiare effettivamente le carte in tavola. Forse, le persone (specialmente quelle che vanno a cantare ai talent show e i loro pubblici, oppure quelle che cantavano dai balconi) ancora non si sono rese conto di quello che ci attende nel prossimo futuro.
Le indagini storiche dimostrano che dopo ogni epidemia, e figuriamoci di fronte ad una pandemia, sono due le situazioni sociali che risentono maggiormente della crisi antropologica: la formazione, ossia la scuola, e tutto ciò che motiva le persone a fare cultura. Si diventa ancora più individualisti, soli, arroganti e col tempo, ignoranti.
In questo periodo, è proprio quello che ci manca, per diventare peggio di quello che già siamo.
Votare non serve a nulla, e abbiamo visto che in qualsiasi situazione partitica le cose non cambiano, se non nella superficie, perché il livello di burocratizzazione dei Paesi occidentali è tale che continuano a governare i funzionari e sempre gli stessi, assieme ai politici che hanno venduto l’anima a qualche finanziere.
Possiamo solo cercare di recuperare quel sentimento di appartenenza che fa parte delle nostre personali e quotidiane relazioni, sia professionali che affettive. Penso che questo recupero potrebbe motivare tutti noi a sopportare l’avvento di tempi lunghi, prima di poter assistere ad un vero cambiamento di visione, progettualità e ad un maggiore impegno politico.
Insomma, spegniamo la televisione quando trasmette i vaniloqui stantii dei politici, e rendiamoci conto che solo i vicini di casa e gli addetti del supermercato dove andiamo a fare la spesa, sono coloro che ci possono comprendere. Sono loro che vivono la nostra stessa quotidianità e conoscono le stesse nostre demoralizzazioni e speranze.
Solo recuperando il microcosmo potremo aiutare il macrocosmo, e, ricordando Ermete Trismegisto, tutto quello che è in basso è in alto e viceversa, anche se sembra che molti di noi continuino ad essere il popolo dalla dura cervice.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).