Turchia: Dall’Europa con amore
di Burak Bekdil 6 gennaio 2021
Pezzo in lingua originale inglese: Turkey: From Europe With Love
Traduzioni di Angelita La Spada
Erdoğan ha anche affermato di vedere il futuro della Turchia in Europa, quella stessa Europa che lui aveva accusato di essere di essere costituita da Paesi bollati come “residui del nazismo e fascisti”.
Il problema centrale era quanto dura sia stata l’Unione Europea a voler attivare sanzioni in un momento in cui l’economia nazionale turca è in caduta libera. È emerso che la decisione di Bruxelles non è stata così difficile.
Da un punto di vista giuridico, l’uomo che Erdoğan ha definito un “terrorista” è solo un sospettato senza un verdetto del tribunale. Questa, tuttavia, è la lacunosa comprensione dei diritti costituzionali da parte del presidente turco, il quale, da leader eletto, crede di potersi prendere la libertà di dichiarare colpevoli o meno le persone sospettate, mentre i tribunali non si sono ancora pronunciati in merito ai procedimenti giudiziari a loro carico.
Se l’uomo forte islamista di Ankara, il presidente Recep Tayyip Erdoğan, la prima settimana di dicembre, ha trascorso più notti insonni di quante ne abbia passate in bianco per le preoccupazioni destate dalle sanzioni statunitensi, è stato a causa delle più imminenti e potenzialmente punitive sanzioni in cui avrebbe potuto incorrere in un summit dell’Unione Europea del 10-11 dicembre. E quando il Consiglio europeo si è concluso, Erdoğan deve aver dormito sonni relativamente più tranquilli. Potrebbe aver pensato di essere riuscito a schivare l’enorme bomba delle sanzioni proposte dall’UE, e questo almeno fino al prossimo marzo. Ma potrebbe essere un po’ prematuro per lui tirare un respiro di sollievo.
Dopo che a ottobre i leader dell’UE hanno dato alla Turchia un avvertimento inequivocabile, Erdoğan ha deciso di intensificare le tensioni, portando quelle che altrimenti sarebbero state delle mere questioni diplomatiche al livello di un mini-scontro di civiltà. Il presidente turco ha calcolato che avrebbe potuto interpretare il ruolo del duro sultano ottomano fino all’ultimo momento e che l’Unione Europea non avrebbe mai osato tagliare i ponti con Ankara. Ma aveva ragione e torto. Ha guadagnato tempo, l’UE non ha tagliato i ponti, le sanzioni del summit di dicembre non sono state abbastanza pesanti da cambiare la rotta della Turchia. Tuttavia, Erdoğan ora ha un’altra scadenza entro la quale decidere tra un ulteriore scontro di civiltà e una distensione duratura.
Poco prima del Consiglio europeo di dicembre, la Turchia aveva ritirato una nave per l’esplorazione del gas dalle acque contese del Mar Mediterraneo. Dopo mesi di provocatori sforzi esplorativi, la nave da ricognizione Oruç Reis è tonata a casa.
Inoltre, in una pseudo campagna d’immagine, Ankara ha abbracciato una retorica pluralista nei confronti delle minoranze non musulmane del Paese. “Le minoranze religiose sono la ricchezza del nostro Paese, in base al principio di uguale cittadinanza e storia comune”, ha scritto Ibrahim Kalın in un post su Twitter. “Discriminarle indebolirebbe la Turchia”.
Erdoğan ha altresì affermato di vedere il futuro della Turchia in Europa, quella stessa Europa che lui aveva accusato di essere costituita da Paesi bollati come “residui del nazismo e fascisti”.
Sul tavolo del vertice c’era anche un embargo sulla vendita di armi alla Turchia, come proposto da Grecia e Cipro. Invece di optare per un embargo immediato, ha annunciato la cancelliera tedesca Angela Merkel, i leader dell’UE discuteranno delle questioni con la NATO e con i funzionari statunitensi. “Abbiamo anche parlato di come le questioni sull’esportazione delle armi dovrebbero essere discusse all’interno della NATO. Abbiamo detto che vogliamo coordinarci con la nuova amministrazione americana sulla Turchia”, ha dichiarato la Merkel nel corso di una conferenza stampa.
Ma la questione di un embargo sulle armi non era il nocciolo della questione. Nel 2018, le esportazioni totali di armi dall’UE alla Turchia ammontavano a 54 milioni di dollari. Nel 2019, diversi Paesi dell’UE produttori di armi (Germania, Francia, Italia, Spagna, Svezia, Finlandia e Paesi Bassi) interruppero o limitarono le vendite di armi alla Turchia.
Il problema centrale era quanto dura sia stata l’Unione Europea a voler attivare sanzioni in un momento in cui l’economia nazionale turca è in caduta libera. È emerso che la decisione di Bruxelles non è stata così difficile. I leader dell’UE hanno deciso di imporre sanzioni a un numero imprecisato di entità e di funzionari turchi coinvolti nelle attività di trivellazione del gas nelle acque rivendicate da Cipro, ma hanno rinviato le decisioni più importanti, come quella sui dazi commerciali, fino a quando non si consulteranno con la prossima amministrazione statunitense del presunto presidente neoeletto Joe Biden.
Nelle prossime settimane, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, annuncerà i nomi di coloro che rischiano le sanzioni. Ma non sarà la fine della vicenda. Al vertice di dicembre, Borrell è stato incaricato di elaborare entro marzo delle proposte su un approccio alla Turchia di più ampio respiro, dando all’UE il tempo di consultarsi con la squadra di Biden preposta alla sicurezza nazionale.
Questo spiraglio offre a Erdoğan un breve respiro temporaneo. Ma entro la fine di febbraio, dovrà giocare le sue ultime carte prima che l’UE inasprisca le sanzioni o le procrastini di altri tre mesi. Un rinvio del genere non è una vittoria per Erdoğan, soprattutto quando le simultanee sanzioni americane ed europee minacciano ulteriormente di indebolire la fragile economia turca.
Il problema è che un politico islamista anti-occidentale che ha costruito la sua popolarità in gran parte sui continui diverbi con altre nazioni non può in tre mesi trasformarsi mentalmente in un partner pacifico. Non è disposto almeno a smettere di aggravare l’atroce deficit democratico del suo Paese. “Non aspettatevi che io ricompensi quel terrorista [rilasciandolo]”, ha dichiarato Erdoğan alcuni giorni prima del summit dell’UE, parlando di Selahattin Demirtaş, il leader in carcere da anni di un partito filo-curdo che ha conquistato oltre il 10 per cento dei voti nelle ultime elezioni.
Demirtaş, insieme a 12 parlamentari curdi, è attualmente detenuto dal 2016 per accuse di terrorismo, in attesa di processo. Da un punto di vista giuridico, l’uomo che Erdoğan ha definito un “terrorista” è solo un sospettato senza un verdetto del tribunale. Questa, tuttavia, è la lacunosa comprensione dei diritti costituzionali da parte del presidente turco, il quale, da leader eletto, crede di potersi prendere la libertà di dichiarare colpevoli o meno le persone sospettate, mentre i tribunali non si sono ancora pronunciati in merito ai procedimenti giudiziari a loro carico.
Per guadagnare più tempo a marzo, Erdoğan dovrà anche soffocare le parole grosse e reprimere le sfide. Dovrà interrompere le attività di esplorazione turche degli idrocarburi nel Mar Mediterraneo, fermare le tensioni con Grecia e Cipro e utilizzare un linguaggio diplomatico con l’Europa, un linguaggio che non conterrà termini come nazisti, fascisti e razzisti antimusulmani.
Alcuni compiti molto difficili attendono il bullo della scuola.
Burak Bekdil, uno dei maggiori giornalisti turchi, è stato di recente licenziato da un importante quotidiano del paese dopo 29 anni di lavoro, per aver scritto sul sito web del Gatestone ciò che sta accadendo in Turchia. È membro del Middle East Forum.